Varie, 20 febbraio 2006
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Gandini Giovanni
• Milano 14 ottobre 1929, Milano 17 febbraio 2006. Editore. Scrittore. Disegnatore. «C’era una Milano nascosta nelle pieghe delle cultura ufficiale, lontana dalle ideologie e dal mondo chiuso dei premi, assetata di novità, attenta ai fermenti che arrivavano dal mondo. E una delle nuove cose che venivano dall’America erano i fumetti, non più solo le storie di Disney o Superman: erano le strisce di Charles Schultz, i surreali, semplici e complicatissimi apologhi dei Peanuts. Le pubblicava, a partire dal 1962, la piccola casa editrice Milano Libri di Giovanni e Annamaria Gandini. A Giovanni Gandini venne un’idea: creare una rivista di fumetti, di cultura e di discussione, dove raccogliere i migliori esempi di questa forma di arte da noi considerata ancora irrimediabilmente “bassa”. Un progetto che ebbe poi una grande fortuna, ma con un parto difficile: per mesi il “libraio di via Verdi” portò in giro per Milano il menabò di Linus, collezionando rifiuti e alzate di spalle. Finché, a metà del 1965, il sogno di Gandini andò finalmente in porto. E il primo numero di Linus uscì con la sbobinatura di un dibattito tra Umberto Eco, Elio Vittorini ed Oreste Del Buono, che fu un po’ il manifesto di un nuovo modo di fare, e intendere, la cultura. I Peanuts vennero trattati da Gandini con grande rispetto. La traduzione dall’inglese affidata a raffinati intellettuali come i fratelli Bruno e Franco Cavallone e poi a Ranieri Carano. [...] Aveva lasciato la direzione di Linus al suo amico Del Buono già nel ’72, cercando altre strade prima col Giornalone e poi con Uffa, due riviste che non trovarono un loro spazio. Ma la strada del fumetto di qualità, aperta da lui - che fu apripista anche in molti paesi europei - era ormai tracciata, affollata da decine di autori, tra cui molti italiani, che hanno un loro posto riconosciuto nella cultura internazionale. Ma Gandini non fu solo colui che “sdoganò” i fumetti. È stato un finissimo scrittore, ironico e malinconico, sempre alla ricerca di prospettive inconsuete, mai banale. Alcuni titoli: L’Orso buco, Holbein, il mistero della scatola fotografica, Pensiero fondente, Piccoli gialli, Bruegel, la minestra di polenta. Di lui gli amici ricordano la vena inesauribile, anche negli ultimi anni della malattia, quando era rimasto senza voce. Ogni tanto prendeva la penna e scriveva una frase, una battuta, su un bigliettino. Si definiva un “monello”. [...] “Conservo un quaderno di prima elementare in cui a margine c’è scritto con inchiostro rosso: ‘Gandini, da me rimproverato e messo in castigo vicino alla cattedra, guardava me e i compagni e continuava a ridere’”. [...] in Pensiero fondente, azzardò una propria candidatura a sindaco di Milano, un delizioso delirio surreale con una proposta sui passaggi pedonali: “Le strisce bianche scompaiono subito, pensavo, e nessuno li ridipinge, meglio scavarle sul selciato, una spanna in giù, così gli automobilisti sono costretti a fermarsi. E per i cani? Bè, li non mi sbagliavo, adoro gli animali, specie quelli con il pelo fosco, e li avrei lasciati liberi di sporcare dove volevano”» (“la Repubblica” 20/2/2006). «[...] Sciava con sci che parevano di legno, calzettoni fuori degli scarponi di cuoio, berretto con pompom. Sugli sci la sua volontà d’apparire antiquato risaltava, ma comunque lui la ostentava sempre (i disegni di topi parlanti, che regalava agli amici come appunti confidenziali, li firmava “il nonno” molto prima dell’età anziana): forse era un modo traslato di rivelare la sua natura di sognatore bizzarro e geniale, di collocarsi con quegli inventori otto-novecenteschi che si calavano nella fossa delle Filippine con un batiscafo fatto in casa o si buttavano da una guglia attaccati a un ombrello. Perché così fece Giovanni all’inizio degli anni 60, saltando in mezzo all’editoria italiana appeso a un giornale stravagante composto, oltre che della clamorosa Valentina di Crepax, di fumetti americani e inglesi tradotti da amici suoi che facevano mestieri serissimi [...] e con quel gruppo di dilettanti e l’appoggio esterno di gente come Umberto Eco e Oreste del Buono sbaragliò letteralmente il mercato delle riviste, offrendo qualcosa di impensabile a quel tempo e in quell’Italia: un mensile da ridere (fumetti comici), da vedere (disegnati benissimo), da leggere (intelligenti, satirici, profondi, commoventi, narrativi) e da scriverci sopra: in breve su Linus cominciarono ad apparire articoli vari su libri anche azzardati, dibattiti gustosi su culture allora largamente ignote, tipo l’underground statunitense o il vivaio fumettistico sudamericano subito seguiti da esempi concreti, pubblicati dalla rivista, che andò gonfiandosi di contributi e storie, sempre più richiesta e, per un certo periodo, addirittura indispensabile. La famigerata egemonia marxista, che secondo la versione oggi divulgata stendeva le braccia rapaci su ogni prodotto culturale di quegli anni, non le allungò su Giovanni Gandini, il più amabile dei liberal (di una particolare varietà milanese temprata al liceo Parini). Aveva ragione a esibire quella sua allure da nonno, a indicare l’appartenenza a un’epoca di Milano di tradizione illuminista, piena di curiosità cosmopolite, civilmente borghese, intraprendente e ancora capace di produrre quel tipo di persone, come lui, che sanno scegliere e divulgare con leggerezza percorsi culturali “minori”, eppure catalizzatori dello spirito del tempo» (Maria Giulia Minetti, “La Stampa” 20/2/2006).