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 2004  maggio 27 Giovedì calendario

«Se parcheggi un Boeing a New York è difficile evitare le Torri», Corriere della Sera magazine, 27/05/2004 Yassir Benmiloud, in arte Y

«Se parcheggi un Boeing a New York è difficile evitare le Torri», Corriere della Sera magazine, 27/05/2004 Yassir Benmiloud, in arte Y.B., è un giornalista algerino scappato dal suo Paese nel 1997 anche perché la polizia aveva cominciato a fare commenti sui suoi articoli a volte satirici verso gli islamisti. I poliziotti consideravano Y.B. un po’ troppo occidentalizzato per i loro gusti, lo trovavano addirittura «giudaizzato». Che era un modo per dire che faceva il verso a Woody Allen (se un poliziotto algerino sapesse chi è Woody Allen). Fino ad allora Y.B. non aveva mai osato pensare di poter essere paragonato al grande comico newyorkese. Sì, va bene, è figlio di uno psichiatra e si sa quanto Allen ami sguazzare nei problemi della psiche, ma da qui a dire che si possa rintracciare una qualche parentela tra i due ce ne vuole. Y.B. scriveva i suoi pezzi su ”El Watan” che, con tutto il rispetto, non è il ”New Yorker”, la prestigiosa e snobissima rivista dove Allen collabora (e su questo converranno anche i poliziotti algerini). Scappato a Parigi, Y.B. a Woody Allen ha cominciato a pensare spesso fino a quando, dopo l’attentato alle Due Torri, non gli è venuta in mente una battuta in puro stile Manhattan, una di quelle battute che possono fare il paio con le più celebri e rinomate del comico newyorkese [...] La battuta che è venuta in mente a Y.B., mentre non batteva chiodo a Parigi e scriveva libri che facevano ridere (ma nel senso cattivo della parola, come sottolineò un recensore francese), è questa: «Io credo che siamo tutti fratelli e non vedo perché non ci possiamo prendere in giro tra di noi. Per esempio, quando Salman Rushdie prende per il culo il Profeta io lo capisco, d’altra parte bisogna anche capire quei giovani musulmani che si esprimono facendo dei rodei con gli aerei rubati, anche se dopo potrebbero evitare di parcheggiarli all’ultimo piano, ma è anche vero che vallo a trovare un posto libero per un Boeing a Manhattan in pieno settembre». Battuta che è diventata lo slogan di lancio di Allah Superstar, il primo romanzo di Y.B. che fa finalmente ridere [...]: «Se vuoi parcheggiare un Boeing a Manhattan, è difficile evitare le Torri gemelle». Allah Superstar è stato il romanzo dell’anno in Francia nel 2003 e ha provocato polemiche e liti. Ha reso ricco e famoso il 36enne Yassir che è stato definito dai critici francesi il nuovo Houllebecq per le sue doti di provocatore (il paragone non regge, i poliziotti algerini avevano visto meglio dei critici parigini: Houllebecq è repellente, Y.B. è divertente). Soprattutto, Allah Superstar ha messo la parola fine a un dibattito che scuoteva le coscienze di alcuni dei più famosi scrittori d’Occidente. Era un dibattito che riecheggiava la famosa domanda formulata alla fine della Seconda guerra mondiale: «Si può scrivere poesia dopo Auschwitz?». Stavolta la domanda era: «Si può ridere dopo l’11 settembre?». Il dibattito l’aveva avviato lo scrittore inglese Martin Amis dichiarando all’indomani della strage: «La principale vittima dell’11/9 è stato l’umorismo». [...] Sul tema era intervenuto Norman Mailer, uno dei padri della letteratura Usa del ’900. Perfino lui, un maestro del romanzo in diretta, aveva messo le mani avanti. Mailer che ha scritto in tempo reale la conquista della Luna, le marce pacifiste sul Pentagono contro la guerra in Vietnam e le sfide sul ring di Cassius Clay, stavolta ha spento il computer e invitato i colleghi a tenersi lontani dalla tragedia delle Twin Towers per almeno 5 anni. [...] Nella banlieu parigina dove viveva, Y.B. ha meditato sulle parole di Amis trovandosi «perfettamente d’accordo con lui». Sì, la principale vittima dell’11 settembre era stato l’umorismo. Però non se la sentiva di rispettare la quarantena suggerita dall’editto maileriano. Anche perché nel frattempo il papà di Yassir, lo psichiatra algerino (davvero quasi un personaggio da Woody Allen), era morto e le autorità algerine non avevano permesso al figlio di andare a seppellirlo. Lutti di questo genere ti fanno pensare che di tempo non ne hai mai abbastanza. Così Y.B. si è messo a scrivere il suo romanzo comico. Partendo da una osservazione preliminare semplice ma di rivoluzionarie conseguenze: «Il nasone non ce l’hanno solo gli Arabi, ce l’hanno anche gli Ebrei, ma loro hanno i loro comici per dirlo». Passeggiando per la banlieu, Y.B. [...] si perdeva in ragionamenti di questo stampo: «Prendersi in giro da soli è molto meglio che farsi prendere in giro, perché gli Ebrei fanno le barzellette sui rabbini e i cristiani le barzellette sui preti e noi non facciamo le barzellette sugli imam?». La conclusione era sempre la stessa alla fine, dall’11 settembre bisognava, far nascere un Woody Allen musulmano. E così è nato Kamel Léon, l’eroe di Allah Superstar (il romanzo che esce ora in Italia da Einaudi). Il 19enne musulmano immigrato in Francia che sogna il suo quarto d’ora di celebrità (naturalmente televisiva) e lo ottiene con un monologo teatrale interpretato da un comico-kamikaze, un one-man-show ad altissima tensione, alla maniera di Lenny Bruce. Spiega Y.B.: «Voglio far ridere con quello che fa paura. Kamel Léon è tanto un comico integralista che un integralista del comico, il figlio naturale di bin Laden e di Woody Allen, la coppia mista ideale». Kamel Léon ha una teoria del comico, geniale e impeccabile, fornitagli dal suo imam che, come a quanto pare molti imam, ha capito molto bene come funzionano la società dello spettacolo e il sistema della comunicazione (per Y.B., ed è difficile dargli torto, sono ormai la stessa cosa). Ecco il consiglio dell’imam: «I miscredenti ridono di quello che hanno paura, e di islam hanno molta paura, fagli paura con islam e rideranno moltissimo». Kamel Léon lo mette in pratica salendo sul palcoscenico bardato in «total look mujahedin», e cioè «barba finta, turbante nero, tuta militare, Nike Air», in puro stile kamikaze. Ed è sempre l’imam, a proposito di come funziona la legge del successo, a ricordare al comico integralista che «il Corano sono cinque secoli che va di moda e non c’erano né la televisione né i presentatori alla moda né i talk show né la pubblicità». Quando l’allievo obietta che anche la Bibbia ha raggiunto certi vertici di diffusione, l’imam gli risponde: « vero, anche la Bibbia è andata abbastanza bene per un certo periodo ma devi riconoscere che adesso è meno di moda, oddio, se poi vieni a sapere che un commando di preti ha deviato un aereo saudita per schiantarlo sulla Mecca mi fai un colpo di telefono, ma generalmente i preti deviano solo i minorenni». Studiando, sotto la sapiente guida del suo imam di riferimento, i segreti del successo, Kamel capisce che cosa lo farà svoltare veramente, che cosa gli darà l’agognato quarto d’ora di celebrità: «Una fatwa, ecco cosa ci vuole per diventare di moda. più veloce del ”Grande Fratello”, dura di più, viaggi per il mondo intero, tieni conferenze, sbarchi nei Palazzi, sali sul palco con gli U2, ti fai un tè col Papa, un paio di birre o anche tre con Chirac, una vodka ghiacciata con Putin, un sigaro umido con Clinton, una grossa striscia con Bush junior, una maschera anti gas con Saddam Hussein». Una fatwa è meglio del ”Grande Fratello” anche se funziona al contrario: «Nella fatwa vinci quando sei nominato». Una fatwa è il passaporto per la gloria come quella che rese celebre Salman Rushdie. Le fatwa, come spiega Kamel, non sono più condanne a morte comminate da imam arrabbiati ma «operazioni di comunicazione che servono per fare cagnara in precisi momenti politici». Non meno sconvolgenti dello sbomballato protagonista sono gli altri personaggi di Allah Superstar. Come il padre di Kamel, uomo pio e devoto, che quando bin Laden ha mandato giù le Torri ha detto: «Non so chi è il figlio di puttana che ha fatto questo ma io invito lui a mangiare il cuscus a casa mia quando vuole!». C’è poi la fidanzata di Kamel, Nawel, scelta perché è «bona» ma anche perché non ha fratelli. Particolare che permette a Kamel di sfuggire alla legge del trio (versione musulmana di quella del Menga): «Se ti scopi una ragazza poi suo fratello t’incula, soprattutto se è un tuo amico e quindi gli piaci». Nel mondo secondo Kamel Léon (e Y.B.), «i terroristi sono troppo timidi per corteggiare le ragazze, le violentano direttamente» e «tutti i musulmani sono dei bravi proletari e tutte le musulmane delle povere servette a parte in Arabia tra gli Emiri che si giocano i petrodollari nei casinò di Montecarlo e comprano delle pelliccione alle loro mogli, ma siccome vivono in Arabia dove vuoi che se le mettono le pellicce, e allora pompano l’aria condizionata a palla nei loro palazzi, e vanno in giro nude sotto le pellicce visto che non hanno diritto di uscire né di guidare la macchina». In Allah Superstar non si salva nessuno. Non si salvano i francesi, accusati di razzismo. Racconta Kamel nel suo monologo: «No, man. Io voglio rispetto. E lo sai cos’è il rispetto? quando mio padre sono vent’anni che lavora in Francia e gli rompi i coglioni quando viene a rinnovare il permesso di soggiorno e lo fai tornare dieci volte... e alla prefettura i cessi sono sbarrati quindi puoi anche schiattare». Non si salvano i poliziotti parigini (e lo dice uno che ha avuto a che fare con quelli algerini) che, quando fanno i controlli nella banlieu, «se sei arabo non ti dicono più ”Signore, per favore”, ma ”A cuccia, Bin Laden!”». Non si salva l’astrologa Elisabeth Teissier, quella che «per settembre del 2001 aveva previsto ”niente da segnalare” poveretta». Il vero obiettivo di Y.B. è la società dello spettacolo dove ci sono «5 miliardi di televisioni e nessuno sa qual è la fissa di Bush jr, cinque miliardi di radio e di giornali e nessuno sa ancora se bin Laden è morto, clonato e resuscitato». La morale è che vince sempre «la teoria del complotto che è dare la colpa agli Ebrei oppure ai musulmani e ognuno sta lì nel suo angoletto a farsi una sega e stai tranquillo che alla fine sborra sangue». Y.B. è di sicuro il Woody Allen musulmano, ma nelle sue vene scorre anche qualche goccia di sangue del francese maledetto per antonomasia, Louis-Ferdinand Destouches, detto Céline. Antonio D’Orrico