Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2004  giugno 17 Giovedì calendario

Dov’è finito il tesoro di Saddam Hussein?, Il Sole-24 Ore, 17/06/2004 Sono le 4 del mattino. Qusay Hussein, uno dei due figli di Saddam, il delfino, il predestinato alla successione, si presenta con un seguito di camion davanti all’ingresso della Banca centrale irachena

Dov’è finito il tesoro di Saddam Hussein?, Il Sole-24 Ore, 17/06/2004 Sono le 4 del mattino. Qusay Hussein, uno dei due figli di Saddam, il delfino, il predestinato alla successione, si presenta con un seguito di camion davanti all’ingresso della Banca centrale irachena. Mostra una lettera firmata dal padre che autorizza un prelievo in contanti di 1 miliardo di dollari: 900 milioni in pezzi da 100 dollari, il resto in euro. il 18 marzo 2003. La guerra voluta dagli americani è ormai nell’aria. Due giorni dopo cominceranno a cadere le prime bombe su Baghdad. Ma i camion, con il loro prezioso carico, scompaiono nel nulla. Spariti. Volatilizzati. Forse oltre la frontiera siriana e da lì chissà dove. « il furto del secolo», scriveranno all’indomani i giornalisti. L’ultimo, in ogni caso, di una lunga serie di saccheggi perpetrati per più di trent’anni dal dittatore, iracheno. Una ragnatela di società. Il dipartimento al Tesoro americano ha appena avviato una serie di azioni legali internazionali contro otto front company di Saddam, società ai vertici della piramide finanziaria creata dall’ex rais per occultare i fondi neri iracheni e acquistare armamenti sui mercati internazionali. «Abbiamo smascherato la facciata finanziaria del vecchio regime iracheno», ha commentato Samuel Bodman, vice-segretario al Tesoro Usa. La speranza della Casa Bianca, grazie alla rinnovata collaborazione multilaterale in sede Onu, è quella di riuscire a recuperare parte di quelle somme. Un tesoro che dovrebbe tornare teoricamente agli iracheni attraverso il Fondo per lo sviluppo dell’Irak amministrato dall’Onu, o che quanto meno potrebbe aiutare Washington a ripagarsi dai costi iperbolici - il Pentagono spende 5 miliardi di dollari al mese solo per mantenere le truppe in Iraq - di una guerra più complessa del previsto. La lista nera delle società finite nel mirino Usa è stata girata all’Onu, con la richiesta, in accordo alla risoluzione 1483 del Consiglio di sicurezza, di bloccare tutto, capitali e attività finanziarie. «Sei miliardi di dollari di capitali e fondi neri di Saddam - ha commentato Bodman - sono già stati sequestrati e più di 2,5 miliardi sono già stati girati dagli Usa alla gente irachena». Il tesoro scomparso. L’ex rais avrebbe ammassato nel corso degli anni un’enorme fortuna stimata da 5 a 20 miliardi di dollari. Una fortuna costruita non solo durante l’embargo, ma soprattutto nei decenni precedenti. Quando Saddam era considerato un amico dell’Occidente. E manager e capi di Stato facevano la fila - anche Bush padre ha fatto affari con lui prima di diventare Presidente - per riportare a casa ricche commesse e sonanti contratti garantiti dal petrolio. Gli investigatori del General accounting office, la Corte dei Conti Usa, hanno calcolato che solo in cinque anni, tra il ’97 e il 2001, Saddam ha distratto fondi per 6,6 miliardi di dollari dall’export illegale di greggio in violazione all’embargo internazionale. Un vero e proprio tesoro. Costruito da un potere oppressivo attraverso un rigido controllo dell’economia. Saddam ha lucrato su tutto: le importazioni illegali, le tasse del 70% su ogni barile di petrolio, il contrabbando di sigarette, l’export attraverso società di intermediazione vicine o legate al regime, il turismo religioso perfino. E di gran parte di questi fondi si è persa traccia. Un fiume di capitali che da Baghdad sarebbero finiti in Svizzera. E da lì dirottati nei conti correnti segreti di centinaia di società offshore, nei paradisi fiscali di mezzo mondo, o attraverso società di copertura trasformati in partecipazioni azionarie in multinazionali e oggi nascosti chissà dove. La lista nera. Ecco la lista delle società che avrebbero gestito il tesoro di Saddam. La Al-Wasel & Babel general trading, con sede a Dubai, era controllata dal ministro delle Finanze iracheno Hikmat Mizban Ibrahim al-Azzawi. La società, secondo gli investigatori americani, ha procurato sofisticati sistemi di missili terraaria all’Iraq. E dal ’90 in poi ha avuto un ruolo di primo piano nella distrazione di fondi e l’acquisto illegale di merci in violazione all’emabargo internazionale e al programma ”Oil for food” dell’Onu. La Al-Huda, azienda statale per il turismo religioso, era invece una società di copertura usata dai servizi segreti iracheni che aveva il monopolio, con ricche provvigioni, del trasporto e dei servizi turistici legati alle visite dei pellegrini iraniani alle città sante sciite di Najaf e di Kerbala. I ricavi dei pacchetti turistici venduti agli iraniani venivano direttamente girati ai conti segreti. Gli 007 americani parlano di almeno 500 milioni di dollari all’anno in provvigioni finiti nelle casse del vecchio regime. La Aviatrans Anstalt, società off-shore con sede in Liechtenstein, gestiva i fondi neri di Saddam e dei suoi più alti ufficiali. ancora intestato alla società il jet Falcon 50 sotto sequestro in Svizzera, acquistato con i fondi dell’aviazione irachena e usato per trasportare gli alti ufficiali in trasferta. Una villa in Costa Azzurra. Logarcheo Sa, invece, era una società di copertura creata per gestire i capitali e le partecipazioni azionarie del vecchio regime. Tra le altre cose, risulta intestataria di una villa da 12 milioni di euro in Costa Azzurra, vicino a Cannes, pare acquistata da Saddam Hussein in persona. Ma forse la principale società di copertura del regime baathista era la Midco finance Sa. Presidente e amministratore delegato della società finanziaria Midco, autorizzato alla firma, era Klialaf al-Dulaymi, funzionario dei servizi segreti che sarebbe stato il «banchiere» di Saddam, l’uomo che durante il vecchio regime aveva la responsabilità di gestire gli investimenti dei servizi segreti iracheni. Khalaf al-Dulaymi, era anche il numero uno della società panamense Montana management, creata nell’84, che aveva il controllo di importanti pacchetti azionari in molte aziende francesi. [omissis] La Al-Bashair trading company era la società con sede in Iraq e una filiale in Siria, capofila nelle operazioni del regime per l’acquisto illegale di armi sui mercati internazionali e la distrazioni di fondi. Controllata da Munir al-Kubaysi, la trading company portava direttamente all’organismo statale che gestiva i programmi di reperimento e acquisto degli armamenti iracheni, guidato dall’ex primo ministro Abd-al-Tawab Mullah Huwaysh. L’embargo superato. I documenti ritrovati nella sede della società a Baghdad dopo la caduta del regime provano che la trading company era coinvolta in una serie di operazioni illegali - come false fatturazioni, tangenti, falsificazione di documenti, riciclaggio di denaro - per ingannare gli ispettori delle Nazioni Unite e riuscire ad acquistare sui mercati internazionali, nonostante l’embargo, componenti missilistici, apparecchiature radar e carri armati per il vecchio regime. Attraverso la filiale siriana, inoltre, la trading company smistava sui conti esteri i fondi neri distratti dal Governo. La Al-Arabi trading company, l’ottava società sotto accusa, è infine una holding che raggruppa una serie di aziende coinvolte, dalla fine degli anni 80 e durante gli anni dell’embargo internazionale, nell’acquisto illegale di armamenti. Al-Arabi, tra l’altro, risulta detenere il 99% del capitale della società britannica Technology and Development Group Limited (Tdg) che, a sua volta, controlla la Ting engineering limited: due società di copertura del network creato da Saddam per l’acquisto di armi. I conti svizzeri all’Onu. Il Governo svizzero nei giorni scorsi ha autorizzato il traferimento di tutti gli averi di Saddam scoperti nel Paese al Fondo di sviluppo dell’Iraq dell’Onu. Al momento sono rientrati 650 milioni di dollari. Poca cosa. Rispetto al resto del tesoro ancora nascosto nella bizantina ragnatela creata dai consulenti dell’ex rais: i giudici svizzeri sono arrivati alla conclusione che i fondi trasferiti da Baghdad in Svizzera siano stati dispersi nei conti segreti di centinaia di società offshore. Solo una, la Mediterranean enterprises development projects, con sede legale nel Canton Ticino e filiali a New York, Tokyo, Londra e Parigi, controllerebbe circa 300 società, principalmente in Liechtenstein e Panama, che si sospetta abbiano manovrato centinaia di milioni di dollari per Saddam dagli anni 80 fino, appunto, a pochi giorni prima dallo scoppio della guerra voluta dagli americani. Riccardo Barlaam