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 2006  febbraio 09 Giovedì calendario

Shalev Meir

• Nahalal (Israele) 29 luglio 1948. Scrittore. Figlio del poeta Itzhak Shalev, è vissuto in un villaggio nel nord di Israele e in un kibbutz vicino il lago di Galilea. All’età di 12 anni si è trasferito con la famiglia a Gerusalemme. Ha pubblicato libri per l’infanzia, una raccolta di saggi e alcuni romanzi (Il pane di Sarah, Re Adamo nella giungla, La montagna blu, Fontanella, La casa delle grandi donne, pubblicati da Frassinelli). Per Garzanti è uscito E fiorirà il deserto, per Mondatori Storie piccole. «Eccellente cantore di saghe familiari [...] Dopo molti anni di giornalismo, ha cominciato la sua avventura di narratore scrivendo racconti per l’infanzia. [...] La sua scrittura abbonda di metafore, similitudini o iperboli. Ha a che fare con il fatto che suo padre era un poeta? “Penso di sì. Mio padre è stato un poeta piuttosto famoso in Israele durante gli anni Quaranta e Cinquanta, ma era anche uno studioso della Bibbia. Tra di noi ci sono state spesso accese discussioni politiche. Lui era un uomo di destra, mentre io sono sempre stato di sinistra. Ciò non ha mai interferito con la “pace” familiare, perché a differenza di tante persone di destra, aveva un grande senso dell’umorismo. Del ramo paterno facevamo parte accademici, matematici, critici. Credo però che un’influenza maggiore sulla mia scrittura l’abbia avuta la famiglia di mia madre, piena di grandi affabulatori. Mi raccontavano in continuazione le loro storie. Erano arrivati nella Palestina sotto la dominazione ottomana, e provenivano dall’Europa dell’est. Fecero parte di quelle duemila, tremila persone entrate poi nella mitologia dello stato di Israele. Avevano studiato nei seminari rabbinici in Russia e divennero poi agricoltori in Palestina. La piccola mitologia sionista disseminata nei miei libri discende direttamente da questi miei personali storytellers. [...] ho cominciato a portare gli occhiali, all’età di dieci anni. Per lungo tempo ho tentato di dissimulare la mia miopia, vivendo in un mondo brumoso. [...] Scrivo come ricordo, e dunque il risultato è che la mia forma proviene dal modo in cui funziona la mia memoria, che non è mai lineare. [...]”» (Sebastiano Triulzi, “il manifesto” 8/2/2006).