Giampaolo Visetti la Repubblica, 20/06/2004, 20 giugno 2004
Il giovane Abramovich senza un rublo comprava solo profumi, la Repubblica, 20/06/2004 Mosca. Portava barba e capelli lunghi «per farsi prendere sul serio», viveva in una catapecchia messa a disposizione da uno zio ed era più povero di un topo di chiesa
Il giovane Abramovich senza un rublo comprava solo profumi, la Repubblica, 20/06/2004 Mosca. Portava barba e capelli lunghi «per farsi prendere sul serio», viveva in una catapecchia messa a disposizione da uno zio ed era più povero di un topo di chiesa. Possedeva due maglie e due paia di pantaloni, un paio di scarpe per tutto l’anno. Per risparmiare le sedie, usava sacchi di sabbia o cassette. Il frigo era eternamente vuoto, ma se qualcuno gli offriva un pasto mangiava poco per non fare la figura dell’affamato. Stava alla larga dalle donne. In più odiava il calcio, la vodka e le sigarette che vendeva al mercato nero fuori dall’hotel Metropol, a due passi dal Cremlino. Ma quando il suo primo datore di lavoro gli chiese cosa volesse fare nella vita, rispose: «Comprare tutto il mondo». stato ”Moskovskj Komsomolets” a svelare il mistero che fino ad oggi avvolgeva la giovinezza di Roman Abramovich, 37 anni, magnate del petrolio e secondo uomo più ricco della Russia con un patrimonio di 13 miliardi di dollari. A raccontare l’esordio negli affari del padrone del Chelsea è stato Vladimir Tjurin, un passato di commerciante di giocattoli ed un business naufragato tra tasse e concorrenza cinese. «La prima volta che vidi quel ragazzino magrissimo - è il suo ricordo - fu quando prese un calcio nel sedere dal mio socio. Gli gridò di chiudere la porta e di portarsi via la sua brutta faccia da ebreo. Abramovich più tardi mi spiegò che non sopportava più il suo capo perché non sapeva come si fa a guadagnare e non accettava consigli». Era la fine degli anni Ottanta, il futuro governatore della Ciukotka non aveva nessuno al mondo e nemmeno i soldi per il bus. La madre era morta di parto, il padre manovale era rimasto schiacciato in un cantiere. Da Saratov sul Volga, il ventiduenne Roman decise di cercare lavoro nella capitale. Lo aiutò uno zio, cedendogli una topaia di una stanza sul Tsvetnoj Bulvar. «Mi colpì subito la luce dei suoi occhi quando si parlava di affari - racconta Tjurin - e decisi di offrigli un posto nella mia ditta di animaletti di gomma. Abramovich li vendeva benissimo, sulle bancarelle. Dagli elefantini, grazie ad una sua idea, ci allargammo così a Cappuccetto rosso e ai nanetti. Per gratitudine assunsi come commessa anche la sua prima moglie, Olga. La misi a vendere fermagli per capelli al mercato». Il povero venditore di giocattoli si comportava già come se fosse un affermato businessman. «Agiva come se l’azienda fosse sua. Se cadeva una scatola non si muoveva: chiamava un operaio a raccoglierla. Se capitava di assaggiare caviale e salmone - prosegue Tjurin - fingeva di non gradire per nascondere il fatto che non li avesse mai visti. Un giorno gli portai a casa un sacchetto con la spesa: scopersi così che viveva in miseria. C’era solo un vecchio tavolo di plastica, alcuni chiodi come attaccapanni, due cassette per sedersi e un materasso sul pavimento. I pochi soldi che guadagnava, Abramovich li investiva tutti in profumi, camicie bianche e pantaloni scuri: mi disse che lo faceva per poter dare ordini». Non si lamentava mai, nemmeno quando il socio di Tjurin un giorno lo prese per il collo e lo sbattè sull’asfalto. «Gli si riempirono gli occhi di lacrime, ma non disse una parola». Durò 3 anni, fino all’89. Quel lavoro, al futuro fondatore della Sibneft, andava stretto. Gli affari, con l’invasione dei giocattoli orientali, peggiorarono. «Io ho tutto in testa - ricorda il suo capo - disse quando fui costretto a licenziarlo per salvare il bilancio. Non aveva amici né prospettive. Eppure le sue guance ardevano e quando se ne andò era sicuro che un giorno sarebbe diventato l’uomo più ricco della terra. Perse il posto da venditore di pupazzi e fu la sua fortuna: cinque anni dopo avrebbe potuto acquistare mezza Mosca». Tjurin racconta che al congedo, per scherzo gridò a Roman di ricordarsi di lui, quando avrebbe girato per la capitale su una Mercedes blindata. «Gli dissi: ricordati di assumermi almeno come giardiniere». Come è finita si sa: il povero Abramovich, in dieci anni, è diventato uno degli uomini più ricchi del pianeta. Si è sposato altre due volte, possiede decine di residenze in tutto il mondo, ha comprato panfili, jet, ville e la squadra di calcio più amata dai londinesi. La sua famiglia è protetta da un esercito di cento guardie speciali. «Era troppo ottimista, quando gli mancava tutto, per restare povero». Tjurin invece è fallito: quando ha rivendicato il suo posto di giardiniere, il segretario di Abramovich non ha risposto. Giampaolo Visetti