Francesco Merlo la Repubblica, 25/06/2004, 25 giugno 2004
Fini è un post e lotta insieme a noi, la Repubblica, 25/06/2004 Si entra nella storia come si esce dall’autostrada, il cartello Milano non è ancora la città di Milano, e dopo la segnalazione bisogna percorrere molti e accidentati chilometri
Fini è un post e lotta insieme a noi, la Repubblica, 25/06/2004 Si entra nella storia come si esce dall’autostrada, il cartello Milano non è ancora la città di Milano, e dopo la segnalazione bisogna percorrere molti e accidentati chilometri. Così il famoso sdoganamento di Gianfranco Fini, segnaleticamente datato 1993, l’anno della sua candidatura a sindaco di Roma, in realtà ha dovuto coprire undici anni per realizzarsi. infatti oggi che Fini finalmente si sdogana litigando irreparabilmente con il suo sdoganatore, perché mai come in questo caso la lite è il rovescio dell’abbraccio. Fini e Berlusconi si vedevano abbracciati ma in realtà lottavano avvinghiati come aveva ben capito Pinuccio Tatarella. Solo oggi l’immagine ferma di quell’abbraccio, che Fini conserva in una foto ”segreta”, si rivela come un momento della sequenza di un conflitto e di una intolleranza, la reliquia d’inizio del viaggio espiativo, l’icona di una prigionia. La malattia elettorale di Berlusconi ha evidenziato la buona salute di Fini, ma davvero non è questione di crisi di governo e neppure soltanto di politica economica e di poltrone, perché Fini ha ormai promesso d’essere «leale ma non servile», e tanto basta perché Berlusconi sospetti di lui, e non solo di lui. Berlusconi teme persino che, sabato e domenica, al ballottaggio di Milano «qualche alleato potrebbe tradirci», tutti affiliati ad una sorta di «carboneria lombarda». Perciò se davvero Ombretta Colli, nella città più berlusconiana d’Italia, non dovesse farcela, o comunque dovesse confermare il declino del partito pigliatutto e imprigionatutti, il risentimento diverrebbe più aspro e più penoso, gli incontri tempestosi di questi giorni richiederebbero l’accelerazione della resa dei conti e non sappiamo davvero come potrebbe finire. Di certo Fini pensa che verrà presto il giorno in cui sarà lui a sdoganare Berlusconi: dai suoi conflitti di interesse, dalle sue ossessioni politiche, comunismo ma anche fascismo, che sono ossessioni di comodo. Il comunismo perché in Italia persino Bertinotti è anticomunista con il suo movimentismo e il suo sindacalismo da Consigli di Fabbrica. E il fascismo perché in Italia, a parte quattro disturbati mentali, siamo tutti antifascisti e tutti postfascisti, compreso Fini. E tuttavia a Berlusconi fa comodo potere sdoganare An a prezzi di monopolio, tanto che il Cavaliere, quando è molto arrabbiato con Fini, agli amici suole dire: «Che vuoi farci, quello è un fascista». Sino a ieri lo sdoganamento era un ricatto, in complice ancorché involontaria solidarietà con la parte più nobile, più libertaria e più antiautoritaria della sinistra che pigramente ricorre alla formuletta antifascista per marcare le distanze da tutte le posizioni controverse, discutibili e tuttavia legittime assunte da Fini: sull’omosessualità, sul carcere ai fumati, sugli immigrati, sulla difesa dei poliziotti a Genova, sul pacifismo peloso, sul revisionismo storico.... Se la sinistra vuole aiutare il paese a battere Berlusconi dia dunque una mano a Fini e alla sua lotta contro il ricatto dello sdoganamento, contro l’uso discrezionale dell’antifascismo, appiccicato quando fa comodo e spiccicato quando fa comodo. Fini non può diventare un campione della democrazia quando in consiglio dei ministri minaccia la crisi o quando dice a Berlusconi «non prendo ordini da nessuno», e ritornare fascista quando predica la tolleranza zero verso l’immigrazione selvaggia e neppure quando per lealtà indulge e approva la legge Cirami o promuove la legge Gasparri sulle televisioni. Si può stare dall’altra parte senza essere fascisti. Si può persino essere fascisti senza essere fascisti. Insomma Fini è un degno uomo politico, un democratico vicepremier, come Pierferdinando Casini è un ottimo presidente della Camera, e come Veronica Lario è una gran bella signora con un cervello, senza che per questo diventino rispettivamente, a secondo del tempo e della distanza che prendono da Berlusconi, Fini come Garibaldi, Casini come Ingrao e Veronica come Franca Rame. Vogliamo dire che è lecito essere persone per bene senza essere di sinistra, che si può essere berlusconiani ed apprezzare la filosofia antica e persino la rivista ”Micromega”. Nessuno dovrebbe essere costretto a raccontarsi a Maria Latella, come ha fatto la signora Berlusconi, in un intelligente libro di gradevole lettura (Tendenza Veronica, Rizzoli), per dimostrare che le donne berlusconiane non hanno tre piedi, e che la moglie di Silvio ama Silvio senza sparare su Berlusconi. Speriamo che almeno a Fini venga risparmiata l’ordalia del libro dove un alleato di governo, pur individuandone e combattendone i limiti, è costretto a riconoscere la supremazia del leader. La battaglia di Fini contro Berlusconi è bella e importante proprio perché non è la nostra, e certamente non è la stessa battaglia di Fassino, di Veltroni, di D’Alema, di Enrico Letta, di Giancarlo Caselli, di Di Pietro, di Bertinotti... una disputa di valore perché tende a liberare una risorsa, a sprigionare l’ostaggio Fini, a dare all’Italia la gamba destra, ad andare oltre Berlusconi. Un po’ come vuol fare Milano, che è stata città berlusconiana non perché è vicina ad Arcore, ma perché è la città che più di tutti svezza le novità. Per una volta ha torto Goethe: chi vuol capire l’Italia deve conoscere Milano e non la Sicilia. Milano è la novità e la Sicilia è l’esperimento. Ebbene, sia a Milano sia in Sicilia è iniziato il dopo Berlusconi. A Milano perché, comunque vada a finire il ballottaggio, Berlusconi ha già perso. Milano, che da sola è più complessa del paese, già ricco e variegato, è città che sconvolge mestieri, crea nuove identità sociali, attrae i curiosi e respinge i perdenti. Milano è un vortice che sta segnalando, anche in sede elettorale, la residualità di Berlusconi. Così come, e speriamo che nessuno si offenda, il marxismo rende residuale Marx; come lo spirito sopravvive alla lettera o se volete i figli al padre. Insomma i milanesi, che a maggioranza sono stati aziendalisti e berlusconiani, stanno cercando un «oltre» che li faccia convivere con l’accelerazione dei processi storici e sociali. Berlusconi è stato il sintomo e la traccia della novità, ma ha cercato di subordinare a sé l’Italia. E ora l’Italia si sente terribilmente infagottata, stretta, proprio come si sente Fini quando in Consiglio dei ministri dice a Berlusconi che non ne può più. il paradosso dei colonizzatori. I Padri Pellegrini andarono nel Nuovo Mondo come coloni inglesi, lo fecondarono della novità che era nata in Inghilterra, ma poi dovettero liberarsi dell’Inghilterra. Come Milano anche la Sicilia segnala la decadenza di Berlusconi. In Sicilia nei ballottaggi, in molti comuni importanti, tra i quali Acireale, Acicastello, Mascalucia... c’è addirittura un apparentamento sperimentale, con tanto di notaio, tra Centrodestra e Centrosinistra contro i candidati di Forza Italia. A Catania trasmigrano rettori, notabili e pezzi di partiti e a Milano non basta più la simpatia di Ombretta Colli. Ecco perché le liti di Fini con Berlusconi non sono i soliti capricci politici. Quello che si è consumato sotto gli occhi del mediatore Gianni Letta non è più il solito teatrino politichese, non è la rappresentazione di narcisismi ambiziosi, ma è invece la lotta della destra nazionale contro il populismo aziendale, è la solidarietà nazionale contro il localismo nordico, la collegialità contro la monocrazia, è la destra moderna che vuole liberarsi del peronismo all’italiana. Francesco Merlo