Massimo Mucchetti Corriere della Sera, 08/05/2004, 8 maggio 2004
Mucchetti fa i conti a una Rai che vivacchia, ma per Cattaneo gioca coi numeri, Corriere della Sera, 8 maggio 2004 Il consiglio della Rai litiga e il presidente si dimette per protesta contro le nomine lottizzate
Mucchetti fa i conti a una Rai che vivacchia, ma per Cattaneo gioca coi numeri, Corriere della Sera, 8 maggio 2004 Il consiglio della Rai litiga e il presidente si dimette per protesta contro le nomine lottizzate. Sarebbe bello se, la prossima volta, i gesti estremi fossero consumati sulle scelte industriali. La legge Gasparri congelerà pure il duopolio con Mediaset, ma dove sta scritto che la tv di Stato debba vivacchiare e il Biscione navigare nell’oro? Mediaset spende 195 euro per spettatore e ne ricava 266 tramite la pubblicità; la Rai spende 292 euro e ne prende 157 attraverso il canone, 120 con gli spot e 30 da convenzioni ed altro. Il canone tarpa le ali alla pubblicità, perché giustifica un affollamento inferiore a quello della tv commerciale, ma diventa anche l’alibi di una struttura troppo onerosa: con 13.198 persone la Rai produce le stesse ore di trasmissione che Mediaset fa con 4.377 dipendenti. Il canone serve a pagare il servizio pubblico. Ma perché non far seguire al contratto con il governo un rendiconto specifico e pubblico? Invece siamo al solito, mediocre calderone. Il bilancio 2003 presenta un utile netto consolidato di 82 milioni contro i 16 di perdita dell’anno prima. Il miglioramento, però, è più apparente che reale. Il modesto incremento dei ricavi totali, 21 milioni, deriva dal ritocco del canone e delle convenzioni a compensazione del calo di 36 milioni della raccolta pubblicitaria: dato imbarazzante perché alla flessione Rai del 3,2% si giustappone un aumento Mediaset del 6,5. I costi calano un po’, è vero. Ma solo grazie al fatto che, nel 2002, la Rai aveva speso 91 milioni di euro per i diritti di trasmissione dei Mondiali di calcio e delle Olimpiadi invernali. (Un esborso del genere, per 135 milioni, torna quest’anno per Olimpiadi ed Europei, e il conto economico precipita di nuovo). Gli altri costi invece crescono, a cominciare dal personale, non solo per gli aumenti contrattuali ma anche per 107 assunzioni. Il risparmio più importante, pari a 104 milioni, diventa così l’allungamento della vita utile dei diritti cinematografici in portafoglio da 3 a 5 anni: una mera manovra contabile. La Rai espone un risultato corrente prima delle imposte e delle partite straordinarie pari a 165 milioni contro i 4,3 dell’esercizio precedente. E tuttavia, se togliessimo al 2003 gli effetti contabili, le sopravvenienze attive e lo storno dei fondi prudenziali, scopriremmo che il risultato corrente è prossimo allo zero. Sul piano patrimoniale, la Rai ha disponibilità per 33 milioni mentre prima aveva debiti per 147 milioni. Merito principalmente del rallentamento dei pagamenti ai fornitori (42 milioni), dei crediti verso il Ministero che calano (56 milioni) e della variazione del Tfr (24 milioni). La Rai, dunque, non ha problemi finanziari, ma gestionali. E qui i miracoli non li fa nessuno. Il direttore generale Flavio Cattaneo, in carica dall’aprile 2003, distingue la raccolta pubblicitaria per semestre, in modo da valorizzare la crescita del 6,8% del secondo periodo dell’anno. E diffonde i dati positivi del primo trimestre del 2004. Ma il suo piano strategico non promette granché: a fronte di una crescita del canone più alta dell’inflazione, della pubblicità del 5% annuo e dei ricavi da convenzioni e altro del 12%, si prevedono 2 milioni di utile quest’anno, 73 nel 2005, 25 nel 2006, e ancora non pesa l’ammortamento degli investimenti sul digitale terreste e sugli immobili. Il piano non parla di tagli del personale nonostante si incrementino consulenze e collaborazioni esterne. L’impegno che più colpisce è quello immobiliare: 800 milioni di nuove costruzioni finanziate per 300 attraverso la vendita delle vecchie. Mentre i grandi gruppi si liberano degli immobili, la Rai dell’architetto Cattaneo torna al mattone. Massimo Mucchetti Corriere della Sera, mercoledì 12 maggio Caro Direttore, l’articolo dedicato ai conti della Rai da Massimo Mucchetti, sotto il titolo ”La Rai e una gestione solo per vivacchiare”, presenta al suo interno alcune vistose contraddizioni e un’analisi un po’ troppo approssimativa, con qualche dato sbagliato. La comparazione tra Rai e Mediaset non può non tener conto della sostanziale disomogeneità del perimetro di attività e della composizione dell’offerta. La Rai rispetto al concorrente privato si caratterizza per: articolazione territoriale delle Sedi regionali (21 sedi) e dei centri di produzione (Milano, Torino, Roma e Napoli); rilevante volume di offerte non visibili sul palinsesto generalista, quali i canali satellitari free (Rai Sport Sat, Rai Edu Lab 1 e 2, Rai News 24, Rai Med), i canali satellitari inseriti nel bouquet Sky Italia (5) e Rai Internazionale; la produzione radiofonica con canali a diffusione nazionale e regionale; altre attività tipicamente di servizio pubblico (per esempio Orchestra sinfonica nazionale, Centro ricerche, Teche, ecc.); l’impegno di investimento nella produzione di opere audiovisive italiane ed europee; le profonde diversità esistenti nella struttura dell’offerta televisiva generalista tra Rai e Mediaset anche in ragione della missione di servizio pubblico affidata a Rai (contratto di servizio). Solo per la televisione in termini strettamente quantitativi, la differenza di perimetro di attività emerge chiaramente alla luce dei seguenti dati: produzione televisiva nel 2003, in numero di ore, della Rai, 30.585; di Mediaset 13.199; il rapporto tra la prima e la seconda è pari a 2,3. Fonte: bilancio consolidato 2003 Mediaset. A questo dato vanno aggiunte le ore di trasmissione radiofonica, pari complessivamente a 66.855 (di cui 26.123 a diffusione nazionale, 15.286 per quella regionale e ulteriori 25.446 per la rete parlamentare, il servizio Isoradio e la diffusione per l’estero). Giocando coi numeri, comunque non può nascondere e deve riconoscere apertamente che ”la Rai non ha problemi finanziari”, ma poi riporta in modo fuorviante i dati sulla gestione. Il perimetro radicalmente diverso delle attività svolte dai due gruppi, la maggiore componente di produzione interna che caratterizza da sempre l’offerta Rai rispetto a Mediaset e le diverse connotazioni qualitative delle due offerte spiegano quindi ampiamente le differenze che si riscontrano negli assetti produttivi. La bontà dei risultati di Rai è confermata dal fatto che il servizio pubblico italiano rappresenta il migliore benchmark rispetto agli operatori pubblici dei principali Paesi europei sia in termini di efficienza che di ascolti. La performance del 2003 è frutto sostanzialmente di azioni sulla gestione e ciò è confermato dai risultati dei primi mesi del 2004 che evidenziano una ulteriore ripresa degli ascolti, in continuità con la stagione autunnale 2003. Corrispondentemente si è registrato un deciso miglioramento della raccolta pubblicitaria, che nei primi 4 mesi ha segnato un progresso in doppia cifra. Le tendenze sopra descritte fanno pertanto prevedere margini significativi di miglioramento del risultato consolidato del Gruppo e l’ulteriore consolidamento della già positiva gestione finanziaria. Va peraltro sottolineato che sul risultato consolidato 2004 previsto a budget (utile per 2 milioni di euro) gravano costi per grandi eventi sportivi come riportato dallo stesso Mucchetti per circa 135 milioni di euro. Si ricorda che gli stessi eventi nella precedente edizione del 2000 erano costati a Rai circa la metà, con un aggravio sul 2004 di 70 milioni di euro, per effetto degli accordi presi dalla presidenza Zaccaria. Riguardo infine al ”mattone” ci si limita a osservare che tali investimenti, previsti dal piano industriale, si inseriscono nella più ampia strategia di recupero della centralità dei contenuti. Infatti tali investimenti sono essenzialmente di carattere strumentale e finalizzati al rinnovamento tecnologico e alla razionalizzazione della struttura produttiva. Infine una lettura attenta del piano industriale evidenzia che l’azienda si pone come obiettivo il miglioramento della gestione operativa (Mol) per circa 250 milioni di euro in tre anni, che si traduce in un incremento del margine di circa il 26%. Credo che grazie a questi chiarimenti i lettori del ”Corriere” abbiano finalmente un quadro chiaro e preciso di una gestione che non punta a «vivacchiare», ma attraverso interventi di razionalizzazione e il rilancio del prodotto in termini qualitativi, ha come obiettivo quello di dare una struttura moderna alla Rai, permettendole di competere e di vincere sul mercato nazionale e di avere un ruolo significativo anche a livello internazionale. Flavio Cattaneo (direttore generale Rai) Ma quali sono i dati sbagliati e le contraddizioni? A ben vedere, Cattaneo non contesta nulla. Nemmeno che il risultato corrente 2003 sia prossimo allo zero. Vanta invece la posizione finanziaria netta, che non è mai stata un problema per un’azienda locupletata dal canone a ogni inizio d’anno. Il direttore generale è giovane e non ricorda che al Mol (margine operativo lordo) quale indicatore principe usavano riferirsi le vecchie Partecipazioni statali. Venivano così trascurate le voci scomode del bilancio: ammortamenti, oneri finanziari, svalutazioni. Salvo scoprire poi che i conti chiudevano in rosso. Rai e Mediaset, dice, sono paragonabili solo se si tiene presente che la tv di Stato fa servizio pubblico. E chi l’ha dimenticato? Ma spero ci si possa ancora domandare se questo servizio sia ben gestito o sia diventato l’alibi di antiche e nuove inefficienze. La risposta sta nel rendiconto specifico del servizio che ancora manca, non nella lista delle funzioni che abbiamo letto sopra. Fra tre anni, la Rai conta di guadagnare 25 milioni su 3,2 miliardi di ricavi: lo 0,78%. Un’ambizione piccina, ma perfetta se si vuole mettere la società nelle condizioni di non essere privatizzata. Massimo Mucchetti