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 2005  febbraio 02 Mercoledì calendario

Le gambe obese dei dizionari non possono star dietro alla vacuità fonica che riempie la bocca dei parlanti, la Repubblica, mercoledì 2 febbraio 2005 Malgrado le apparenze, gli italiani non usano parole come pane, vino, religione, laicismo, tasse, zucchero, terrorismo, tram, sciopero, padre, madre, carciofo, pomodoro, panettone, maremoto, Dio, amore, malinconia, morte

Le gambe obese dei dizionari non possono star dietro alla vacuità fonica che riempie la bocca dei parlanti, la Repubblica, mercoledì 2 febbraio 2005 Malgrado le apparenze, gli italiani non usano parole come pane, vino, religione, laicismo, tasse, zucchero, terrorismo, tram, sciopero, padre, madre, carciofo, pomodoro, panettone, maremoto, Dio, amore, malinconia, morte. Non credete alle vostre orecchie ingannevoli: queste parole non si ascoltano mai. Gli italiani amano (o amavano) soltanto due locuzioni avverbiali: E QUANT’ALTRO e IN QUALCHE MODO. Credo che e quant’altro sia nato quattro o cinque anni fa: all’improvviso, come un atollo del Pacifico; e mi piacerebbe moltissimo sapere chi lo ha usato per la prima volta. Ma i dizionari tacciono. Allora, ascoltavo ogni minuto: «Amo Gesù, la Madonna e quant’altro». «Con mia moglie e mia suocera, abbiamo fatto un viaggio bellissimo a Venezia, Padova e a quant’altro». «Vada al Supermec (rivolto alla domestica filippina) e compri un chilo di patate, due etti di bresaola e quant’altro»; «Adoro Oriana Fallaci, Umberto Bossi e quant’altro». Era un momento di grande euforia, in cui la fantasia linguistica italiana camminava, per le strade di Milano e di Roma, ciondolando come un’ubriaca. Ora, i tempi gloriosi di e quant’altro stanno per finire. Non sento più nell’aria quella gioia trionfale, quella estatica ecolalia, con cui venivano affacciate possibilità indeterminate. Temo che e quant’altro sia esausto: come cioè, no, a monte, a valle, praticamente, al vostro livello, al massimo livello. Quando le usiamo troppo, le parole si affaticano, impallidiscono, si spossano, si ammalano e finalmente muoiono. Oggi tutti dicono: IN QUALCHE MODO. Per esempio, durante la trasmissione ”Otto e mezzo”, una giornalista simpatica e gentile come Ritanna Armeni dice in qualche modo ogni venti secondi; e ogni volta un’ombra rattrista il suo profumato accento siciliano. Non è facile comprendere cosa significhi in qualche modo. Secondo il dizionario Zingarelli (1930): «ammettendo per qualche ragione una cosa». Secondo il Devoto-Oli (1990): «considerando con approssimazione». Secondo il Dizionario Garzanti dei Sinonimi e dei Contrari (2001): «come si può, alla bell’e meglio». Secondo il De Mauro (2000): «cercando di risolvere una situazione, un problema anche in modo non ortodosso, arrangiandosi alla bell’e meglio». Secondo lo Zanichelli (2004): «Alla meno peggio, in un modo o nell’altro». Chi parla non obbedisce ai dizionari; e le gambe troppo obese, lente e tarde dei dizionari non riescono mai a inseguire le fantasie frivole e capricciose che riempiono la bocca degli innumerevoli parlanti. Oggi, in qualche modo significa pressappoco: «Sto parlandovi di una situazione così intricata, aggrovigliata e complessa, che nemmeno io riesco a comprenderla: ma, colla mia mente ugualmente delicata e complessa, cercherò di esprimerla in tutte le sue possibilità e sfumature, così da portarvi vicinissimi alla verità, sebbene non possa coglierla esattamente. Mi dispiace». Mentre questo lungo discorso viene concentrato in tre sole parole, lo sguardo di chi vi parla è perplesso e inquieto, mentre le mani vagliano, accennano, soppesano, oscillano, come bilance, attorno all’imponderabile. C’è un’altra possibilità. Forse in qualche modo non significa niente: è pura materia verbale, che finge di essere una parola, come molte espressioni di ogni tempo. Gli uomini hanno sempre amato la vacuità fonica: così, nei romanzi di Dickens, Mrs. Nickleby, Mr. Peckniff, Mrs. Gamp, Mr. Micawber bevono suoni, centellinano suoni, masticano e divorano suoni, giocano coi suoni, nuotano arditamente nell’oceano ondoso e tumultuoso dei suoni, specialmente se non vogliono dire nulla. Qualche sera fa, seduto davanti alla televisione (beata porta del sonno), ho assistito a uno spettacolo prodigioso. Stava parlando un professore di storia, che appartiene a una potentissima famiglia cattolica di Bologna: formata da dodici fratelli, quattordici mogli, quarantotto figli, ventidue cognati, sessanta biciclette, per non parlare dei suoceri e delle suocere, dei nipoti, e dei vicini e lontani parenti. Con fatica, i suoni uscivano dalle immense orecchie del professore: dagli occhi piccoli, puntuti e cattivissimi: e, talvolta, persino dalla bocca. E quant’altro si intrecciava con in qualche modo: praticamente con piuttosto che e al massimo livello. Le parole estenuate e livide dalla noia si irraggiavano in tutti i sensi, aleggiavano nello studio televisivo, s’impigliavano tra i peli elegantissimi della barba di Giuliano Ferrara, sfioravano il bel volto di Ritanna Armeni: la quale, in qualche modo, non capiva niente, come io non capivo, come nessuno riusciva, disperatamente, a capire. Ma tutto questo avveniva, come diceva compiaciutissimo il professore, al massimo livello. Pietro Citati