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 2004  marzo 04 Giovedì calendario

Il principe Ruspoli da Bové a Bossi pensando sempre ai capifamiglia e al Papa Re, Corriere della Sera, 04/03/2004 «Capifamiglia di tutta Italia: unitevi!»

Il principe Ruspoli da Bové a Bossi pensando sempre ai capifamiglia e al Papa Re, Corriere della Sera, 04/03/2004 «Capifamiglia di tutta Italia: unitevi!». Dai divani di palazzo Ruspoli Marescotti, tra ritratti degli avi Ruspoli Marescotti e libri che parlano di Ruspoli Marescotti, sale il grido di battaglia del più nobile fra gli ignobili: Sforza Ruspoli Marescotti. «Ha scritto Sforza?». Sì, signor principe. «Mi raccomando: è il nome. Non le dico gli equivoci ogni volta che devo declinare le generalità: ”Nome e cognome?”. ”Sforza Ruspoli”. ”Vabbe’, ma il nome?”. ”Sforza”. ”Non il cognome, il nome!”. Mi creda: una tortura». Per questo, per evitar casini, lo chiamano tutti Lillio. Lui stesso, del resto, non tollera il caos. Per questo invoca i capifamiglia. Per chiarezza: «Ma lei lo capisce un bilancio? Ecco perché il Paese va male: io propongo che ogni bilancio, da quelli dello Stato a quelli della Parmalat, debba essere comprensibile anche agli occhi di chi ha fatto solo le medie. Mi creda: le cose andrebbero meglio». Ma che c’entrano i capifamiglia? «Sui temi importanti vorrei fossero fatte delle grandi consultazioni tra i capifamiglia. Sono loro che hanno il polso della situazione». L’ama, sua eccellenza il principe Sforza Ruspoli Marescotti detto Lillio, la famiglia. E quando parla della sua senti che ci mette la ”F” maiuscola, dorata e damascata. E pure cotonata, recentemente, per via di Maria Pia Giancaro, la bella mugliera dai bei capelli biondi che si è preso in seconde nozze un po’ di anni fa e ha plasmato, parola dopo parola, sorriso dopo sorriso, gambe di taglio dopo gambe di taglio, come Rex Harrison plasmò Audrey Hepburn in My Fair Lady. Ai tempi in cui faceva l’attrice, girando film leggendari come L’amantide o Quando i califfi avevano le corna, dava interviste spaziali: «Spendo tutto per vestirmi. Porto sempre addosso un numero enorme di indumenti ed accessori. Eppure è tutta fatica sprecata perché quando esco, quando vado in qualunque posto, la gente non è per niente interessata al mio abbigliamento. Mi sembrano tutti delusi. Si aspetterebbero di vedermi girare sempre nuda, come al cinema o nelle fotografie. Sono molto dispiaciuta per la delusione che do ai miei ammiratori ma dovrebbero capire: posso andare sempre in giro svestita?». Il principe nero la vide, ne restò folgorato, le chiese subito di conoscere il padre, un ferroviere della provincia di Palermo, e gli chiese la mano della figlia. Quello, all’idea di diventare il papà di Cenerentola, poco poco svenne. Rianimatosi, fece al futuro genero un regalo chic: un carrettino siculo in miniatura con le fiancate dipinte con le storie dei pupi, da Geldippe a Guidon Selvaggio. Il tempo di sposarsi e prender dimestichezza coi saloni e la posateria di casa Ruspoli e la nouvelle princesse già confidava a ”Gente” le sue perplessità sul mondo moderno: « una pena vedere l’orda dei nuovi ricchi che ha invaso l’alta società». I nobili, poi! Colpa anche loro: « il caso del principe Vittorio Massimo, un uomo colto, pieno di interessi, appassionato di archeologia. Eppure, anche in televisione, Vittorio parla soltanto della pasta e fagioli». La pasta e fagioli! «Più che a un principe, fa pensare a un cuoco». Per non dire degli armatori come Niarchos con il quale aveva avuto un flirt: «Sembra quasi distaccato dai valori veri. Ai miei occhi è soltanto un piccolo uomo su una grande barca». Vent’anni dopo, Cenerentola è sempre una bellissima donna, siede composta e perfetta come una dama del Velasquez e quando Lillio parla l’ascolta muta e ammirata annuendo come una moglie d’altri tempi. Una coppia indissolubile. Anche alle elezioni. Che affrontano insieme, candidandosi alle Europee per la Lega lui a Roma e nella mega-circoscrizione del Centro, lei nelle Isole. Lui con uno slogan di strepitosa autoironia: «Meglio nobili che ignobili». Lei con uno un po’ gattopardesco che dice: «Una principessa per una sola dinastia: i siciliani». E i sardi? Il voto dei sardi non lo chiede? « un problema che affronteremo». Come siano finiti nella Lega, spiega lei, è presto detto: «Abbiamo incontrato Mario Borghezio. Una persona valida. Abbiamo grandi valori in comune. La famiglia. Le tradizioni. Il cattolicesimo all’antica. Sa, nella famiglia di mio marito c’è stata anche una santa, Santa Giacinta». Una suora dal passato inquieto convertitasi alla dedizione ai poveri. Di più, spiega il principe: «Con la Lega abbiamo in comune l’obiettivo di una rivoluzione liberale e una rilettura delle vicende pre-unitarie. Il peso che diamo alla storia delle diverse anime dell’Italia. Siamo federalisti da sempre». Per questo è capolista del Carroccio, dice. Federalista e repubblicano: «L’unico Re è il Papa Re». Gonfio di disprezzo per la borghesia e tutti i suoi valori a partire dalla rivoluzione francese («i borghesi sono i miei nemici»), certo che il buon governo vorrebbe «la saldatura tra l’aristocrazia e il popolo», convinto che il problema dell’Italia di oggi siano i «nuovi feudatari, cioè i Grandi Debitori», tenace avversario delle banche che strozzano i poveri e tengono in vita le aziende decotte («Fazio, poveruomo, cerca di evitare i fallimenti ma sbaglia perché, come dicono i veneti, xe peso el tacòn che el buso»), nemico acerrimo della globalizzazione e amico dei contadini («ha mai visto la mia foto con Bové?») fin dagli anni Sessanta in cui per primo versò il latte per protesta sui marciapiedi di Roma, fiero di custodire la bucherellata bandiera papalina che svettava a Porta Pia il giorno in cui finì il potere temporale, il mitico Lillio ammette che no, non sono state belle le parole usate a volte dall’Umberto contro il Papa «extracomunitario» e la Chiesa. Prime fra tutte la sparata: «Il Vaticano è il nemico che le camicie verdi affogheranno nel water della storia».  convinto però che «forse Bossi era arrabbiato per certi affaristi che giravano un tempo nei dintorni del Vaticano» ma certo «c’è un grande rispetto dei leghisti verso la Chiesa» ed «esiste una battaglia comune: contro l’invasione islamica». In ogni caso, spiega, c’è sempre la conversione: «Noi Ruspoli Marescotti abbiamo sempre confidato molto nelle conversioni. Quanti ne abbiamo convertiti!». Soprattutto il fondatore della casata, quel Mario Scoto che combatté i Sassoni per Carlo Magno e nel 782, come ha scritto Galeazzo Ruspoli nella storia della famiglia, mise a ferro e fuoco il villaggio di Verden: «Ai prigionieri fu detto che potevano scegliere tra farsi battezzare o morire. Per tre giorni interi, dall’alba al tramonto, Carlo Magno con i suoi vassalli e con Mario Scoto, assistette alla carneficina», spiega Lillio, con un lampo divertito negli occhi, «Nove su dieci! Quante teste abbiamo tagliato, per la Chiesa! Quante teste!». La principessa annuisce pensosa. Gian Antonio Stella