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 2005  marzo 07 Lunedì calendario

A Parma ora temono la Barilla, CorrierEconomia, 7 marzo 2005 L’eredità di Pietro Barilla è sotto gli occhi di tutti

A Parma ora temono la Barilla, CorrierEconomia, 7 marzo 2005 L’eredità di Pietro Barilla è sotto gli occhi di tutti. «Tutto è fatto per il futuro. La fede è una parola importante. Andiamo avanti. Andate avanti con coraggio. Pietro», dice la scritta sotto la sua gigantografia nella hall del quartier generale di Pedrignano, appesa insieme alla collezione di quadri e stampe che arricchiscono ogni fazzoletto di muro, da Mirò a Guttuso. Ma oggi a Parma si dice che Barilla abbia fatto «il passo più lungo della gamba». Il business tradizionale va bene. Il mercato della pasta è stabile, ma Barilla aumenta la sua quota di mercato in tutto il mondo: è salita al 41,1% in Italia, dal 40,5% del 2003; al 18,4% negli Usa (17,2%) e al 9,9% in Germania (8,8%). Le vendite nette aumentano da 4,4 a 4,7 miliardi. L’acquisizione in Germania di Kamps, il più grande produttore di pane industriale d’Europa, quotato in Borsa a Francoforte e rilevato con un’Opa ostile nel 2002, però si è rivelata un boccone difficile da digerire. Troppo grossa (quasi quanto Barilla) e troppo costosa (è stata pagata circa 1,8 miliardi di euro), perciò ha messo in affanno il gruppo alimentare, che oggi si porta dietro due miliardi di debiti lordi (1,855 l’indebitamento netto), con un fardello di bond per oltre 1,1 miliardi. E un risultato netto «decisamente inferiore» rispetto ai 43,8 milioni del 2003. Nel 2004 Kamps ha portato «oltre 40 milioni di oneri straordinari», che hanno pesato sul risultato netto del gruppo, peggiorato anche da un maggior peso del fisco, spiega Vittorio Ogliengo, da 10 anni responsabile per la finanza del gruppo (Cfo) e membro del consiglio di amministrazione della Holding. Così in una città, che sta facendo i conti con la cattiva congiuntura economica e le ferite del crac Parmalat, c’è tanto nervosismo e spadroneggia la paura. «I Barilla hanno il loro stile», ripetono tutti. Ma qualcuno teme che l’avventura tedesca diventi una zavorra e ricorda la sorte toccata ai Coin dopo la disastrosa acquisizione di Kaufhalle, la catena di magazzini tedeschi che ha mandato a picco l’intero gruppo e costretto la famiglia a metterlo in vendita. Una voce, che circola anche sul mercato finanziario, sostiene che adesso Guido, Paolo, Luca ed Emanuela, i quattro fratelli al timone, rappresentanti della quarta generazione, potrebbero chiedere aiuto a un socio finanziario dalle spalle solide, magari un fondo di private equity, come già fece il vecchio Pietro che nel ’71 cedette la maggioranza del pacchetto azionario alla multinazionale americana Grace, per poi ricomprarsela nel ’79. Anche il sindacato, che ha ingaggiato una dura vertenza con l’azienda sul piano industriale, è preoccupato. La premessa è che «Barilla è un gruppo sano», sostiene Antonio Mattioli, responsabile del settore alimentare per la Cgil. L’inquietudine semmai nasce dal timore che alla fine saranno gli stabilimenti italiani a pagare il conto tedesco. «Non vorremmo che decidessero di delocalizzare in Germania alcune produzioni, come sughi e prodotti da forno», afferma. Perché l’ultimo accordo di ristrutturazione in Germania, siglato a dicembre 2004, in cambio della chiusura di 7 fabbriche nei prossimi due anni e di un migliaio di licenziamenti, stanzia 90 milioni di investimenti nel 2005 per la realizzazione di un moderno stabilimento nella regione di Amburgo. «Da noi invece si parla di chiusure a Matera e Termoli e tagli agli investimenti». Un certo «disagio» si vive anche in azienda, dove qualche dirigente rimpiange «il clima familiare» del tempo che fu, quando Barilla era una «solida e tranquilla macchina da soldi», mentre ora è esposta alle tensioni che derivano dall’espansione internazionale portata avanti a colpi di acquisizioni. A cavallo tra 2003 e 2004 c’è stato un profondo ricambio del management: via il direttore delle risorse umane e delle relazioni industriali della G. R. Fratelli, la compagine storica; via i responsabili marketing del settore biscotti e della merendine fresche; via l’amministratore delegato del bakery (Mulino Bianco e Pavesi), per concentrare nelle mani di Gianluca Bolla la direzione operativa del gruppo. Normale avvicendamento, si ribatte in Barilla. E spiegano la loro versione dei fatti. «In Kamps non ci aspettavamo tutte queste difficoltà. Abbiamo trovato un gruppo complesso e mal gestito, costituito da 45 società che agivano come centri di costi e profitti indipendenti», afferma Ogliengo. La terapia d’urto è cominciata. Lo scorso giugno i fratelli Barilla hanno richiamato il greco-cipriota Nicos Sophocleous, il manager artefice del turnaround in America. E anche grazie a «primi segnali di risveglio» del mercato tedesco, si aspetta il pareggio di Kamps entro il 2007 e il ritorno in Borsa. «La solidità finanziaria non è in discussione. Basta acquisizioni. Adesso stiamo lavorando per tornare entro il 2007 a una redditività significativa. Non cerchiamo nuovi soci. La nostra strategia si riassume in due punti: focalizzarci sulla pasta secca e sul bakery e fare business con i volumi. Continuando a investire. Anche in Italia dove sono previsti almeno 130 milioni di nuovi investimenti. Vogliamo chiudere lo stabilimento di Matera, che è vecchio e poco efficiente, e il mulino di Termoli, ma potenzieremo Foggia, che entro 2 o 3 anni diventerà il maggior pastificio del mondo, e il polo di Caserta», conclude il manager. Giuliana Ferraino