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 2004  aprile 08 Giovedì calendario

La testa rapata del sig. Cirio, Panorama, 08/04/2004 Le sue prigioni sono cominciate mercoledì 11 febbraio, il giorno di Nostra Signora di Lourdes

La testa rapata del sig. Cirio, Panorama, 08/04/2004 Le sue prigioni sono cominciate mercoledì 11 febbraio, il giorno di Nostra Signora di Lourdes. Da allora Sergio Cragnotti è detenuto in attesa di giudizio. Accusato di una serie di reati (dalla truffa alla bancarotta fraudolenta, dal falso in bilancio alla corruzione) e di aver creato un buco di oltre 500 milioni di euro, l’ex presidente della Cirio è in una cella nella Settima sezione del carcere romano di Regina Coeli: «Ha scelto lui l’isolamento» spiega Giulia Bongiorno, suo avvocato. «Io all’inizio gli avevo consigliato la comunità insieme agli altri reclusi perché in isolamento il carcere è durissimo. Ma poi ho capito che Cragnotti ha paura che qualcuno possa tentare di fargli la pelle». L’avvocato Bongiorno si sforza di descrivere la reclusione di Cragnotti con i toni più semplici, le parole più anodine: il suo cliente non chiede privilegi. Ma la descrizione della vita di un carcerato famoso, inevitabilmente, rompe il velo sulla realtà comune della prigione: una realtà inquietante. Appena entrato a Regina Coeli, Cragnotti si è tagliato a zero i capelli. Soltanto sulla sommità della testa una piccola area è meno rasata. «Quando l’ho visto la prima volta» racconta Bongiorno «ho immaginato che fosse accaduto qualcosa. Ho pensato ai pidocchi. Ma non era così. M’ha detto: ”Se mi vogliono tutti detenuto, avrò anche il taglio da detenuto”». L’avvocato spiega che Cragnotti ripeteva ossessivamente quella frase già prima di finire in cella. «Nei casi che fanno scalpore» dice «l’opinione pubblica si divide. Invece Cragnotti ha subito avuto l’impressione di essere stato condannato da tutti, anche e soprattutto dalla signora Maria, la massaia che ha perso i suoi risparmi. La mattina Cragnotti leggeva i giornali e mi diceva: ”La signora Maria è bombardata dalle mie foto ed è già convinta che io le abbia sfilato i soldi dalla borsetta”. La signora Maria non mette in conto la possibilità che le cose potrebbero essere diverse da come sostiene l’accusa. Quindi le pare giusto che Cragnotti stia in prigione. Non importa se ancora non è stato condannato. Ecco perché si è tagliato i capelli da detenuto». L’avvocato Bongiorno, che pure (da penalista) di carcerati ne ha visti, è impressionata dall’invecchiamento accelerato di Cragnotti. Attorno agli occhi, racconta, il suo cliente mostra rughe che il 10 febbraio non aveva. E sotto gli occhi ha due segni neri che rivelano la mancanza di sonno. Di notte, più volte durante ogni notte, gli agenti della polizia penitenziaria lo devono svegliare: soltanto per sapere se è vivo o è morto. Attraverso le sbarre della porta gli urlano: «Cragnotti, Cragnotti!». Continuano a chiamarlo fino a quando non risponde. «Non lo fanno certo per cattiveria» spiega Bongiorno. è una delle regole dell’isolamento: si deve fare così. La cella di Cragnotti misura sei passi per tre. Nello spazio sono compresi un letto a castello, una piccola televisione, una cucinetta da campo e un bagnetto con cesso alla turca separato da un telo appeso. La finestra guarda sul cortile interno e il problema maggiore è il freddo. Ora è arrivata la primavera e hanno spento i riscaldamenti, ma la situazione non è cambiata, perché anche quando erano accesi non riscaldavano gli ambienti: a Regina Coeli le finestre sono aperte, sempre e ovunque. Il detenuto può chiudere la finestra della sua cella, però il freddo entra dal corridoio. Le porte della Settima sezione sono due, una di metallo e una a grandi sbarre, ma la prima deve restare aperta in permanenza. Così entra il freddo, perché anche nel corridoio sono sempre aperte le finestre. E il detenuto non ha alcuna possibilità di decidere sulla chiusura delle due porte. «Io vado al colloquio con cappotto, sciarpa e calzamaglia» dice Bongiorno. «C’è anche umidità. Ho chiesto a un agente la ragione di questa prassi delle finestre aperte. Pare che serva per fare asciugare i pavimenti». Da quando è entrato in cella, se si esclude il fratello, Cragnotti non ha potuto vedere alcun familiare perché la moglie e i tre figli sono indagati come lui. L’unico con il quale ha potuto scambiare poche parole è stato il figlio Andrea: ma soltanto perché, nei primi giorni Andrea era in una cella a fianco della sua. «I muri che dividono le celle sono molto spessi» dice Bongiorno «e Andrea, che aveva paura, non riusciva a parlare con il padre. Ogni tanto lo chiamava alzando la voce, ma ovviamente in prigione questo non è permesso. Allora le guardie gridavano: ”Silenzio!”». Per combattere il freddo Cragnotti tiene sempre addosso due maglioni. Ha anche i pantaloni di velluto e sotto porta una tuta. Ma non si possono tenere giacconi con il cappuccio, perché alla Settima i cappucci sono ritenuti pericolosi. Per ragioni di sicurezza non si può nemmeno avere l’orologio, o un sacchetto di plastica per l’immondizia. E non si possono usare neanche i rasoi elettrici, così si radono tutti a mano. Il prete del carcere ha detto a Cragnotti di avere bloccato un detenuto che si stava mettendo una lametta sotto la lingua. «In carcere si parla moltissimo di suicidi» racconta l’avvocato. «M’ha detto il genero di Cragnotti, Filippo Fucile (anch’egli in isolamento a Regina Coeli dall’11 febbraio, ndr), che, pur se si prendono tante cautele, in realtà non è affatto difficile suicidarsi». Certamente non lo è stato per un mastodontico brasiliano che era in prigione con l’accusa di omicidio ed era vicino di cella di Andrea Cragnotti. Una sera tardi si sono sentiti strani rumori, poi sono esplose le grida di tutti i detenuti della sezione: il brasiliano non aveva retto e s’era strangolato con un lenzuolo. I detenuti delle celle vicine avevano visto passare gli agenti che trasportavano il corpo del brasiliano e avevano capito: per questo gridavano. E tra loro c’era Andrea. «Quella è stata la notte più terribile per Cragnotti» riferisce l’avvocato: «quando ha visto il corpo del brasiliano portato via a braccia. Quell’immenso brasiliano non aveva resistito al carcere, e accanto a lui c’era il figlio Andrea». Nella notte di sabato 28 febbraio, Cragnotti ha chiesto aiuto per improvvisi, violentissimi crampi alle gambe. Ma era la prima volta, perché, racconta l’avvocato, non si lamenta mai di nulla: «Non perché stia bene, certo, ma solo perché sa che non serve. Dice anche che le guardie sono gentili. Ma aggiunge sempre che un giorno passato lì dentro sembra un anno». Il recluso conduce la vita di altri mille detenuti: guarda tanta televisione, in attesa che alle 3 del pomeriggio arrivino i giornali. Fa la doccia e prende 30 minuti d’aria al giorno. Mangia poco, soprattutto quello che gli viene spedito con il pacco. «Ieri Cragnotti m’ha stretto la mano mentre andavo via e ha detto: ”Per favore niente mele, ma libri”. Non era un discorso in codice tra avvocato e cliente, ma una tipica comunicazione da carcerato: ogni mese può ricevere pacchi contenenti biancheria, cibi e roba da leggere che non superino in totale i 20 chilogrammi. La moglie sa che a Cragnotti piacciono le mele e l’ultima volta ne aveva messe molte nel pacco. Ma si esauriscono troppi chili con le mele. Ecco perché Cragnotti mi ha fatto quel discorso da detenuto». Con il cibo, e con la morte, uno degli argomenti più trattati in prigione è la libertà: «Venerdì, accanto alla cella dei colloqui c’era una gabbietta con un canarino. Cragnotti l’ha visto e ha detto alla guardia: ”è in isolamento anche lui? Come me, praticamente”». Maurizio Tortorella