Note: [1] ཿla Repubblica 27/6/2004; [2] Luciano Caglioti, ཿIl Messaggero 27/6/2004; [3] a. cian., ཿla Repubblica 27/6/2004; [4] Franco Debenedetti, ཿLa Stampa 29/6/2004; [5] Franco Foresta Martin, ཿCorriere della Sera 29/6/2004; [6] Antonio Cianciul, 27 giugno 2004
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 5 LUGLIO 2004
Troppi rifiuti? Bruciateli (e lasciate stare stazioni e binari).
Tre ettari di base per 1.100 metri d’altezza.
la montagna di rifiuti speciali, 11,2 milioni di tonnellate, scomparse in Italia nel 2002. [1]
Quanti rifiuti produciamo?
Nei Paesi industrializzati 450 chili a testa l’anno. Si tratta di scarti deperibili, che possono fermentare, produrre cattivo odore e, peggio, sostanze ed organismi nocivi. Dato che le quantità in gioco sono enormi, si devono recuperare metalli, carta, materie plastiche, eccetera. Quello che non si può o che non si riesce a recuperare viene bruciato, producendo calore per riscaldamento ed energia elettrica. Si tratta di un bel risparmio, anche sull’importazione di petrolio. Questo quando le cose funzionano. Il che, salvo eccezioni, non è il caso dell’Italia. Certo non della Campania, finita sulle prime pagine di tutti i giornali per i fatti di Montecorvino. [2]
La Campania produce 6.600 tonnellate di rifiuti al giorno.
L’equivalente di 330 Tir che vagano spesso senza meta ufficiale: le discariche disponibili sono sature e in molti casi chiuse per disastro ambientale; l’esportazione in altre regioni o all’estero è un sollievo temporaneo che non risolve nulla; la costruzione degli inceneritori è paralizzata dalla rabbia degli inquinati. [3]
C’entra la Camorra?
Per anni, spesso sotto la regia dei clan, le discariche disponibili sono state riempite di rifiuti in gran parte illegali e in gran parte importati dalle regioni più industrializzate. E quando la magistratura è dovuta intervenire per chiudere gli impianti che avevano prodotto i danni maggiori, non sono saltate fuori alternative. Così, alla fine, i camion con i rifiuti sono tornati davanti agli stessi luoghi dove avevano già seminato veleni. [3]
Cosa sono i termovalorizzatori?
Sono i vecchi inceneritori ribattezzati. [1] In tutti i paesi civili del mondo gli inceneritori non inquinano, producono energia elettrica e acqua calda e si costruiscono senza bisogno di chiamarli termovalorizzatori. In passato hanno causato grandi disastri ambientali e, nonostante il salto tecnologico, non si sono ancora liberati da quell’immagine negativa. [4]
La «peste» delle discariche fatte male è reale.
Ma il «dalli all’untore», come ha scritto Franco Debenedetti sulla ”Stampa”, nasce da superstizione e ignoranza: «L’humus su cui cresce è l’atteggiamento di sospetto o pregiudizialmente negativo verso la scienza. Combatterlo è operazione di lungo periodo, quando la gente è sdraiata sui binari è già troppo tardi». [4]
Bisognerebbe cominciare dal recupero.
Lo chiamano il «principio delle quattro erre»: riduzione della produzione di rifiuti; riuso di materiali; recupero da raccolta differenziata; recupero di energia. E in Italia c’è ancora molto da fare per migliorare queste erre. [5]
La gestione dei rifiuti è disciplinata dal decreto Ronchi del 1997.
Assegna un ruolo fondamentale alla raccolta differenziata. In questo modo da un lato si può ridurre il flusso dei rifiuti da avviare allo smaltimento e, dall’altro, ottenere materiali ancora utili per la produzione. [1]
Da qualche parte lo fanno già molto bene.
Enrico Fontana, direttore dell’Osservatorio legalità di Legambiente, dice che il consorzio Priula di Treviso, che serve 200mila abitanti, recupera con la raccolta differenziata 7 chili di rifiuti su 10. E non è una performance raggiungibile solo al Nord: a Padula, in provincia di Salerno, la raccolta differenziata è arrivata al 60 per cento. [3]
I comuni vicini dovrebbero prendere esempio.
Ci vuole un piano straordinario di rilancio della raccolta differenziata: la principale caratteristica della composizione dei rifiuti in Campania è una maggiore presenza di «umido», cioè di rifiuti organici legati al cibo (rappresentano il 40 per cento del totale). La raccolta separata dell’«umido», a cominciare dai grandi produttori come i mercati generali, consentirebbe di trasformare una quota consistente di spazzatura in terriccio facilmente riutilizzabile. [3] Aumentare la raccolta differenziata in Campania potrebbe far scendere i rifiuti destinati alla discarica dal 78 al 30 per cento. [6]
In ogni caso il problema si risove solo costruendo nuovi inceneritori.
Altero Matteoli, il ministro dell’Ambiente, dice che con quelli attualmente a disposizione solo per bruciare le ecoballe, cioè i rifiuti selezionati accumulati finora, ci vorranno 40 anni. [6]
I termovalorizzatori sono la soluzione migliore?
Sì, a patto che si selezioni prima tutto quel che può essere recuperato. Il termovalorizzatore è dotato di un forno in cui il combustibile derivato dai rifiuti, cioè quella parte dei rifiuti che può essere interamente distrutta, viene bruciata a temperature di circa 950 gradi. [5]
A questi livelli termici è scongiurata la produzione di diossine e di altri composti tossici.
Il calore della combustione è utilizzato per produrre vapore e attivare una turbina elettrica. I fumi e le polveri passano attraverso sistemi d’abbattimento prima di essere liberati nell’atmosfera. Insomma, chi dovesse passare accanto a un termovalorizzatore assorbirebbe meno inquinanti di un malcapitato pedone che fa una passeggiata in via del Tritone a Roma o in piazza Duomo a Milano. [5]
In Austria sono maestri
Il ministro Matteoli racconta di una sua passeggiata a piedi dal centro di Vienna alla sede in cui sorge un termovalorizzatore, piacevole anche dal punto di vista architettonico, e di un suo inutile annusare attorno all’edificio alla ricerca di odori sgradevoli. [5]
In Italia ci sono solo 47 inceneritori:
34 al Nord, 10 al Centro e soltanto 3 al Sud. [5] Al Sud per modo di dire: non si va oltre San Vittore, in provincia di Frosinone. Germania e Francia ne hanno un centinaio. [7] Monaco è la città europea con la percentuale più alta di rifiuti inceneriti con il recupero di energia: arrivano al 56,9 per cento. [8]
Perché da noi gli impianti non si fanno?
Come ha spiegato Sergio Rizzo sul ”Corriere della Sera”, le autorizzazioni sono un rebus. E se arrivano, gli enti locali fanno ricorso al Tar, sulla base della regola «not in my backyard», non nel mio giardino. Quando tutto sembra filare liscio, sempre in base alla stessa regola, ci pensa poi la rivolta delle popolazioni locali a bloccare tutto. [7]
Le amministrazioni non vogliono rogne.
I cicli elettorali sono troppo brevi perché un’iniziativa all’apparenza impopolare, ma in realtà utile alla comunità, come la costruzione di un termovalorizzatore, possa dare un ritorno politico. Così prevale la logica del rinvio. Meglio trovare una soluzione temporanea, come una bella discarica. Ma gli impianti per bruciare i rifiuti, in realtà, non si fanno anche per un altro motivo: le discariche sono molto più redditizie. [7]
L’Italia è il regno delle discariche.
Quelle autorizzate sono 1.385. Quelle abusive quasi cinquemila. [8] Lì finisce il 78 per cento dei rifiuti. Dieci anni fa era il 92. In base a una direttiva europea, dal 31 maggio 2005 le discariche dovrebbero essere dichiarate fuori legge. L’Unione Europea aveva stabilito, come tappa di avvicinamento alla fine delle discariche, che entro fine 2003 lo smaltimento di almeno il 35 per cento dei rifiuti solidi urbani dovesse avvenire con la raccolta differenziata. In Italia siamo ancora molto lontani. [7]
Le discariche costano meno dei termovalorizzatori.
Investimenti praticamente zero. Poco personale e qualche trattore. Ma non sono di alcuna utilità e rappresentano anzi un danno ambientale rilevante: basta considerare la superficie che occupano, che non può essere riutilizzata per almeno 30 anni. In Italia sono quasi tutte proprietà di privati. Quella di Roma, grande dieci volte lo stadio Olimpico, accoglie immondizia al prezzo di 35 euro la tonnellata. E parliamo di 4 mila tonnellate al giorno. [7]
Le discariche «illegali» smaltiscono il 30 per cento dei rifiuti prodotti in Italia.
uno dei migliori affari per la criminalità organizzata. Il giro d’affari ufficiale dell’immondizia, 110 mila tonnellate l’anno, è di 15 miliardi di euro. Il 30 per cento sono 4,5 milardi di euro. [7]
La prima legge sulle discariche è dell’82.
In base ai materiali da smaltire, esistono impianti di tre categorie: la prima per i rifiuti urbani, la seconda per quelli speciali (inerti o pericolosi, con specifiche caratteristiche di concentrazione), la terza ”top level” riservata alla spazzatura per la quale non è tecnicamente attuabile una diversa forma di smaltimento. In Italia, però, non è mai stata costruita una discarica di quest’ultimo tipo. [10]
Quali sono i problemi con le discariche.
L’abbondanza di biogas e il refluo, ovvero il difficile trattamento del percolato, il liquido di colore scuro e odore nauseabondo prodotto dall’azione solvente dell’acqua sui rifiuti smaltiti. Inoltre gli impianti creano una miscela gassosa, composta da metano e anidride carbonica. Il processo di decomposizione inizia subito nelle prime settimane di attività della discarica e si protrae per molti anni dopo la sua chiusura. Contro i danni all’ambiente delle discariche ”vecchio stile” vengono allestiti argini con terreni permeabili, trincee e condotti verticali di sfiato. Ciò, però, provoca il cattivo odore che si diffonde nelle zone circostanti e il mancato recupero energetico. [10]
Con i nuovi impianti il problema è risolto.
Per evitare la dispersione del biogas nell’aria e nel sottosuolo, la miscela «velenosa» viene aspirata dall’ammasso di rifiuti attraverso una serie di pozzi verticali, uniti tra loro da collettori orizzontali. La depressione, generata dalla centrale di aspirazione, permette la raccolta e la captazione del biogas prodotto dalla discarica. Così diminuisce l’impatto ambientale ed è possibile riutilizzare questa miscela altamente tossica come combustibile in turbo (gruppi a gas o a vapore per la produzione dell’energia elettrica) o come carburante per autotrazione, come avviene a Roma nei compattatori dell’Azienda municipale dell’ambiente. [10]
Bisogna convincere la Camorra a dotarsi di impianti più moderni.
La malavita ha puntato sull’«affare emergenza», la compravendita delle aree in cui stoccare le «ecoballe», i rifiuti trattati dagli impianti a combustibile. Le zone critiche sono l’Agro aversano, in provincia di Caserta e, a nord di Napoli, il triangolo Qualiano, Giugliano, Villaricca, ossia la «terra dei fuochi», dove si continuano a bruciare ogni notte enormi quantitativi di spazzatura con tecniche sempre più raffinate: dai pneumatici usati come combustibile alle balle di stracci imbevute con solventi pericolosi che sprigionano diossina. [9]
Altre mete di smaltimenti illeciti?
Le province di Cuneo e Brescia, con il massiccio impiego di capannoni industriali dismessi (riempiti di rifiuti speciali altamente nocivi), e Firenze, dove il materiale tossico viene mescolato alla sabbia per allestire le aree di allenamento dei cavalli in numerosi maneggi. [9]
Il concorrente più importante della Camorra sono le Ferrovie.
La processione, sferragliante e interminabile, va avanti da mesi. I treni della società Ecolog, del gruppo Ferrovie dello Stato, caricano i rifiuti della Campania e li portano in Germania. Quattro al giorno. E qualche convoglio si ferma anche in Emilia-Romagna, dove i rifiuti vengono smaltiti in discarica al prezzo astronomico di 120 euro la tonnellate, dieci volte più del costo «industriale» dell’operazione. [7]
L’export di immondizia non è una prerogativa esclusivamente meridionale.
Non tutti se lo ricordano, ma anche a Milano c’è l’emergenza. Per questo ogni giorno 800 tonnellate di rifiuti lombardi prendono, esattamente come quelli campani, la strada della Germania. Il paradosso è che mentre l’immondizia della Lombardia passa il Brennero, quella del Trentino (130 mila tonnellate sinora accumulate) finisce nelle discariche di Mariano Comense e di Mariana Mantovana. [7]
Presto potrebbero finire in Germania anche i rifiuti di Roma.
I signori della Ecolog, inventori del business più redditizio che gestiscano oggi le ferrovie, hanno già fatto i conti: nel 2006, quando chiuderà la discarica di Malagrotta, potrebbero partire otto treni al giorno. Poi, forse, sarà la volta dell’immondizia torinese. Perché anche lì si è vicini alla saturazione. E a quel punto altro che Campania. [7]