Francesco Specchia Libero, 09/05/2004, 9 maggio 2004
Wanna Marchi è tornata (quasi come Dumas), Libero, 09/05/2004 La verità, a volte, è vischiosa come un frappè d’alghe di Bretagna
Wanna Marchi è tornata (quasi come Dumas), Libero, 09/05/2004 La verità, a volte, è vischiosa come un frappè d’alghe di Bretagna. E inarrestabile come una crociata contro l’adipe in eccesso. «Ecché io - badi bene - non ho mai detto che i giudici non hanno ragione; solo, di che mi accusano? D’aver venduto numeri al Lotto? E il Lotto non lo gestisce forse lo Stato? D’aver commerciato in erbe dimagranti? Ma se nelle farmacie son pieni gli scaffali... Di aver avuto a che fare coi cartomanti? Se accende la tivù son lì, più di prima. Però io e mia figlia ci siamo fatte 61 giorni di galera, hanno arrestato il mio compagno - che amo più della mia vita - e io non ho più una lira. Quindi pretendo che al mio processo ci siano le telecamere. Se non ci sono, io e mia figlia ci incateniamo, nude, davanti al tribunale, d’accordo? ». D’accordo fino a un certo punto. Sarà per la prospettiva di una terrificante forma di protesta. Sarà che in dieci minuti di blandizie Wanna Marchi ci ricorda tanto Giorgio Almirante, quando nel luglio del ’76, con una capriola dialettica, riuscì a far passare il missino Sandro Saccucci (che sprangò un tizio a Sezze Romano) come una vittima del sistema, sussurrando semplicemente all’incazzoso intervistatore: «La ringrazio della domanda...». Sarà che per la sacra imbonitrice e l’erede Stefania (inseparabili come Thelma e Louise, Bonnie e Clyde, Tex Willer e il figlio Kit), «la cosmesi è una visione del mondo e i suoi prodotti una vittoria del bene sul male». Sarà tutto questo. Ma il ritorno di Wanna, delle sue spume di cocco, dei suoi anelloni di zircone alla Liz Taylor, delle sue «giacche di lamè orlate di raso», dei suoi lucidi deliri dimagranti, ci appare fiero e vendicativo. Come quello del Conte di Montecristo di Dumas. Oddio, qualche differenza tra lei e il romanzesco Edmond Dantès c’è. Wanna, classe ’42, non è nobile ma figlia di poverissimi contadini («Non avevamo né luce né acqua, il cesso era fuori e siccome i libri delle medie costavano 3.500 lire dovetti fermarmi alla quinta elementare...») di Castelguelfo d’Imola, paesello emiliano la cui anima declina mollemente in Romagna «perché se ti perdi sulla via Emilia e bussi a un uscio lì solo ti versano vino...». Wanna non ha trovato un tesoro, semmai è la Finanza che l’accusa di truffa per 30 milioni di euro, cercandone, affannosamente, altri 63 tra Lugano e San Marino, neanche fossero l’oro di Dongo. Wanna non ha - volutamente - cercato l’oblio, che ha inghiottito, per esempio, il mago Do Nascimiento, ex cuoco cazzerellone la cui innarrivabile dote di vaticinio l’ha smaterializzato all’estero. Wanna, che non ha chiesto il rito abbreviato («Perché voglio che si presentino tutti i testimoni e perché ho le palle»), è l’inaffondabile in attesa di giudizio. «E, intanto, mentre attendo, faccio una trasmissione Tremate le streghe son tornate, che verrà trasmessa su Sky e 136 emittenti locali; mi ero rotta di gente che speculava alle mie spalle, tanto valeva che lo facessi io...». Inarrivabile. Wanna ci si para innanzi con la figlia Stefi in vaporoso decolleté ti vedo - non ti vedo. Un kleenex è sempre pronto a inumidirne i ricordi, l’abito è nero, l’espressione da Maga Magò, pure. Signora Marchi, sembra quel 27 novembre 2001: lei a 60 anni pensava di fare il bilancio della sua vita, e le arrivò davvero la Finanza a casa... «Non c’è paragone. Quello fu il mio giorno più brutto. Arrivarono alle 3 di notte, in tanti, senza dirci che ci arrestavano. Ricordo che chiesi di fare una doccia. Prima dissero: ”La laveranno a San Vittore”, poi un finanziere giovane s’infilò in bagno e non mi mollò un attimo mentre mi insaponavo come un automa. Gli dissi: ” contento di aver visto nuda una che può esser sua nonna?”. Abbassò lo sguardo e rispose: ”Mi scusi”. Mi scusi un cazzo, però». Lei, però, mi scusi, aveva detto «bisogna mettere una taglia sui giornalisti, come i talebani». «Un elicottero ci volava sopra le teste, era il caos, lo stato d’assedio, i giornalisti ci inseguivano dappertutto, e picchiavano i nostri cani...». Ma non erano Waimaraner, grossetti e inferociti? «I giornalisti tentavano di scavalcare, i cani facevano il loro dovere. Eppoi quella frase la disse mia figlia. Che, soffrendo d’artrite reumatoide non potè neanche curarsi in carcere. A San Vittore aveva la febbre a 40, si muoveva in carrozzina, si lavava con l’acqua fredda dove pisciavano gli altri. Ci avevano messo nella ”cella del suicida”, mentre il mio compagno subiva la stessa sorte assieme a 5 sconosciuti. Non dovrebbe esistere il carcere preventivo. Poi facemmo sette mesi di arresti domiciliari a Castel del Rio». Alt, un passo indietro. Lei bambina povera che fece la sua prima vendita a 8 anni. «Due orecchini allucinanti, per 1.000 lire, a una mia compagna d’elementari, ricca. La maestra disse che avevo un’intelligenza superiore. Pensai anch’io di avere talento. Solo che era mal indirizzato: andai a Milano a lavare le teste dal parrucchiere delle dive Vergottini, poi feci l’estetista e la figurinista, infine aprii un’attività in un garage di Ozzano dell’Emilia, affitto 65 mila lire al mese. E dire che io volevo fare il medico. Ancora oggi appena ne vedo uno dico: questo qui salverà una vita, affascinante...». Il fascino della divisa... «Del camice, direi, con le divise ho avuto qualche problema. Ho pensato anche di iscrivermi al Cepu però non mi sembrava serio. Anche se una specie di divisa me la misi: aprii una profumeria e affittando un tailleur di Armani andai a Milano per ottenere un’esclusiva Lancome. Mi portai i profumi in negozio, ma la notte stessa mi derubarono». Derubare lei. Che curioso contrappasso. «Non c’era da ridere, mio marito oltre a farmi le corna e picchiarmi non mi dava una lira. Sicché quando riuscii ad infilarmi in una radio per vendere un campioncino d’alghe, mi misi a raccontare la mia vita. 2011 chiamate in un colpo. La gente voleva che gli mandassi qualunque cosa, non importa cosa. Un prete ordinò schiuma da barba per 300 mila lire. Divenni un caso. Pensi che c’era lo slogan in Romagna ”E un giorno incontrerai Wanna Marchi, quello sarà il tuo giorno perché...”». ... perché?... «E che cavolo ne so io, perché. Era lo slogan. Come d’accordo, funzionava. Al punto che divenni così famosa che con lo spettacolo Gran Bazar accumulavo spettatori in tutta Italia. Accumulavo anche fans. Incisi un disco, e alla presentazione del mio libro tutti da Sgarbi, alla Giacobini, a Maurizio Costanzo mi consideravano un fenomeno. Ora scomparsi tutti, tranne Sgarbi». Ricordo. Sponsorizzò pure la Lotteria Italia, paradossalmente lavorò per il ministero delle Finanze. Ricordo anche che la chiamò Craxi, vero? «Vero. Mi offrì un sacco di soldi solo per dire: ”Anch’io voto Psi”; se è per quello mi chiamò anche Almirante per candidarmi per il Movimento Sociale. Ma non mi pareva serio, io vendevo a tutti fascisti, diccì, comunisti. A ognuno poi, il suo, anche se hanno eletto il Mago Otelma, io sono un ”quintelementare”». Non faccia la finta modesta. La sua sembra la storia di Berlusconi, sa? «Questo me l’hanno già detto. Berlusconi l’ho conosciuto nell’87. Non era un malvagio ometto, una volta. D’altronde ero discreta anch’io: il tempo passa per tutti. Io attendo fiduciosa il mio, ma se vinco la causa chi mi restituisce i giorni galera?». Perché non lo chiede a Striscia la notizia, che la inguaiò? «Con chi, non conosco...?». Capito. Come commenta il fatto che per pagare i consigli magici del mago Do Nascimiento alcuni poveretti si sono indebitati? Una, Elisabetta B., s’è messa a battere. «Voglio vederli tutti al processo, davanti alle telecamere. Noi, stavolta, abbiamo degli avvocati - mi permetta - coi controcazzi. E io, mi creda, non ho fatto nulla di male, semmai ne hanno fatto a me. Soprattutto i giudici che hanno ridotto il mio caso a un circo e trattato come animali. Alcuni, come sempre accade, hanno fatto carriera». E Do Nascimiento? «Ecchennesò. Non ce l’ho con lui, era come un figlio, e come mago è forte. Fu lui a prevedere tutte le mie disgrazie, l’avessi ascoltato. L’ho risentito in collegamento telefonico a Porta a porta. Solo che Vespa ha perso un’occasione: invece di chiedergli dove stava, se girava tranquillo, se aveva paura, gli ha chiesto della storiella del sale magico nel bicchiere: pensavo a una canzone di Mina, ”l’acqua e il sale mi fai bere”...». Wanna, ha qualche rimorso? «Forse l’aver rubato delle merendine a scuola...». Forse. Francesco Specchia