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 2006  febbraio 18 Sabato calendario

HOSSEINI Khaled Kabul (Afghanistan) 4 marzo 1965. Scrittore • «’Se avete tempo di leggere solo un libro all’anno, fate in modo che sia Il cacciatore di aquiloni”

HOSSEINI Khaled Kabul (Afghanistan) 4 marzo 1965. Scrittore • «’Se avete tempo di leggere solo un libro all’anno, fate in modo che sia Il cacciatore di aquiloni”. ”Un romanzo emozionante come pochi, lo consiglierò a tutte le mie amiche divoratrici di libri”. Così sentenziano su Internet alcuni dei centomila lettori che hanno decretato anche in Italia il successo del romanzo dello scrittore afghano Khaled Hosseini [...] diventato un caso nell’asfittico panorama editoriale di casa nostra dove i grandi numeri li fanno soltanto i signori del bestseller trainati da massicce campagne di marketing. Gli aquiloni di Hosseini, invece, volano esclusivamente grazie al passaparola in una progressione lenta ma che pare inesorabile. [...] la Dreamworks di Steven Spielberg ne ha acquistato i diritti cinematografici [...] figlio di un diplomatico nato inAfghanistan, è uno scrittore sui generis. Fa il medico internista in un ospedale della California dove vive dal 1980 dopo aver ottenuto asilo politico con la famiglia (in Afghanistan è tornato soltanto una volta, nel marzo 2003), non ha un passato di romanzi nel cassetto o rifiutati da tutti gli editori anche perché, racconta, ”quando arrivi in un Paese da emigrante e non sai la lingua, diventare uno scrittore non è esattamente il primo pensiero che ti viene in mente”. La sua gavetta consiste in qualche racconto scritto alle superiori e nella frequentazione di un seminario di due giorni dal titolo ”Come farsi pubblicare un romanzo”. Poi, dopo essersi laureato in medicina, un giorno, tornando da un colloquio di lavoro, si chiede: ”E se questo colloquio l’avessi fatto con Satana”? lo spunto per un primo racconto, a cui ne seguono altri, tra cui il nucleo del Cacciatore di aquiloni. Il suocero lo legge, gli piace, ma pensa che sia troppo corto e gli consiglia di allungarlo. Così Hosseini inizia a trasformarlo in un romanzo. il marzo 2001. Poi arriva l’11 settembre e Hosseini si blocca: ”Mi imbarazzava sapere che il mio Paese fosse coinvolto nell’attacco agli Stati Uniti. E pensavo che ci sarebbero stati degli atteggiamenti negativi verso gli afghani in America”. Non fu così, anzi: da pazienti e amici riceve solo parole di comprensione. Dopo un paio di mesi torna al lavoro e finisce il romanzo. Che in breve diventa un bestseller. Hosseini racconta una vicenda che si snoda nell’arco di oltre trent’anni sullo sfondo di un Afghanistan più vivido di quanto possa apparire in molti libri di storia. Lo spunto, l’amicizia interclassista tra Amir, figlio di un ricco afghano e Hassan, figlio del suo servo, forse non è particolarmente originale (anche se qui si tratta di un triangolo affettivo che comprende anche il padre del protagonista), ma Hosseini lo svolge con grande abilità, con uno stile semplice e accattivante, riuscendo a dare alla vicenda un’aura di universalità che va oltre la vicenda in sé. Il piccolo Amir, pashtun fragile e insicuro, ossessionato dall’idea di compiacere il padre, per codardia si macchia di una grave colpa nei confronti del giovane amico che non conosce l’alfabeto ma sa leggere dentro di lui. Il rimorso lo perseguiterà per tutta la vita e il destino gli presenterà il conto molti anni dopo nella casa di San Francisco in cui vive con la moglie. Nel cupo Afghanistan dei talebani Amir è costretto a tornare per salvare il figlio di Hassan, riscattando, a rischio della vita, il gesto di codardia commesso da bambino. Se negli snodi narrativi Hosseini pecca a volte di inverosimiglianza sfiorando, soprattutto verso la fine, il melodramma (il talebano pedofilo pare un po’ eccessivo), l’affresco del Paese e dei suoi cambiamenti risulta invece estremamente efficace, seppur non approfondito. Le pagine scorrono veloci e sotto gli occhi del lettore l’Afghanistan di Hosseini si trasforma: fino agli anni Settanta è un Paese cosmopolita che non conosce lo spettro della guerra, con una ricca vita culturale e artistica, in cui le donne vanno all’università e lavorano, si fanno gare di aquiloni e si può andare al cinema a vedere Rio Bravo con John Wayne bevendo Coca-Cola. Poi arriva il colpo di Stato che pone fino al quarantennale regno di Zahir Shah e apre le porte all’invasione sovietica del ”79 che, scrive Hosseini, ”decretò la morte dell’Afghanistan che avevamo conosciuto dando inizio a un’era di massacri che non è ancora terminata”. Nel libro di Hosseini sfilano i filosovietici e i mujaheddin, i talebani e le loro vittime, fino al momento in cui, improvvisamente, la bandiera americana appare ovunque, ”sulle antenne dei taxi immersi nel traffico, sui risvolti delle giacche dei pedoni, persino sui berretti dei mendicanti seduti fuori dalle piccole gallerie d’arte e dai negozi”» (Cristina Taglietti, ”Corriere della Sera” 18/2/2006).