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 2004  maggio 28 Venerdì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 31 MAGGIO 2004

Montezemolo parla bene, ma Confindustria conta poco.
Da giovedì Luca Cordero di Montezemolo è ufficialmente alla guida di Confindustria (26esimo presidente della storia). Massimo Calvi: «L’emozione è quella di un Gran Premio di Formula 1. Il carburante è fornito dalla capacità degli imprenditori italiani. Il motore non può che essere figlio dell’ansia di innovare. Il gioco di squadra è ancora tutto da costruire, nel segno del dialogo e della volontà di chiudere la stagione delle risse, in politica come tra le parti sociali. Il telaio? Non c’è dubbio: è tutto Ferrari. L’era Montezemolo, alla guida di Confindustria, si apre con un programma che sembra importato dal mondo delle competizioni, di quelle dove l’Italia vince e convince». [1]

Il nostro sistema produttivo, lo sappiamo, si trova in una difficile transizione. Enrico Cisnetto: «Eravamo abituati ad esportare prodotti che trovavano accoglienza in Europa e in giro per il mondo e che oggi subiscono la concorrenza di prodotti similari esportati dai Paesi emergenti. Si tratta dei prodotti ”tradizionali” del tessile, abbigliamento, calzaturiero ed alimentare. L’affanno che ha mostrato in questi anni l’Europa rispetto alla crescita è per noi un problema ulteriore, se si pensa che più del 60% delle nostre esportazioni sono destinate ai mercati europei. Fuori d’Europa, l’aumento del valore dell’euro ha reso meno conveniente per gli stranieri l’acquisto dei nostri prodotti. Anche la produttività, e cioè il prodotto per ogni ora lavorata, è cresciuta in questi anni meno in Europa e in Italia che in altre parti del mondo. Sono tutte cose che disegnano un quadro che ha fatto parlare di declino industriale del nostro Paese». [2]

Questa deriva non è cominciata ieri. Valentino Parlato: «Scrive Giangiacomo Nardozzi, in un suo recente e acuto saggio: ”Alle radici del declino industriale c’è dunque una storia di protezionismi, che costituisce un regresso rispetto agli anni che portano al ’miracolo’”. Le scelte che hanno portato al declino continuano e in peggio. In queste condizioni dell’industria (non ci sono magiche riprese dell’orizzonte, e neppure negli Usa), il peso politico della Confindustria è assai ridotto e ci si deve affidare alle operazioni di immagine, nelle quali Montezemolo è maestro. La Ferrari appunto è come un cappello di super lusso sulla testa di una barbona». [3]

Il declino del sistema industriale italiano non è un fenomeno irreversibile. Massimo Gaggi: «Luca Cordero di Montezemolo, assumendo la guida della Confindustria, afferma di volerne rifiutare la logica e invita gli industriali, le altre parti sociali e il governo a rimboccarsi le maniche. Giusto, a patto di avere la consapevolezza della profondità del fossato nel quale siamo caduti e dello spessore delle terapie necessaria per uscirne. Nel passato, anche recente, di reazioni forti per contrastare il declino, non se ne sono viste. Le parole lo esorcizzano, i comportamenti finiscono per assecondarlo». [4]

Il lessico del nuovo corso sottolinea il rifiuto del pessimismo: ”entusiasmo”, ”fiducia”, ”in marcia”, ”consenso”, ”coesione sociale”, ”dialogo”, ”avvenire”, ”coraggio di cambiare”, ”fare squadra”, ”mercato”. Giulio Anselmi: «La parola ”flessibilità”, simbolo dell’era damatiana e della guerra dell’articolo 18, è accantonata. Montezemolo è evidentemente preoccupato della stagnazione che chiude in cerchi di difficoltà i gruppi maggiori e tiene in affanno tutte le imprese, malgrado qualche cenno di ripresa. Ma il capo degli industriali deve segnalare le possibilità di vittoria e perseguirla con la stessa tenace determinazione riservata al Cavallino. stato scelto per questo. E questo è il motivo per il quale è stato letteralmente sommerso dalle aperture di credito». [5]

C’è una svolta kennedyana nel ruolo dell’impresa disegnato da Montezemolo: «Noi, come imprenditori e come cittadini di questo Paese, abbiamo avuto molto. Essere classe dirigente significa anche questo: restituire al Paese parte di ciò che si è ricevuto». [6] Un industriale anonimo: «Eravamo stanchi e a disagio nel sentirci dire che i problemi per le imprese derivavano dalle pensioni o dall’articolo 18, quando tornando in fabbrica ci accorgevamo che i problemi erano ben altri. Per una volta torniamo a casa sapendo che le difficoltà non dipendono dagli altri, dalle carenze del governo o dei sindacati, ma anche dalle nostre debolezze». [7]

Montezemolo non ha stilato un nuovo cahier de doléances del mondo delle imprese. Giuseppe Berta: «È bene che l’industria incominci col rifuggire da rappresentazioni in cui essa lamenta in primo luogo le penalizzazioni che deve subire e che si ribaltano sulla sua performance. È giusto quindi che Montezemolo metta l’accento su quel deficit di futuro connesso alla scarsità di giovani, anche all’interno delle imprese. ”Aprire ai giovani” e non attendere che divengano vecchi per affidare loro delle responsabilità è, nel quadro dell’Italia d’oggi, qualcosa di più che uno slogan». [8]

Montezemolo ha chiesto alle imprese di avere coraggio. Sergio Soave: «Di puntare sull’innovazione, di investire di più (un punto in più del Pil, ha detto). E questo senza condizioni da porre ad altri, ma come base da cui partire per rinnovare proprio le relazioni con altri. Naturalmente anche per gli imprenditori è più facile applaudire che cambiare, quindi conteranno i fatti. Ma se c’è una svolta nella posizione di Confindustria è proprio questa. Si può ”fare squadra” solo se si comincia a fare e a fare bene il proprio mestiere. Chi legge invece gli annunci confindustriali in una chiave politica stretta, di passaggio cioè all’opposizione degli industriali stessi, cade in un’interpretazione quanto meno prematura. La Confindustria, per sua natura, deve collaborare con qualsiasi governo legittimo. Soprattutto lo deve fare se punta, come dice Montezemolo, a un patto generale per l’innovazione, che è ancor più difficile di quello contro l’inflazione stipulato nel 1993». [9]

La prova che attende Confindustria è delle più impegnative. Berta: «Non sarà facile resuscitare uno strumento e un metodo che si sono estinti o di cui è stata decretata l’estinzione. La concertazione, inoltre, richiede anche una cornice politica, se non propensa ad essa, quanto meno non ostile. D’altronde, le vicende recenti delle relazioni industriali hanno restaurato delle pulsioni al conflitto che non sarà semplice sopire». [8]

Quali sono i temi caldi nell’agenda della nuova presidenza? Paola Pilati: «Innanzitutto, quale debba essere la parte in commedia di un’organizzazione imprenditoriale. Tra gli uomini che fecero l’impresa di portare al vertice Montezemolo e che ora gli stanno intorno per aiutarlo a delineare il nuovo corso, è maturata la convinzione che la Confindustria debba ricalibrare il suo ruolo. Meno rappresentanza solo di interessi di parte, e più di interessi collettivi del mondo produttivo. Meno insomma associazione di categoria e più (questa è la parola magica) istituzione». [10]
Confindustria ritrova la sua collocazione a un vertice del triangolo con governo e sindacati. Anselmi: «E, senza schierarsi contro l’esecutivo, abbandona lo schiacciamento sulle posizioni berlusconiane che aveva caratterizzato l’epoca D’Amato e riconosce esplicitamente il sindacato come interlocutore. Il capo del governo non ha apprezzato. Certo non si può parlare di frattura, ma si è dissolto il feeling degli ultimi anni tra Palazzo Chigi e la presidenza della maggiore organizzazione imprenditoriale, sempre influentissima come voce del padronato e del mondo economico». [5]

Poi c’è il fronte interno. Pilati: «Qui la missione del neopresidente non si annuncia indolore, tutt’altro. Il primo passo sarà dare la sveglia proprio alle strutture associative. Il messaggio che dal settimo piano di via dell’Astronomia verrà diffuso a tutte le ramificazioni della struttura è chiaro: raccogliere i contributi pagati dalle imprese e basta è troppo comodo; bisogna darsi da fare, produrre servizi per gli associati, trovare nuovi iscritti. Il secondo passo sarà quello di chiedere agli imprenditori tutti di fare, in un certo senso, un salto psicologico: smetterla di chiedere protezione, ma sopportare i costi del rinnovamento ed esporsi al mercato. Una rivoluzione non da poco. Un esempio? Una delle parole d’ordine della filosofia della nuova presidenza è separare la guida delle imprese dalla proprietà. Facile a dirsi, ma non a farsi. Perché azionista e manager, spesso, sono la stessa persona in molte aziende e non solo quelle piccole e medie, come il caso Parmalat insegna. Piacerà ai tanti padroni e padroncini d’Italia l’idea di fare un passo indietro a favore di un manager venuto dall’esterno?». [10]

Anche il dossier banche è di quelli all’ordine del giorno. Pilati: «Oggi il feeling tra Montezemolo e i giovani banchieri come Alessandro Profumo, Corrado Passera e Matteo Arpe, si assicura nel suo entourage, è forte. E banche e imprese siedono insieme nella solita Assonime, rappresentate ai massimi livelli, da Luigi Abete a Giovanni Bazoli a Enrico Salza. Se prenderà corpo il ruolo ”istituzionale” della Confindustria, anzi, ci si spinge a immaginare come naturale la sua fusione con l’Abi, l’associazione dei banchieri guidata da Maurizio Sella. Ma è un obiettivo di medio termine. Oggi, intanto, le imprese chiedono alle banche di fare un passo avanti in una direzione precisa: il superamento del sistema delle garanzie nella concessione del credito, che blocca la nascita di nuovi business, e di affrontare una buona volta il fatto che il sistema italiano ha i costi più alti d’Europa». [10]

I dossier più importanti li ha in mano Tronchetti Provera. Pilati: « a lui che tocca dare la linea sugli argomenti più caldi. Sul fisco, dove la Confindustria non vede di buon occhio i tagli promessi dal governo perché teme come la peste manovre che possano riportare i conti pubblici agli squilibri finanziari degli anni 70. E sul risparmio, dove agli industriali non va giù che la riforma avviata in Parlamento per ridare credibilità al sistema si sia impantanata in lotte di potere intorno alla figura del governatore della Banca d’Italia. Come vicepresidente con delega per la finanza, il capo di Telecom Italia per qualcuno potrebbe diventare il vero presidente in seconda. Di certo, in una ideale diarchia, Luca e Marco sembrano fatti apposta per intendersi, affini come sono per età, estrazione, orizzonti internazionali, e per integrarsi: la marcia Ferrari nell’energia di Montezemolo, la potenza di fuoco della grande impresa in Tronchetti». [10]
Il signor Ferrari parla al premier da pari a pari. Mucchetti: «Forse perché sa di non poter essere zittito coi successi del Milan. In realtà, da interlocutore dell’esecutivo, Montezemolo critica i miti della Seconda Repubblica - federalismo e spoil system di uomini e leggi - ragionando sui costi delle burocrazie dilaganti e i guasti delle riforme che durano lo spazio d’una maggioranza. E, in contrasto con lo scetticismo del centrodestra, esalta l’Europa. Da protagonista dell’economia, espone la sua priorità: ricostruire i margini di competitività delle aziende più che rilanciare i consumi». [11]

La logica secondo cui il mio nemico è il mio alibi. Carlo Bastasin: «Il discorso del nuovo presidente di Confindustria è stato subito sottoposto alla logica del ”chi non è col governo, è contro il governo”, una logica stretta se si vuole pensare in grande. Di fronte agli obiettivi posti da Montezemolo, forti interventi sull’educazione, sulla ricerca, sulla liberalizzazione dei servizi e delle professioni, sul federalismo, sul risparmio, sul Mezzogiorno e sull’Europa, era inevitabile misurare l’impaccio del governo. Montezemolo ha sottolineato d’altronde l’autonomia che Confindustria ha ritrovato nei confronti della politica, irridendo le vanterie sulla quantità di leggi prodotte dal Parlamento in questa legislatura e criticando le promesse di tagli alle tasse non coerenti con un quadro stabile di finanza pubblica. L’autonomia politica di una Confindustria dotatasi di una squadra di vertice molto rappresentativa, era una scelta obbligata, non misurabile strettamente sulla scala destra-sinistra, nonostante le freddezze di Berlusconi e gli entusiasmi dell’opposizione». [12]

Perché la scossa diventi esemplare per il Paese, è necessario che molti fatti seguano. Bastasin: «E non sarà affatto facile: per tutelare gli interessi degli associati di Confindustria, per rilanciare cioè l’economia italiana, bisognerà andare contro gli interessi di parecchi di loro. Ci sono contraddizioni interne, come i gravissimi problemi di trasparenza emersi negli scandali Cirio e Parmalat, e come il divario di interessi sul costo dell’energia e dei servizi in Italia, che contrappongono la maggior parte delle imprese ai nuovi soci nella Confederazione. Ci sono limiti culturali del Paese non superabili con il semplice richiamo all’innovazione. Ma la vera sfida è nei confronti della concorrenza straniera. Il Paese ha bisogno di far entrare non solo investimenti, ma anche risorse manageriali, finanziarie, industriali e scientifiche dall’estero. L’Italia deve aprirsi come società e come economia e l’impresa deve accettare più concorrenza». [12]

Montezemolo deve evitare l’errore di far tornare indietro la Confindustria. Stigliano: «Il suo obiettivo immediato è chiaro: bisogna ripartire dal patto del ’93 per dare vita ad un nuovo scambio tra le parti sociali. Ma quale merce è possibile scambiare? Per ora è difficile dirlo: certo, quando Montezemolo afferma che per gli imprenditori è il momento di restituire qualcosa di quello che si è avuto, il pensiero corre immediatamente ai salari che durante gli ultimi anni sono mediamente cresciuti al di sotto dell’inflazione. E quando si pensa ad una contropartita la prima cosa che viene in mente è il ritorno della Fiom sotto il controllo della Cgil. Se riesce questo primo passo, allora si può passare a quello successivo: condividere un progetto di rilancio dell’industria per evitare che come hanno scritto Pierluigi Bersani ed Enrico Letta nel libro Viaggio nell’economia italiana il nostro Paese diventi una Disneyland ambientale ed archeologica». [6]