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 2005  marzo 09 Mercoledì calendario

A Venezia non sta succedendo niente, la Repubblica, mercoledì 9 marzo 2005 Se non ci fosse implicato il suo Da-Sein, il suo Esserci, lo studioso heideggeriano Massimo Cacciari ammetterebbe che a Venezia non accade Nix, Nichte, Nada, Nihil, Nulla, insomma quel niente di niente che solo nella filosofia politica democristiana è già qualcosa, perché solo nella vecchia Dc l’infittirsi delle ombre celava la luce, solo nelle lotte tra Andreotti e Fanfani, tra Forlani e Gava, la verità si rivelava nel suo nascondimento

A Venezia non sta succedendo niente, la Repubblica, mercoledì 9 marzo 2005 Se non ci fosse implicato il suo Da-Sein, il suo Esserci, lo studioso heideggeriano Massimo Cacciari ammetterebbe che a Venezia non accade Nix, Nichte, Nada, Nihil, Nulla, insomma quel niente di niente che solo nella filosofia politica democristiana è già qualcosa, perché solo nella vecchia Dc l’infittirsi delle ombre celava la luce, solo nelle lotte tra Andreotti e Fanfani, tra Forlani e Gava, la verità si rivelava nel suo nascondimento. Ebbene, la verità nascosta di Venezia è che nessuno, neppure Heidegger, con tutte le sue plurivalenze linguistiche e ambiguità semantiche, riuscirebbe a spiegarci qual è la differenza tra Felice Casson e Massimo Cacciari, quali sono i modelli amministrativi che l’uno contrappone all’altro, qual è la ragione ideale che ha spaccato in due lo schieramento che si presume vincente, quale Venezia Cacciari vuole difendere da Casson e viceversa, quale acqua alta, quale gondola e quale vaporetto Casson nega e Cacciari promuove. Ancora ieri ”Europa”, quotidiano della Margherita, scriveva che «non si può tollerare che un magistrato da un giorno all’altro getti la maschera, ci obblighi a sapere come la pensa, sveli al paese da che parte sta». E da giorni Cacciari ci spiega di essersi candidato contro Casson perché «esterrefatto, letteralmente senza parole per la scelta di un esterno alla politica, di un magistrato».  sicuramente vero che Casson è più il rappresentante di una generazione che un individuo politico ben definito, è uno di quei giudici d’impeto che forse hanno pensato che l’etica sta alla base del diritto, o meglio che il diritto è la forma assoluta dell’etica. Ma questo è un enorme problema storico del nostro paese che ha dato sì i natali a Beccaria, ma che dopo l’Unità ha scoperto tra i suoi primati, in polemica con il neoguelfismo di Gioberti, quello della delinquenza. La grande cultura giuridica della sinistra ha studiato in simultanea l’operaio e il delinquente, ha prodotto il socialismo degli avvocati e il positivismo criminologico, Turati e Lombroso, e poi Magistratura Democratica, la questione morale di Berlinguer, sino a Tangentopoli e ai suoi eccessi. Dovunque, ma soprattutto in Italia, l’idea che il magistrato non debba avere passioni politiche quasi fosse un’ameba, un organismo anemico, è un’idea che, prima di essere berlusconiana, è irreale, e non può certo essere additata da un raffinato e complesso intellettuale. Cacciari ci insegna che un uomo che sceglie di fare il magistrato non è un pazzo né un politicante travestito, ma è un uomo di passione che vuol dare un contributo alla costruzione di una società giusta dalla postazione che gli pare più efficace. Questa non è demagogia, questa è la politica. Il punto vero è che questa passione non dovrebbe essere confusa con la militanza più o meno mascherata in un partito, mai deve diventare una ideologia, non può ispirare una giustizia di parte come malauguratamente accade in Italia dove la politica ha divorato tutti i margini della credibilità e della decenza spingendo i magistrati alla supplenza. Ben vengano dunque tutti quei provvedimenti legislativi che raffreddano la passione e distanziano il ruolo del giudice da quello del politico. Ma fino a quando questo non avviene, non si può dire né che il magistrato che ha passioni politiche è una follia italiana né che è un opportunista o un galoppino di partito. Purtroppo i rilievi vanno fatti alla politica che non ha pensato a istituti giuridici di salvaguardia della dignità, del decoro e della buona fede sia di sé stessa sia dei giudici. A destra e a sinistra, ma forse più a sinistra che a destra, la politica è piena di magistrati, e anche la Margherita ha i suoi, come Giannicola Sinisi per esempio, che è stato sottosegretario nonché candidato governatore della Puglia, la regione dove aveva fatto il suo mestiere di giudice. E forse è anche un bene che i giudici diventino politici, senza ipocrisie. Se invece dei magistrati ci fossero i mafiosi non sarebbe peggio? E perché i magistrati no, e i principi delle cattedre universitarie sì? E perché no ai magistrati e sì ai medici che hanno il monopolio di quel bene assoluto e insurrogabile che è la salute? Questi medici-politici, che abbondano non solo nel Sud, troppe volte scambiano i voti con i posti letto, conquistano il consenso con l’amministrazione della medicina, della chirurgia e dei ricoveri all’estero. E perché uno che ha preso a pedate un pallone deve essere più utile e più adatto alla politica di un giudice? A Bari, che è una bellissima città di cultura, di mare e di ricchezza ma anche di malandrineria, di contrabbandieri, di scafisti, e persino di professori universitari familisti come sta raccontando Attilio Bolzoni su ”Repubblica”..., a Bari dove l’esercizio del giudice affonda nella società come una lama calda dentro una tavoletta di burro, nessuno da sinistra ha sollevato contro il sindaco Emiliano, ex magistrato, i problemi che normalmente vengono sollevati opportunisticamente dalla destra. E se qualcuno come Beppe Vacca ha fatto con discrezione osservazioni di pertinenza o di opportunità su quel pubblico ministero che si candidava a sindaco, non si è poi messo di traverso, non ha alzato la voce e non ha fatto sgambetti. Noi non preferiamo Casson a Cacciari, non siamo il giornale della Margherita e neppure quello di Bertinotti. Sicuramente Casson, del quale non si conosce la bibliografia e che non ha la nota biografia politica di Cacciari, potrebbe significare che la sinistra cerca confusamente di rinnovare o di arricchire la nomenklatura; vedremo quali sono i suoi programmi, qual è la sua personalità politica. Venezia non è tutta dentro l’universo degli operai di Porto Marghera, né dentro gli studi del professor Cacciari. Ci sono nuovi mestieri e nuove generazioni nate accanto alle fabbriche veneziane, ma non «contro» le fabbriche veneziane. C’è per esempio l’ecologia di cui Casson ha dato prove di appassionata sensibilità. Insomma, è ovvio dirlo, ma Cacciari e Casson stanno dentro la sinistra con lo stesso diritto a rappresentarla. Non si capisce perché l’uno dovrebbe essere più rappresentativo dell’altro. E sarebbe naturale che facessero uno sforzo comune per mettere su un programma di buona amministrazione di Venezia. Cosa importa se poi viene gestito sotto il nome di Casson o di Cacciari? E perché contrapporre l’uno all’altro? In che cosa si differenziano? Solo nella Dc non era rinvenibile la distinzione tra un capobastone e un altro, tra un boiardo e un altro. A sinistra, le contrapposizioni, anche quelle più feroci, sono sempre state progettuali. Gramsci voleva la dittatura degli operai e dei contadini e Bordiga quella della classe operaia; in tempi più recenti abbiamo avuto Togliatti e Secchia. Poi Amendola e Ingrao. E ci sono differenze evidenti tra D’Alema e Veltroni. Ma Casson e Cacciari non si distinguono se non per l’anagrafe e per l’estetica. Non c’è, per dire, una contrapposizione della campagna veneziana alla portualità veneziana, non c’è la Venezia degli spettacoli d’arte contro la Venezia delle industrie, non ci pare che esista una discriminante forte e chiara. Ci pare solo che vogliano farsi personalmente male, che la loro sia una guerra di vanità e di potere, una libidine democristiana. E ci pare che vogliano fare male alla sinistra. Forse il problema è che non hanno un avversario degno nel centrodestra, il guaio è che scendono in campo da soli. Forse la malattia di Venezia è la pochezza dell’avversario, che produce effetti di distrazione, di sicumera, di presunzione. Di sicuro quella di Venezia è una vicenda che merita di essere raccontata e seguita anche nei dettagli e nei rimandi nazionali, esemplare e paradigmatica di quel che può diventare il centrosinistra quando è sicuro di vincere, quando vince. Francesco Merlo