Michael Newton, Dizionario dei serial killer, Newton & Compton, 19 gennaio 2006
Louise Peete era capace d’uccidere pure a distanza. PEETE, LOUISE. Nata come Lofie Louise Preslar a Bienville, in Louisiana, una delle principali vedove nere d’America era figlia dell’editore di un giornale di rilievo
Louise Peete era capace d’uccidere pure a distanza. PEETE, LOUISE. Nata come Lofie Louise Preslar a Bienville, in Louisiana, una delle principali vedove nere d’America era figlia dell’editore di un giornale di rilievo. Frequentò le migliori scuole private di New Orleans, dove diventò famosa per le sue avventure sessuali. Espulsa da un esclusivo collegio, Louise tornò a casa a Bienville e si diede alla ricerca del piacere. Nel 1903 sposò Henry Bosley, un commesso viaggiatore, seguendolo nei suoi spostamenti. Mentre si trovava per lavoro a Dallas, nel Texas, nell’estate del 1906, Henry sorprese sua moglie a letto con un petroliere locale e, distrutto dal dolore, si uccise due giorni dopo. Louise vendette le proprietà di Henry e si trasferì a Shreveport, dove si mise a fare la prostituta fino a quando non poté permettersi il viaggio fino a Boston. Il drammatico cambio di situazione non sconvolse affatto Louise. La sua occupazione era sempre la stessa, e come prostituta che girava per le case, diventò la prediletta della locale aristocrazia. Oltre a ciò, rubava i gioielli delle mogli assenti dei suoi ricchi clienti, vendendo quelli che decideva di non tenere per sé. Col tempo si spinse troppo in là e fu scoperta. Minacciata di denuncia, si ritirò a Waco, in Texas, dove riuscì a conquistare Joe Appel, un petroliere ben noto per i diamanti che montava sugli anelli, sulle fibbie delle cinture e persino sui bottoni dei vestiti. Una settimana dopo che aveva incontrato Louise per la prima volta, Joe fu trovato morto con un proiettile in testa, mentre i diamanti erano spariti. Convocata davanti a una giuria per le indagini preliminari, Louise ammise di aver sparato ad Appel per «autodifesa». Il petroliere aveva cercato di violentarla, dichiarò, e lei era stata costretta ad agire di conseguenza. Nessuno si ricordò dei gioielli mancanti e i membri della giuria applaudirono apertamente quando venne lasciata libera. Nel 1913 a Dallas, mentre la buona sorte e il denaro stavano per esaurirsi, Louise sposò un dipendente di un albergo del posto, Harry Faurote. Quello di Louise fu principalmente un matrimonio di convenienza, e il comportamento apertamente adultero della sposa spinse Faurote a impiccarsi nel seminterrato dell’albergo. Trasferitasi a Denver nel 1915, Louise sposò Richard Peete, un venditore porta a porta. Nel 1916 gli diede una figlia, ma le magre entrate di Peete non erano all’altezza dei suoi standard, così nel 1919 se ne andò da sola a Los Angeles. Qui, mentre era alla ricerca di una casa in affitto, Louise conobbe il dirigente minerario Jacob Denton. Questi aveva una casa da affittare, ma si convinse presto a tenere per sé la proprietà per andarvi a convivere con Louise. Dopo molte settimane di infuocati rapporti, Louise chiese a Denton di sposarla, ma egli rifiutò. Fu un errore fatale. Facendo buon viso davanti al rifiuto, Louise ordinò al custode di Denton di scaricare una tonnellata di terra nel seminterrato, dove aveva progettato di «far crescere funghi», il piatto preferito di Denton, come prelibato regalo per il suo amante. Quando Denton sparì il 30 maggio 1920 non era cresciuto nessun fungo, ma Louise aveva molte spiegazioni per i visitatori curiosi. Innanzitutto, diceva loro che l’uomo aveva litigato con una «donna, una spagnola dall’aspetto», che si era infuriata e gli aveva fatto a pezzi un braccio con una spada. Nonostante fosse riuscito a sopravvivere, raccontava, il povero Jacob era così imbarazzato dal suo handicap da chiudersi in una volontaria reclusione! Incalzata dall’avvocato di Denton, revisionò la storia e vi aggiunse una gamba amputata; l’uomo d’affari scomparso sarebbe tornato in circolazione solo quando si fosse sentito a suo agio, dopo l’innesto di un arto artificiale. Incredibilmente, questi racconti tennero tutti a distanza per molti mesi mentre la ”signora Denton” dava una serie di feste lussuriose a casa del suo amante assente. A settembre l’avvocato di Denton si fece sospettoso, e chiamò la polizia per perquisire la casa. Dopo aver scavato per un’ora nel seminterrato emerse il cadavere di Denton, con un proiettile nella testa. I detective cominciarono a dare la caccia a Louise e la ritrovarono a Denver, dove aveva ripreso una tranquilla vita familiare accanto a Richard Peete. Riconosciuta colpevole di omicidio nel gennaio 1921, Louise ebbe una condanna all’ergastolo. All’inizio Louise scrisse fedelmente al marito Richard, ma la lontananza non aumentò il suo affetto per l’uomo che si era lasciata alle spalle. Nel 1924, dopo che molte sue lettere non avevano avuto risposta, Peete si uccise. Il direttore di San Quintino, Clinton Duffy, una volta descrisse Louise Peete come una donna da un’«aria d’innocente dolcezza che nascondeva un cuore di ghiaccio». Si disse che le piaceva vantarsi degli amanti che aveva spinto ad uccidersi, e che aveva a cuore in modo speciale il suicidio di Richard: dimostrava che nemmeno le mura della prigione potevano contenere il suo fascino letale. Nel 1933 Louise fu trasferita da San Quintino al carcere di Tehachapi, e sei giorni dopo, al suo decimo tentativo di ottenere la libertà condizionale, fu rilasciata dal carcere. La sua scarcerazione era dovuta in buona parte all’intercessione di un’operatrice sociale, Margaret Logan, e di suo marito Arthur. In libertà condizionale sotto la vigilanza della signora Latham a Los Angeles, a Louise fu consentito di chiamarsi Anna Lee, dal nome della sua star del cinema preferita. Durante la seconda guerra mondiale trovò lavoro in una mensa militare; nel 1942 un’anziana collega scomparve inspiegabilmente, e la sua casa fu trovata nel più completo disordine. I detective andarono a trovare Anna Lee, la persona più vicina alla donna scomparsa, ma fu loro risposto che essa era morta per le ferite riportate in una caduta. Con un atteggiamento che potrebbe essere definito soltanto di gigantesca negligenza, credettero alla storia, senza mai preoccuparsi di controllare il passato di Anna, o di ottenere un certificato di morte. La premurosa signora Latham morì nel 1943 e Louise fu affidata alla custodia dei Logan. Nel maggio 1944 sposò Lee Judson, un anziano direttore di banca, e il 30 maggio Margaret Logan scomparve senza lasciare tracce: Louise raccontò all’anziano marito di Margaret che lei era in ospedale e non era in grado di ricevere visite. Verso la fine di giugno Louise aveva convinto le autorità che Arthur Logan era pazzo; egli venne rinchiuso in un manicomio statale, dove morì sei mesi dopo. Per risparmiarsi le spese del funerale, Louise mise il cadavere a disposizione della facoltà di medicina. Louise si trasferì con Judson a casa dei Logan, dove però non tutto era a posto. In poco tempo, il marito scoprì un buco di proiettile in una parete, un tumulo di terra sospetto nel giardino e una polizza d’assicurazione in cui si nominava Louise unica beneficiaria di Margaret Logan. Malgrado ciò, Judson non disse nulla, e toccò alla stessa Louise svelare il groviglio di inganni. Nel dicembre 1944 l’ufficiale incaricato di sorvegliare la libertà condizionale di Louise si era insospettito per i rapporti regolari, presentati con la firma incerta di Margaret Logan, troppo lusinghieri nei confronti della vigilata. Poco prima di Natale la polizia fece irruzione a casa dei Logan, spingendo finalmente Lee Judson ad esporre i suoi sospetti. In giardino fu disseppellito il corpo di Margaret Logan, al che Louise fu pronta con un’altra delle sue fandonie. Questa volta, il decrepito Arthur Logan era diventato improvvisamente pazzo, picchiando a morte la moglie in un attacco di follia. Terrificata all’idea di attirare i sospetti per via dei suoi precedenti, Louise aveva seppellito il cadavere e aveva temporeggiato per un mese prima di fare internare Arthur. Louise non fu creduta e fu accusata dell’omicidio di Margaret, mentre la morte del marito fu registrata come accessoria. Prosciolto il 12 gennaio 1945, Judson si uccise il giorno dopo, gettandosi dal tredicesimo piano di un edificio di uffici a Los Angeles. Louise, fu notato, sembrò soddisfatta della sua reazione alla loro separazione. Riconosciuta colpevole di omicidio di primo grado da una giuria che comprendeva undici donne, Louise questa volta fu condannata a morte. I suoi appelli furono respinti ed essa fu giustiziata nella camera a gas del carcere di San Quintino l’11 aprile 1947. tratto da: Michael Newton, Dizionario dei serial killer, Newton & Compton