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 2004  giugno 17 Giovedì calendario

Il mondo alla rovescia: il compagno-operaio Buglio è un liberal, Corriere della Sera Magazine, 17/06/2004 L’operaio generico di terzo livello Buglio Salvatore, 21 anni, stipendio mensile 80 mila lire circa, quella mattina di ottobre del 1973 si presentò molto per tempo ai cancelli della Fiat

Il mondo alla rovescia: il compagno-operaio Buglio è un liberal, Corriere della Sera Magazine, 17/06/2004 L’operaio generico di terzo livello Buglio Salvatore, 21 anni, stipendio mensile 80 mila lire circa, quella mattina di ottobre del 1973 si presentò molto per tempo ai cancelli della Fiat. «Il mio primo giorno di lavoro. Dovevo entrare alle otto, alle sei ero già lì davanti. Emozionatissimo. La cosa più bella del mondo, mi si aprivano le porte del paradiso». Era meno emozionato l’onorevole Salvatore Buglio quando, nella primavera del ’96, varcò per la prima volta il portone di Montecitorio, fresco eletto del collegio Nichelino-Carmagnola, profondo Nord piemontese. «Mi avevano detto: sei bravo, ma un meridionale da noi non vince. Invece ...». Qui si racconta un (apparente) paradosso: come mai l’unico operaio che la sinistra italiana abbia oggi in Parlamento è anche il suo deputato più riformista. Uno al quale ha dedicato un editoriale di elogi persino Giuliano Ferrara sul ”Foglio” («Buglio, il giusto»), e Paolo Mieli lo ha citato tra i non molti riformisti in attività. Ma pure uno che Sergio Cofferati da leader della Cgil non sopportava, che la Fiom, il sindacato dei metalmeccanici, non sopporta ancora oggi, che i girotondini hanno sulle scatole. Anche ”l’Unità” lo ha attaccato duramente.  dalemiano, ma ha criticato le scelte di alcuni collaboratori fatte dal leader al tempo di Palazzo Chigi. Ride: «Sono un operaio non amato dalla nomenclatura di sinistra. Me lo sento addosso. Forse perché non sono quello che loro avevano in mente, manicheo e classista, uno da esibire come un pappagallo che ogni giorno deve ripetere Padroni sfruttatori e Berlusconi delinquente. Da una parte dei Ds e della Fiom sono visto come un traditore».  nato a Catania 52 anni fa, Salvatore Buglio. Nel quartiere di Tondicello della Plaja, zona povera ma di «spacchiosi», di gente che si fa largo spavalda. «La via Paal di Catania», dicono in città. Ultimo di sette figli, il padre muore in maniera drammatica quando Salvatore aveva appena pochi mesi. A nove anni va a lavorare: pescivendolo, venditore di ghiaccio, saldatore, manovale. Persino demolitore di auto insieme ai fratelli. Piccoli lavori di sopravvivenza, a volte sul filo della legalità. Poi una notte, a diciotto anni, addosso solo una giacchetta, «un freddo che ancora me lo sento dentro», sale su un treno, «senza un soldo e senza biglietto», e via dalla Sicilia. «Ho capito che avevo davanti un bivio, e che potevo prendere la strada sbagliata». Roba da libro Cuore? Forse, ma Buglio non se ne lamenta. Anzi. «Certe cose, a ripensarci, sembrano persino divertenti. Ci misi tre giorni per arrivare a Torino. A ogni stazione un controllore mi buttava giù dal treno, e io salivo su quello successivo. Almeno mi sono fatto il viaggio in prima classe: tanto se andavo in seconda mi buttavano giù lo stesso». Quando sbarca a Torino è buio, le prime persone che incontra sono degli operai Fiat. «Mi diedero mille lire per comprarmi qualcosa da mangiare». Scene tra il cinema neorealista e Mimì metallurgico. «Nebbia, freddo, neve. Un inferno. C’erano davvero i cartelli con scritto ”Vietato ai cani e ai meridionali”. Per alcune notti ho dormito per strada». Carpentiere a Verzuolo, «il paese di Flavio Briatore», poi alla Burgo, l’operaio precario Buglio Salvatore finisce a Nichelino, cintura torinese, «perché lì stavano tutti i meridionali». Precario perché intanto il lavoro alla Fiat, dopo qualche mese, era andato a farsi benedire. «Avevo un caporeparto veneto, un razzista che copriva di insulti i meridionali, me ne diceva di tutti i colori. Io mandavo giù: un mese, due mesi, tre mesi... Un giorno non ce l’ho fatta più e l’ho preso a schiaffi». Poi Buglio arriva alla Viberti, dove resta fino al ’95, quando la società fallisce. Vent’anni prima si era sposato, il futuro onorevole. «Con rito civile, perché non si pagava. Io e mia moglie non avevamo una lira, non esiste neanche una foto del nostro matrimonio. Gli anelli ci furono prestati dagli amici, e dopo la cerimonia li abbiamo dovuti restituire. In Comune ci offrirono un mazzo di fiori. ”Scusi una domanda: si paga?”. ”No, sono un omaggio”. Allora ce li siamo presi». Non andava tanto bene. «L’affitto lo pagavamo con mesi di ritardo. Una fame... Sotto casa c’era una specie di giardino che gli altri immigrati avevano trasformato in orto. Proprio in mezzo c’era una zucca enorme. La guardavo ogni giorno. ”Me la fotto”, dicevo a mia moglie. Una notte sono sceso giù e mi sono fottuto la zucca. Pesava da morire. Per settimane a casa abbiamo mangiato solo zucca: zucca con l’olio, pasta con la zucca, purea di zucca. Adesso la zucca mica mi piace tanto». Poi il sindacato, il partito comunista, consigliere comunale, delegato al congresso nazionale. L’operaio Buglio diventa il compagno Buglio. «Mi sentivo un missionario del Pci». A farne un militante laico, racconta, furono due eventi che a lungo la sinistra ha considerato funesti: i trentacinque giorni di sciopero alla Fiat e il referendum sulla scala mobile. «Capii che il Pci poteva sbagliare. Cesare Romiti nell’80 salvò la Fiat e il posto di lavoro di migliaia di lavoratori. Fece bene, in fabbrica c’era un’anarchia incredibile. E Craxi bloccò l’inflazione e aumentò il potere dei lavoratori. Vicende che cancellarono la mia visione manichea della società». Intanto la vita del compagno Buglio, in mobilità «a un milione e 140 mila lire al mese», stava per cambiare. Nel ’96 il Pds organizza una conferenza programmatica. D’Alema è il leader del partito, alla conferenza partecipa, come illustre ospite, pure Berlusconi. Altri tempi. Parla il primo e si prepara a intervenire il secondo. Nell’intermezzo, la parola viene data proprio a Buglio. Lui si avvicina al microfono e la sala comincia a svuotarsi in attesa del Cavaliere. S’impunta: «Dove andate? Sono un operaio, mica uno spot». Tutti si bloccano. D’Alema lo cita nella replica. Alle elezioni gli offrono la candidatura nel collegio di Nichelino, zona persa alla sinistra, «nessuno lo voleva», deputato polista uscente. Vince una prima volta contro un’imprenditrice forzista, ancora nel 2001 contro un leghista. Le prime uscite in campagna elettorale sono preoccupanti. «A una riunione con i coltivatori diretti di Castagnole parlavano in dialetto stretto piemontese, non capivo niente». E quelli non capivano lui, che ancora parla con forte accento siciliano, e l’intercalare «minchia», che nelle campagne piemontesi deve produrre un certo effetto, spesso e volentieri si fa strada. Poi, le polemiche di questi anni. «Mi sono candidato senza essere né espressione del sindacato né funzionario di partito né lavoratore Fiat. Così non ho mai attirato la simpatia dell’aristocrazia operaia». C’è da dire che Buglio a volte se le cerca. Al tempo della guerra in Afghanistan fece affiggere nel suo collegio dei manifesti con il nome e il simbolo del partito: «Io sto con Bush». Racconta: «Ci sono compagni che ancora me lo rinfacciano, mi dicono che li conservano come permanente segno d’infamia». Durissima è stata la polemica con Cofferati al tempo dello scontro sull’articolo 18. «Sostenevo che non poteva fare politica utilizzando il sindacato, perché così non faceva gli interessi dei lavoratori. Da allora quelli della Cgil mi hanno messo da parte, mi vedono come uno di destra. Ma io, prima di parlare, telefonate in Cgil non ne faccio». Diffidenza aumentata quando Buglio, dopo una serie di attentati alle sedi della Cisl, ha chiesto l’iscrizione «per un anno e per solidarietà» al sindacato di Savino Pezzotta. Peggio ancora con i metalmeccanici, i duri della Fiom. Ironizza l’onorevole diessino: «Lì su di me hanno deciso: wanted, vivo o morto». Scontro pure con i girotondi, «delegittimare i partiti fa solo il gioco della destra». E anche se dalemiano spinto, quasi si commuove quando ricorda la visita a Nichelino, da vicepresidente del Consiglio, di Walter Veltroni: «Mi volle sempre vicino a lui, chiamava i compagni e gli operai uno per uno, nome per nome. Una bella persona». Persino l’’Herald Tribune” si è incuriosito di questo strano operaio che potendo fare l’operaista preferisce fare il riformista, lasciando fare gli operaisti a compagni di più comodo passato e di più consolante presente. Sospira: «Ma storie come la mia non si ripeteranno più. Adesso in Parlamento sono sempre più forti le lobby. Sempre più spesso vengono eletti grandi commercialisti, figli di papà, esecutori fedeli, funzionari di qualcosa. E io non sono niente di tutto questo». Stefano Di Michele