Massimo Gramellini La Stampa, 27/05/2004, 27 maggio 2004
Michele chi? Quello che aumenta il peso elettorale, La Stampa, 27/05/2004 Santoro c’è. O, se preferite, Santoro ”Che”
Michele chi? Quello che aumenta il peso elettorale, La Stampa, 27/05/2004 Santoro c’è. O, se preferite, Santoro ”Che”. In una sinistra che stenta a trovare icone capaci di sciogliere i cuori, un divo televisivo con le stimmate del martirio percorre l’Italia elettorale fra folle di vedove inconsolabili che lo accolgono nei comizi di paese al suono di Bella ciao. «E pensare che una volta mi stava antipatico», borbotta un pensionato di Ovada in coda per l’autografo. Una volta. Prima che lo facessero fuori dal video. Da noi nessuno può battere il fascino di un Escluso. Non suscita invidie e fa vibrare le corde dell’identificazione. Berlusconi lo sa talmente bene che, se potesse, denuncerebbe un sopruso al giorno. La prima sorpresa non sono i ragazzi, ma gli anziani. Tantissimi: facce da nonna che immagini in estasi per Cucuzza e invece fanno ressa intorno a quest’altro Michele e gridano «Ci manchi!» anche al baffo di scorta Sandro Ruotolo, l’amico di sempre che lo ha raggiunto nell’ultimo fine settimana per la tappa piemontese del tour. La seconda sorpresa è il Santoro oratore. Più caldo di D’Alema e anche della Gruber. Un Veltroni con qualche luogo comune in meno. Prevedibili la dialettica asciutta, rispettosa dei tempi televisivi, e la gestualità da teatrante, con la mano che prima di sventolare i saluti si ferma sul cuore. Assolutamente inedita l’imitazione del senatore Schifani, con voce pigolante. A sentirlo parlare da politico, «sembra che non abbia mai fatto altro in vita sua», commenta un giovane fan, senza accorgersi che in bocca agli avversari quel complimento diventerà un capo d’accusa. Nanni Moretti sarebbe orgoglioso di lui. Dice solo cose di sinistra: sulla guerra, sullo Stato che deve intervenire di più nella cultura e, naturalmente, sul desiderio «di mandare a casa Questo Qui che ci ha rotto le balle». In particolare a lui. Onorevole Santoro. Ma perché? «Potevo cercare un accomodamento con la Rai. Oppure battermi in mezzo alla gente per dirgli dove stiamo andando. Ho scelto la seconda strada. Anche perché di aspiranti kamikaze in giro ne vedo pochi». Il suo amico Schifani risponderebbe che lei è un kamikaze con lo stipendio da sceicco. «Ho un contratto da direttore a tempo indeterminato. Ma al minimo: senza andare in video molte voci non scattano. E pago pure più tasse di prima: come tutti gli italiani, del resto». Ha accettato la candidatura perché non ce la faceva più a stare fuori dal giro? «Quando Rutelli e Fassino me l’hanno proposta io stavo già in giro. Sono due anni che non faccio altro che girare. Altrimenti non sarei riuscito a superare una botta che avrebbe stroncato un elefante». Può vivere un santone della tv senza tv? «E’ stata dura, ma sono ancora vivo e vegeto». Deprimersi è umano, quando si viene mobbizzati. «La mia fortuna è stata di non essere videodipendente. Fossi entrato in crisi di astinenza, avrei accettato le ospitate che mi sono state offerte, all’inizio pure da Vespa. Non l’ho mai fatto». Molti suoi colleghi avevano promesso di aiutarla. «Mentana e Costanzo dovevano incatenarsi, se ricordo bene». Invece? «Se qualcuno avesse chiuso i loro programmi, io mi sarei battuto con tutte le mie forze per farli riaprire». Si è sentito abbandonato? «Una volta i giornali mi chiamavano di continuo, come opinionista televisivo. Hanno smesso. C’era la fila per le interviste, una volta. Poi il silenzio è diventato un urlo. Ha assunto un valore talmente simbolico che se mi avessero mandato in onda all’una di notte, avrei fatto il 30% di share». E la storia della doppia conduzione con Ferrara? «Sarebbe stata Italia-Germania. In Rai non potevano permettersi un successo simile. bastata una mia apparizione a Telelombardia per far schizzare l’audience. Volevano umiliarmi, ma io sono riuscito a resistere. Per ben due anni. Non se lo sarebbero mai immaginato...». In questo periodo avrà guardato un mucchio di tv. «Mi sembra che un po’ tutti i programmi si siano indeboliti per la nostra mancanza. Vespa è diventato più leggero. L’impoverimento e l’omologazione sono generali». Non salva nulla? «Qualche spazio su Mediaset. Il Tg5 è più libero del Tg1, nell’ambito dei confini tracciati da una stessa mano. Mentana è più irriverente di Mimun». Mimun fa più ascolti. «L’autorevolezza di un tg non si misura dagli ascolti. Conta il prestigio. E Mimun non ha mai fatto telegiornali prestigiosi». Ma lei alle otto guarda il Tg5 o Tg1? «Il Tg1, per abitudine. E mi arrabbio». Le daranno del fazioso. «Intanto la gente più avvertita e colta scappa su Internet o altrove. E davanti al video rimane chi, non potendosi permettere la fuga per ragioni economiche o culturali, finisce per abitare una specie di periferia metropolitana degradata». Si rivolge al proletariato televisivo? «Telespettatori che non credendo più possibile un riscatto sociale, si identificano con i concorrenti di Bonolis alla ricerca del Pacco che ti cambia la vita. Come dico alla gente nei miei discorsi: io non sono qui per fare la vittima, ma per liberare quella metà degli italiani che non ne può più di Lui, eppure non sta con noi perché spera di aprire il Pacco di Bonolis». Adesso invece le daranno dello snob. «Io non ho nulla contro una modica quantità di Pacchi, di De Filippi e di Costanzo al sax. Il problema è che oggi non c’è altro». C’è Floris, il suo erede. « bravo. Ma noi venivamo guardati anche da una parte della destra. Ballarò ha un pubblico più definito. E la sua filosofia è meno delineata della nostra. Floris si affida al dibattito. Noi esprimevamo un punto di vista. Oggi in tv lo fa solo Ferrara. Però lo fa con le parole, mentre noi usavamo anche le immagini. E lo fa in una tv con indici di ascolto bassi, chissà perché». Chissà perché cosa? «Chissà perché Ferrara sta su La7, dove lo vedono in pochi. E chissà perché La7, pur appartenendo a un gigante come Telecom, resta così piccola. La realtà è che tanti imprenditori di razza hanno paura a competere con Berlusconi. Me ne sono accorto quando ne ho contattati alcuni per convincerli a mettere su una tv». Ha risfoderato Telesogno? «Mi hanno risposto: ”Non possiamo metterci contro”. E li capisco. Questo è un governo che mena». Metaforicamente parlando. «Ma mena. Ha letto i verbali sui colloqui di Tanzi col suo ragioniere? Fra le tante fatture non pagate, Tanzi suggerisce di saldare solo quella con Publitalia. Berlusconi è una piovra». La accuseranno di avercela con lui per fatto personale come Montanelli. «Il paragone mi onora. Ho imparato l’alfabeto sui suoi articoli della ”Domenica del Corriere” che mio padre, comunista, mi metteva sotto il naso a 5 anni. Però almeno Montanelli fu cacciato da un editore privato. Io da uno pubblico che dovrebbe rappresentare la collettività». Una collettività che in parte la adora. Come mai s’è messo sul Triciclo e non coi girotondi? «La mia non è la candidatura di un programma televisivo. E poi la gente vuole unità. Io speravo che i movimenti parlassero direttamente con Prodi. Invece hanno delegato il compito a Di Pietro e Occhetto, cioè a due uomini politici, anche se amici miei. So benissimo che se mi fossi schierato con loro, ne avrei aumentato, e non di poco, il peso elettorale». Si presenta nel Nord-Ovest e al Sud, al numero 3. E’ stato lei a non voler fare il capolista? «Non sono così modesto». Lilli Gruber, a Roma, l’hanno piazzata al numero 1. «Lilli può diventare una leader. Ha un’identità netta. Sta dentro la politica che c’è. Io invece guardo a quella che non c’è ancora. Sono il tramite della società civile». Intanto vi abbiamo persi entrambi come giornalisti. Dopo una esperienza politica, non sarebbe imbarazzante tornare indietro e rimettersi i panni dell’imparzialità? «Ne ho parlato con Enzo Biagi. Mi ha detto che il problema sono i valori che ti porti dentro. L’indipendenza. Quella è come il coraggio per don Abbondio. Se uno non ce l’ha, non se la può dare». Sempre il suo amico Schifani direbbe che lei è talmente indipendente da non avere mai denunciato Telekom Serbia. «Ma solo perché era una bufala! Io ho fatto un mucchio di trasmissioni sgradite alla sinistra. Vogliamo parlare della puntata dal ponte di Belgrado con D’Alema a palazzo Chigi?». Quindi tornerà in onda, un giorno. «Dovrei sentirmi in imbarazzo in una Rai dove un ex deputato di Forza Italia fa il direttore della prima rete?». Fra l’altro pare che il Parlamento Europeo sia una noia tremenda. Ben pagata, ma che in Italia non interessa a nessuno. Lei rischia un nuovo oscuramento mediatico. «Avrei potuto restarne fuori come Gad Lerner. Ma che dovevo fare, aspettare altri due anni? In Europa il rischio del cimitero degli elefanti esiste, ma lo scongiurerò. Certo, ci fossero state le politiche, mi sarei candidato nel collegio di Milano Uno, sapete benissimo contro chi...». Massimo Gramellini