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 2004  giugno 22 Martedì calendario

Mr James Ellroy racconta storie, non parla di Iraq e non critica Bush: «Lui non ha mai criticato i miei libri», La Stampa, 22/06/2004 Mr James Ellroy, lei è qui a Milano per l’antologia di racconti noir che ha curato per Bompiani, e per

Mr James Ellroy racconta storie, non parla di Iraq e non critica Bush: «Lui non ha mai criticato i miei libri», La Stampa, 22/06/2004 Mr James Ellroy, lei è qui a Milano per l’antologia di racconti noir che ha curato per Bompiani, e per... «Non ne letto neanche uno, di quei racconti». Prego? « un favore che dovevo a qualcuno, ho messo volentieri la mia firma e basta. E comunque, sono qui per la Milanesiana dove proiettano L.A. Confidential, che è tratto da un mio romanzo. Io leggerò qualcosa».  un buon lettore? «In pubblico? Eccellente. Mi piace». E non in pubblico? «Non leggo. Non guardo la televisione: solo la boxe. Non vado quasi al cinema: solo polizieschi. Sono immune ai mass media». Però rilascia interviste, e pare non le dispiaccia. «Mi piace. Spesso ripeto le risposte, perché le domande si ripetono. Ma è naturale che sia così». Il maestro del noir ha una strepitosa giacca a riquadri beige e rosa squillante. Occhiali metallici, mandibola di prammatica. Come tutti i suoi lettori sanno, sua madre è morta ammazzata quando lui aveva 10 anni. Delitto mai risolto. E adolescenza estrema, per James: con il padre altrettanto sbandato, finché non è morto anche lui; poi arruolato, buttato fuori dall’esercito, in galera per piccoli reati, e le anfetamine, e l’alcolismo, e la disintossicazione. A trent’anni campava facendo il caddy in un golf club di Los Angeles. «A trent’anni ho preso carta e penna e mi sono messo a scrivere. Ho capito che ero bravo, ho capito che ero uno scrittore. Sei uno scrittore quando hai una storia da raccontare». La storia di sua madre, James Ellroy l’ha raccontata una prima volta, romanzandola, in Clandestino: lì, nella fiction, il delitto veniva risolto. Il colpevole era il padre. Ma non se ne era ancora liberato: I miei luoghi oscuri, crudelmente autobiografico, è del 1996, Ellroy aveva quasi cinquant’anni, aveva già scritto Dalia nera e altri romanzi così hard-boiled che «bruciano il bollitore», come dicono i suoi fan. Abbastanza vita da riempirne un centinaio: di vite, e di libri. «Vivo nel vuoto assoluto. Non mi piacciono le distrazioni, mi piace la semplicità. Niente intrusioni. La cultura è un’intrusione». Altre volte ha detto che la cultura è «merda nel cervello». Però scrive libri. «Quello che scrivo è diverso da quello che sono. Vivo sulla costa californiana, ho lasciato Los Angeles nel 1981. Mi riposo, scrivo, penso». Ascolta musica? «Classica. Beethoven, Bruckner, Mahler, Schubert, Rachmaninov...». Come fa ad applicare un filtro così rigido, a decidere che il terzo concerto per piano di Rachmaninov le piace e che il rock’n’roll le fa schifo, anche se non lo ascolta e non l’ha mai ascoltato? «Verso i 13 anni frequentavo un’ottima scuola. Ricevevo molti stimoli, ma mi ricordo che pensai: nella vita mi interessano davvero solo sette cose: i polizieschi, la storia americana, le donne, la boxe, la musica classica, le macchine sportive. ancora esattamente così, per me». Sono sei, non sette. «Non importa. Ho deciso a quell’età che cosa mi piaceva, e più invecchio più è così: cerco limpidezza e pace».  una ricerca che ha qualcosa a che fare con la religione? «Ho fede, ma non ho religione. Per raggiungere la pace mentale bisogna limitare gli stimoli del mondo». Che cosa pensa del new age? «La meditazione, lo yoga? Ottimi». Li ha mai praticati? «No». Una vita familiare serena è importante? «No. Comunque, io non ho genitori, non ho fratelli, non ho figli». Ha una moglie: non è famiglia? «No, è un rapporto fra individui». Non c’è troppo fanatismo religioso, nel mondo? «Non in America, molti pensano che siamo governati da frange fondamentaliste ma non è così. Niente, in confronto ai musulmani». Negli ultimi libri (American Tabloid, Sei pezzi da mille e un nuovo romanzo che non ha ancora un titolo e conclude la trilogia) lei scrive della storia americana fra il 1958 e il 1972, ovvero della «politica come male». Si rende conto che oggi, dicendo «politica come male», molti pensano subito alla guerra in Iraq? «Il Presidente Bush non ha mai criticato i miei libri e io non critico il Presidente Bush. Soprattutto quando sono all’estero». E negli Stati Uniti? «Neanche». Dopo la trilogia, scriverà della storia americana più recente? «Sto scrivendo un romanzo sulla politica corrotta degli anni Venti». Si allontana sempre di più dalla materia autobiografica. «Se, come spero, scrivo sempre meglio, con maggior purezza e umanità, ogni libro parla più profondamente di me stesso. Scrivere di mia madre non è stato catartico. Dovevo onorare la sua morte, le dovevo rispetto». E a suo padre no? «Mio padre non è mia mamma».  vero che ha usato le sue vicende private per il lancio promozionale di Dalia nera? «Certo. Anche quel romanzo racconta dell’omicidio irrisolto di una donna». Si chiede mai come sarebbe stata la sua vita se... «Mai. Vivere per me significa andare nella maniera più efficace da A a B. Non posso cambiare il passato, e non voglio. Sono fortunato, sono nato in America». Giovanna Zucconi