Pino Corrias Vanity Fair, 06/05/2004, 6 maggio 2004
Cocaina/2. Fiorello tirava perché era più famoso di Di Pietro, q Ore 9,30, Fiorello, re del sabato italiano, arriva in sella a un siluro nero con marmitte roventi
Cocaina/2. Fiorello tirava perché era più famoso di Di Pietro, q Ore 9,30, Fiorello, re del sabato italiano, arriva in sella a un siluro nero con marmitte roventi. Indossa giubbotto di pelle a chiazze mimetiche. Sgancia l’integrale. Ha la barba di due giorni. Infila gli occhiali blu. Scende, saluta, entra. L’interno del Bar Vanni ondeggia ai bordi della sua falcata. Tintinnano labiali di femmine sospese tra il bancone e la vita. [...] Ore in tv e pensi proprio di conoscerlo. Pacchi di rotocalchi ti hanno raccontato il suo cuore, il suo sorriso, la sua ombra, il suo trionfo. Ma Fiorello è ancora in grado di sorprenderti rivelandoti la sua scheggia di Ulisse da palcoscenico (che lo fa viaggiare e ridere) e la sua scheggia di Pantani (che lo rende triste e vero). Fiorello stringe mani. Bacia. baciato. Spedisce in estasi una signora di Avellino dicendole che «le belle donne di Avellino, per noi siculi di Augusta, 80 chilometri a sud di Tunisi, hanno fascino svedese». Lo abbraccia una coppia in gita da Milano e lui, per loro, tira fuori adenoidi padane e il sorriso del non-alto di Arcore: «Bravi, salutate il vostro presidente...». Ordina cappuccino e cornetto. Dice: «Mi piace essere gentile con le persone». E’ gentile persino quando gli si chiede di Donato Bilancia, il killer seriale. Lei quell’intervista l’avrebbe fatta? «Mai e poi mai. Paolo Bonolis è un amico, ma non posso condividere». Dice: «Non si intervistano i vampiri, non in quel modo». Dice: «Bilancia ha ucciso. Ha il diritto di redimersi, ma ha anche il dovere di stare zitto». Fiorello risponde al telefonino. Fuori c’è il sole. Spegne. Sbuffa. «Sono le nove e mezza e sono già stanco», dice e poi ride. Allarga tutte e dieci le dita e ti racconta l’apologo del muratore: «L’altra mattina ero giù di corda. Proprio depresso. Arrivo qui, e mentre bevo il caffè vedo un muratore, lì fuori, all’angolo, che si carica in spalla un fascio di tubi, 50 chili di ferro...». Si piega, mima la scena: «Oohh-issa... E mentre lo fa, vacilla e canta... Sta cantando: ”Brigitte-Bardot-Bardot ...”. Lo vedo e improvvisamente tutto il resto sparisce... C’è solo lui che fatica e canta. Che suda e canta. Di colpo mi sono sentito uno stronzo. Sono andato a salutarlo e a stringergli la mano, a dirgli: accidenti, sei forte, e ho cantato pure io con lui...». Fiorello memorizza la vita che lo circonda. Fiorello suddivide le scene come in un film. Fiorello guarda le persone e le vede. Capta l’intero racconto da una faccia, da un vestito, da una situazione. Ti dice: «Adesso so come è fatta la vita. Ho fatto già una volta il giro completo: dal paradiso al baratro e ritorno. Conosco le cose importanti e quelle secondarie. Conosco la pancia e l’aria fritta. tutto dentro la mia storia». La sua storia dunque. Raccontata in questa mattinata romana tra i camerini del Teatro delle Vittorie e la sala degli autori, su al primo piano, dieci autori seduti al tavolone con dieci portatili spalancati, dieci telefonini trillanti, dieci sigarette accese, le stampanti in azione, lui in piedi che racconta della telefonata che gli ha fatto Pupi Avati per complimentarsi della sua «molta anima» (di Fiorello) e la telefonata del ministro Sirchia che ormai chiama ogni lunedì per parlare di fumo e la telefonata di suo zio (di Fiorello) che gli vuole togliere il saluto dopo il bacio a Del Noce (di RaiUno) e la telefonata di sua zia (di Fiorello) che guarda solo ”La fattoria” e lui che adesso fa finta di strapparsi i capelli e grida: «Ladri di zie! Ladri di zie!». E poi si ricompone. Guarda tutti gli autori e dice: «Che dite, ci apro la puntata?». Silenzio, sospiri. «No, non fa ridere». Rosario Tindaro Fiorello, primogenito, è nato a Augusta, provincia di Siracusa, il 16 maggio 1960. Madre casalinga. Padre appuntato della Guardia di Finanza, scomparso nel 1990. Due sorelle, un fratello. Fiorello ha fatto poca scuola e molto calcio. Ha fatto l’aiuto cuoco nei villaggi vacanze. Poi il barman. Poi l’animatore. Sognava la tv. «No, non ci sei tagliato», gli ha detto un memorabile Pippo Baudo a un provino, anno 1986. Una manciata di anni dopo dentro alla tv ci è cascato, insieme con l’Italia intera, cantando il karaoke. Anni memorabili o un incubo? «Anni di incubi memorabili». Per esempio? «Per esempio ogni mattina uscivo di casa e incontravo quattro o cinque Fiorello per strada. Ero circondato dal mio successo, dalla fama, dai soldi e dai codini». Troppo e troppo in fretta? «Sondaggio sulla popolarità, anno 1992: il primo è il Papa, il terzo è Di Pietro. Io sono il secondo. Sono colpi d’ascia alla tua psiche». Colpi d’ascia che fanno perdere la testa. «Infatti a un certo punto mi rotolò via». Ci torneremo. Intanto adesso lei si gode il successo. « un successo più consapevole. Che ho costruito e voluto, non mi è cascato addosso». II suo amico Giampiero Solari, regista, ha detto: Fiorello è un format vivente. «Credo si riferisse al mio modo di lavorare». Che sarebbe? «Assorbire tutto quello che vedo, tutto quel che ascolto, personaggi, storie, situazioni, inquadrature e restituirle in un racconto». Per esempio la storia del muratore che fatica e canta. «Esatto. Prima o poi la userò in un monologo. Oppure userò il mio portinaio Velio, o il tipo del garage...». Da tutto il disordine, l’ordine... « il lavoro dei miei autori. Io parlo, parlo, parlo... Loro scrivono, cancellano, mi dicono questo sì, questo no... Anni fa, sul palco, andavo molto a braccio. Adesso lo spettacolo è preparato all’80 per cento». Più di tre ore sul palcoscenico è una specie di maratona. «Una gran fatica, sì. Ma sempre meglio che lavorare». Giusto. E pagato piuttosto bene. «Resti tra noi: lo farei anche gratis». Non ci credo. «Invece dovrebbe. nella mia natura stare sul palco. Avere gli occhi addosso. Sentire il respiro, la risata, l’applauso. Ho capito che tutto cominciò quando avevo sei anni. Posso raccontarle?». Deve. «Augusta, recita scolastica, prima elementare. Ci fanno fare l’Odissea. lo sono Ulisse: combatto, fuggo, remo, e infine bacio Penelope. Tutto dietro a delle lenzuola bianche, come ombre cinesi». Imperdibile. «E quando la recita finisce, bum, viene giù il lenzuolo, si accendono le luci, e io vedo per la prima volta il pubblico. Parte l’applauso. Sento un calore, un’esplosione: vedo la gente illuminata da un grande flash. Mi acceca. Mi piace». Si chiama imprinting. «Bravo. Da allora voglio stare sul palco, seguire il respiro del pubblico, riprovare quel piacere». Quindi i soldi non contano. «Contano per carità. Un tempo li buttavo, mentre oggi, a 44 anni, ho comprato la mia prima casa. Ma sia ieri che oggi le aziende mi regalano quasi tutto, moto, vestiti, vacanze... So di essere fortunato». Un giorno ha detto che non avrebbe più accettato il declino della propria fama. «Era tanto tempo fa e ho detto una sciocchezza. Si può vivere benissimo senza fama, senza tv, senza la febbre negli occhi degli altri. In questi anni ho imparato che le cose possono cambiare in fretta, a volte basta un errore... Guardi Aznar. Stava di nuovo vincendo, ha detto una bugia, ha perso tutto». In politica da che parte sta? «Dalla mia». Comodo, e poi? «Penso che destra e sinistra, Berlusconi e Prodi, facciano parte di una cosa sola, la stessa, separata da noi. Quella cosa ci governa». Quindi? «Quindi io li uso per far ridere». Prodi e Berlusconi li ha mai conosciuti? «Prodi no. Berlusconi tanti anni fa allo Sporting di Montecarlo, serata di gala di Publitalia, mi disse che ero bravo, che avrei fatto tanta strada se avessi tenuto la testa sulle spalle. Mi disse: impara da Mike. Poi si bloccò, stava passando una bellissima ragazza e mi disse: chi è quella bella gnocca?». E il figlio Piersilvio? «Lo incontravo all’Hollywood, a Milano. Lui scendeva in discoteca con Paolo Maldini. Era gentile, educato e la gente si stupiva: ma guarda com’è gentile anche se ha tutti quei soldi». Perché adesso non lo è più gentile? «Non con me. Ha bloccato l’ospitata di Teocoli il giorno prima della diretta. Mi sono ritrovato tre buchi nella scaletta». Fine dei buoni rapporti con Piersilvio? «Ci devo pensare». Torniamo a quando le rotolò via la testa. «Era la metà degli anni Novanta. Giravo con le guardie del corpo, l’addetto stampa, le segretarie... Avevo fidanzate da rotocalco e storie da una botta e via. Non parlavo più con nessuno, tiravo cocaina, mi sentivo un duro, invece ero un pupazzo». Quando si è accorto che era diventato un tossico? «Quando ho provato a smettere. La coca è una droga infame che si approfitta di te, ti prende in giro, finge di diventare la tua amica più intima e più innocua. Io vivevo a casa con la coca senza più vedere né sentire». Ha avuto coraggio a raccontarlo. «Mi è servito per ricominciare. Sapevo che da qualche parte esisteva una seconda possibilità». C’entra anche il matrimonio con Susanna Biondo? «Lei mi ha aiutato, sì. E mi ha aiutato l’idea che non avrei mai più fatto qualcosa che poteva nuocere a me e a lei. Le sembrerà strano, ma mi ha aiutato anche mio padre, il suo ricordo. Lui probabilmente da vivo non avrebbe saputo cosa dirmi... M’ha aiutato da morto». Una volta lei ha detto: «Finii con il karaoke e andai all’inferno». «Era vero. Le racconterò un segreto. Un paio di mesi fa, leggendo di Marco Pantani, mi sono messo a piangere. Perché se non avessi afferrato quella seconda possibilità - ripulirmi, cambiare strada, ripartire - avrei potuto esserci io al suo posto». Lei, in un albergo da due lire, un pomeriggio a Rimini, da solo, ad aspettare il pusher? «Sì. Ho visto la mia fotografia sovrapposta alla sua». Cosa le piace di più della sua nuova vita? «Non sentirmi più solo». E poi? «Decidere il mio presente e il mio futuro». Per esempio? «Il mio futuro comprende: andare in vacanza alla fine dello show. Stare fermo un paio di mesi. Doppiare il gatto Garfield nel cartone animato della Fox. Ricominciare con la radio, tutti i giorni in diretta. Farmi ottanta date in teatro. Incidere un disco dal vivo. Inventarmi un nuovo programma tv per il 2006». Basta? «Basta». Cosa detesta? «L’arroganza». una malattia da star. « una malattia da stronzi». Ogni anno le chiedono di fare Sanremo. «Prima o poi accetterò... Ma solo se mi faranno cantare tutte le canzoni». Quanto le piace fare il megalomane? «Un po’ lo sono sul serio. Il resto è per fare ridere». Nella sua carriera ha fatto tutto, ma il cinema una volta sola. «Quella volta era un film di Sergio Citti mai uscito... Non mi piace fare l’attore». Perché? «Nei panni di un altro non ci so stare». Le imitazioni allora? «Quelli sono panni doppi. Fiorello non scompare. Viaggia in parallelo e fa ridere». Quando uno comincia a parlare in terza persona è grave. «Lo so, smetto subito». Lei legge? «Poco». Ultimo film visto? «L’amore ritorna di Rubini, bellissimo». Musica preferita? «Tutta la musica del mondo». Un personaggio che l’ha messa in soggezione? «Dustin Hoffman nel suo camerino». Sul palco no? «Sul palco nessuno, mai». Per via del pubblico, gli applausi, la carica, e la faccenda di Ulisse? «Ulisse, sì». E Itaca? «L’ho già trovata. E grazie a Dio non è un villaggio vacanze». Pino Corrias