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 2006  gennaio 17 Martedì calendario

Il signore delle mosche: Prove inconfutabili dell’esistenza di Satana 2. La Balbuzie Un balbuziente si è buttato dal Golden Gate

Il signore delle mosche: Prove inconfutabili dell’esistenza di Satana 2. La Balbuzie Un balbuziente si è buttato dal Golden Gate. Non è riuscito a spiegare il suo dramma alla voce amica di uno dei tanti telefoni per aspiranti suicidi distribuiti lungo il ponte di San Francisco. così che i balbuzienti precipitano nella barzelletta invece che nell’epica. Mai abbastanza eloquenti, né abbastanza muti. Fachiri che camminano sui vetri solo per rispondere «bene» a un imbecille che passa e ti chiede «come va?». Titani di un match oscuro, dietro il quale la colpa è certa ma incomprensibile. Nel caso di Mosè, che parlava per bocca del fratello Aronne, la sua balbuzie aveva almeno retroterra grandiosi, catastrofi, pestilenze, terre promesse. Si comincia di solito a balbettare da piccoli per molto meno. Perché le spalle di tuo padre ti sono più familiari del suo sguardo. O il suo sguardo ti è fin troppo familiare ma somiglia (e qualche volta coincide) a un portacenere di cristallo pesante scagliato contro i tuoi dentini da latte. Perché sei di mano mancina, la mano del diavolo, e ti costringono a usare la destra. Un modo infallibile per perdere il dono della parola è scoprire un giorno, origliando alla porta della camera da letto, che quelli che fin lì hai creduto essere i tuoi genitori sono in realtà due estranei che ti hanno raccolto in un orfanotrofio. O se i compagni ti picchiano alle elementari perché ti rifiuti di fumare il sigaro con loro. il caso delle balbuzie colleriche. Puoi diventare da grande un cinico esecutore di ordini come Molotov o, più facilmente, uno spietato condottiero, uno che invade o che non si lascia invadere. Winston Churchill era un balbuziente cronico. Inciampava soprattutto sulle esse. Per iniziare la frase e schiodarsi dal blocco usava spesso uno starter, spalando dalla gola un muggito prolungato che poco o nulla aveva di umano. Sir Winston era considerato una specie di ritardato mentale nel prestigioso collegio di Ascot dove andava da piccolino. Un caso umano. Meditava di buttarsi sotto un treno, ma reagì. Decise di diventare un maestro della parola e cominciò a studiare Lord Chatam, celebre oratore inglese del Settecento, replicando all’infinito i suoi discorsi allo specchio. I balbuzienti che ce la fanno a guarire diventano spesso dei grandi oratori, come Demostene, quello del sassolino in bocca, più spesso dei micidiali rompicoglioni. Altre volte showman di successo, come Paolo Bonolis. La balbuzie più diabolica è quella da errore tipografico. Sei un frugolino di sei anni, stai imparando a leggere, non capisci cosa leggi ma lo fai lo stesso, in classe, con dedizione, a voce alta, il torace che ti scoppia, e ti capita tra capo e collo sulla pagina del sussidiario un maledetto «asssino» con tre esse. Asino o assassino? Farfugli, annaspi, balbetti. La maestra, sadica, tace e aspetta. Tutta la classe aspetta di sapere. Asino o assassino? Se non sei Churchill, nel dubbio ci resti a vita e schianti. La frana in quel caso è da vertigine. La parola diventa un Everest da scalare. Sarai condannato tutta la vita a escogitare larghe perifrasi per non usare le parole che cominciano con la lettera «a». I balbuzienti fanno di necessità virtù. Per eludere lo zampino del diavolo, schivare lo spasmo, cantano, scrivono, poetano. Rimatori stilnovisti, melodici, gorgheggiatori. Geni del rock come Jimi Hendrix, seduttori celebri come Anthony Quinn. Scrivono favole e diventano Esopo, Manzoni, Cervantes, Calvino. Incantano bambine come Lewis Carroll. La buttano in metrica, in strofa, in canto. Nei musical non ci sono mai balbuzienti. E nemmeno a teatro. Si presentano all’Actors Studio e s’immedesimano in altri, si fingono oche giulive. Le oche giulive non balbettano. Marilyn Monroe balbettava soprattutto quando stava con Arthur Miller. Giancarlo Dotto