Goffredo De Marchis la Repubblica, 01/06/2004, 1 giugno 2004
D’Alema al Sud s’innervosisce col monsignore ma insegue il côté democristiano, la Repubblica, 01/06/2004 Cosenza
D’Alema al Sud s’innervosisce col monsignore ma insegue il côté democristiano, la Repubblica, 01/06/2004 Cosenza. «Questo leggio è troppo alto, tenetelo per Fassino». La gente ride e applaude. anche su palchetti di fortuna, quattro tubi Innocenti scoperti, qualche bandiera dei Ds e dell’Ulivo, una pianta all’angolo per dare un tocco d’eleganza che si gioca la campagna elettorale al Sud. Un comizio in riva al mare a Falerna Lido con i cittadini in costume da bagno, un altro, un’ora dopo, in cima alle montagne avvolte dalle nuvole dove i vecchi indossano ancora il vestito di flanella. Un bracciante pensionato, 82 anni, lo segue con lo sguardo seduto su una panchina: «Certo che lo voto perché il padrone non mi faceva portare a casa nemmeno una pera». Massimo D’Alema parla alle piccole folle dei paesi della Calabria e si diverte. Stringe mani, scherza, raccoglie complimenti e promesse di voto. «Sono le mie soddisfazioni». Tutto di corsa, ma si fa vedere. Campagna elettorale praticamente porta a porta, per ottenere il pieno di preferenze e battere Berlusconi, il capolista assente, lontano, che non andrà in Europa. La scaletta del discorso è più o meno sempre la stessa. Primo: una bastonata al Cavaliere, «siamo al limite della patologia. Non chiede un mandato europeo, pretende un riconoscimento. la democrazia dell’omaggio, una cosa pazzesca». Secondo: un attacco al governo «razzista che non ha dato niente al Mezzogiorno». Terzo: un riferimento alla pace. Quarto: un richiamo a «non disperdere i voti nelle liste di protesta». Quinto: l’invito a votare la lista unitaria. Cioè lui. Messaggi semplici, immediati, ma il presidente Ds non rinuncia a conquistare anche le 500 persone che occupano Viale Migliaccio a Girifalco, la Calabria più profonda tra il Tirreno e lo Ionio, 7.000 abitanti d’inverno, 30 mila a Ferragosto, un luogo svuotato dall’emigrazione. Per arrivarci bisogna fare 35 chilometri di curve da Lamezia Terme, su una strada stretta come una mulattiera. Il paese è costruito intorno a una rupe dove, secoli fa, volteggiava solo un rapace. Da qui il nome, Girifalco. Dove osa il capolista... In campagna elettorale l’imprevisto può essere un salto di programma, una piazza semivuota. Al Sud ci sono anche i colpi di pistola. Un minuto prima, a Cosenza, D’Alema rimproverava i dirigenti locali: «Questo simbolo ancora non lo conoscono, sveglia». Un minuto dopo correva all’ospedale per avere notizie sul sindaco di Rende Sandro Principe ferito al volto durante un’inaugurazione. Giro di comizi sospeso per mezza giornata, ma quando gli altri sono ancora sotto choc e non sanno che pesci prendere, al ristorante dell’albergo di Rende D’Alema tira fuori la grinta. «Sicuramente il feritore è un esaltato, ma è anche un fascista, un iscritto alla Fiamma, non un emarginato. Il prefetto e il questore devono dire la verità, dare tutti gli elementi. Diteglielo». Con i collaboratori e i diessini locali, D’Alema mostra tutti i suoi spigoli. Pretende molto, li tiene sotto pressione. La partita è difficile, bisogna pensare perfino all’apostrofo in una terra dove gli anziani battono i record di longevità. «Non è facile scrivere D’Alema». Vuole cambiare cognome? «Figuriamoci, io tornerei a usare perfino la ”d” minuscola, come faceva mio nonno...». Il problema non è questo. Il presidente dei Ds incalza. «La Margherita si deve muovere di più. Mi manca quel côté democristiano che qui è importante perché loro sono il doppio di noi nel Mezzogiorno. Invece non si è ancora riusciti a organizzare una cosa insieme. De Mita? Doveva venire una volta poi si è ammalato...». La storia del traguardo fissato a un milione di preferenze «è stata tirata fuori dal ”Foglio” per darmi fastidio. Non esiste. Nel ’99 Berlusconi ha preso 630 mila voti con una campagna incessante e Forza Italia era al 29. Il nostro capolista Napolitano ne prese 180 mila. Quota un milione serve per i commenti del giorno dopo, per attaccarmi. Io lascio dire, mi sparano da tutte le parti, ma su di me le pallottole rimbalzano». Dice che «la campagna elettorale comincia adesso quando l’85 per cento degli italiani si ricorda delle elezioni, è lo sprint finale». Il voto d’opinione nel Sud conta fino a un certo punto, «è una fascia sottile, può fare breccia la differenza tra un candidato vero, che va a Strasburgo, e uno finto. Anche il fatto di essere capolista e di avere Berlusconi dall’altra parte aiuta. Perché tanti non l’hanno in simpatia e molti sono delusi». Lui si coltiva gli imprenditori: cene di finanziamento, incontri che non sono gemellaggi ma possono influenzare gli elettori. Ieri ha avuto a sorpresa l’invito di Filippo Callipo, quello del tonno, presidente degli industriali calabresi. «Ma per me vengono sempre prima gli operai». Nel Sud si moltiplicano i licenziamenti, le casse integrazioni. D’Alema corre alla Polti di Piano Lago, vicino Cosenza, il clima è teso. In fondo all’Italia sono lontane le operazioni contro Prodi, contro la lista. «Romano è il leader, è un problema risolto», taglia corto. Reggerà due anni, deve entrare in Parlamento con le suppletive? «Non è obbligatoria la presenza a Montecitorio. Ammesso che si voti nel 2006, Prodi deve fare il capo dell’opposizione, riorganizzare la classe di governo del centrosinistra, occuparsi delle regionali del 2005 che sono una vera questione politica, lì si può realizzare un cambio radicale. Non starà con le mani in mano». E c’è da pensare «alla riorganizzazione del sistema democratico. Viviamo in una democrazia fragile, una sorta di modello sudamericano con i partitini dell’1% che litigano e sgomitano. Noi abbiamo cercato di semplificare». Con qualche preoccupazione. «La lista, con il proporzionale, è una scommessa. Stiamo facendo la Parigi-Dakar con una Ferrari, rischiamo di rompere le sospensioni. Usiamo il gioiello sulla pista peggiore. Ma se i voti non vengono dispersi, il risultato storico è vicino. E dopo, in futuro, si resta insieme, come dice Prodi». Non nel partito unico, «che è una cavolata, un calembour. Dobbiamo immaginare una forza politica di tipo nuovo, aperta. Un Ulivo coi partiti, ovviamente, e le associazioni e i movimenti. Ormai tutte le grandi organizzazioni europee hanno una forma federativa, un carattere plurale, non c’è molto da inventare. Come insegna Epinay». La prospettiva è questa, il voto del 13 giugno può dare un impulso decisivo. Qualcuno si metterà di traverso, certo. «I salotti sono antidemocratici, gran parte della nostra borghesia è antidemocratica. Hanno una concezione elitaria della politica, vogliono far calare le leadership dall’alto. Io li frequento pochissimo e quando ci vado tratto tutti malissimo, litigo. Basta leggere certi giornali per vedere che sono ricambiato». «Salotti» qui al Sud non ce ne sono molti. Ma appena D’Alema si siede su un divano s’innervosisce. Succede durante l’incontro con l’arcivescovo di Cosenza Giuseppe Agostino, nel suo studio con i tessuti rossi e gli stucchi dorati. Il monsignore minimizza l’attentato al sindaco di Rende: «Coraggio, non c’è da preoccuparsi, è stato un matto». D’Alema lo fulmina con lo sguardo, sbuffa, poi sibila: «Insomma... Non era un disperato che chiedeva una casa popolare. Aveva una precisa colorazione politica e non sappiamo chi lo ha armato». Per fortuna Agostino si riprende: «Ah sì, so che aveva una matrice fascistoide». Così va meglio e l’incontro prosegue serenamente. Anzi, D’Alema ne approfitta e cita monsignor Agostino nei comizi. Non è proprio il «côté democristiano», ma aiuta. Goffredo De Marchis