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 2004  aprile 22 Giovedì calendario

Salvi ha detto no a Gibson per Cettina, Vanity Fair, 22/04/2004 Circondato dall’intera Italia che si è messa in fila per The Passion, Francesco Salvi è lì che pascola il cane in un metro di terra verde, margherite e lacrime romane: «Bestia d’una bestia, mi son detto

Salvi ha detto no a Gibson per Cettina, Vanity Fair, 22/04/2004 Circondato dall’intera Italia che si è messa in fila per The Passion, Francesco Salvi è lì che pascola il cane in un metro di terra verde, margherite e lacrime romane: «Bestia d’una bestia, mi son detto. come perdere il taxi, il treno, la nave e l’aereo contemporaneamente. Mi voleva Mel», dice con la voce che gli si incrina. «Mi voleva Mel Gibson per il suo film e io gli ho detto: non ho tempo, Mel. Come non hai tempo? Impegni, Mel». Tenerezza, in fondo, per il grande Salvi, che un anno fa rinunciò al film stellare quando aveva già il contrattone in tasca, una decina di pose, nei panni del soldato romano che sta alle spalle di Gesù, gli calpesta l’ombra, lo tormenta, lo sprona, ma alla fine lo aiuterà, nell’ultima salita al Golgota, sequenza terminale di un intero mondo e nascita del Cristianesimo, rivoluzionato dal perdono. La storia (imperdonabile) andò così.  un giorno di maggio, anno 2003. Al borbottante Salvi (che sta leggendo, scrivendo e mangiando contemporaneamente) squilla il telefono. Shaila Rubin, la casting: «Caro Salvi lei è proprio fortunato». E lui: «Mai stato troppo fortunato, signora». E lei: «Ma sì. Mel Gibson ha visto una sua foto tra un milione di altre foto». «Ah. E dove?». «Su a Hollywood». «Caspita, e cosa è successo?». « successo che Mel è saltato sulla sedia, ha gridato: ecco il mio soldato romano, la mia bodyguard dell’Impero. Ha detto: ha il naso storto, la faccia brutta, gli occhi piccoli, la mascella cattiva, ma in fondo si vede che è di animo buono». «Onorato», fa il Salvi, freddino. «E quindi?». «Provini tra un mese», dice la Shaila che è di indole tedesca. «Piazza dei Quiriti 1, ore 18. Ci sarà?». «Ci sarò». In quei giorni di giugno Roma friggeva sui 40 gradi all’ombra, senz’ombra, e Salvi sudava persino nel seminterrato dei provini. Sudava pure Mel, circondato da telefonini, ventilatori, monitor e assistenti. Mel allungò la mano: «Sono Mel Gibson», disse. «Io no», rispose Salvi in automatico. «Sono Francesco Salvi, comico drammatico». «Adoro i comici drammatici», disse Mel. «Anch’io. Ci convivo da anni e ci litigo il giusto», precisò Salvi. «Ah, ah», fece Mel. Insomma, tutto funzionava a meraviglia. Il Salvi, che è estroverso di natura, chiacchierò in primo piano e di profilo. Raccontò (a grandi linee) la sua storia. Che dice così. Francesco Salvi è di famiglia lacustre. Nasce nel 1953 a Luino, sponda di matti e di poeti. Nebbione che andrebbe analizzato per aver dato nutrimento agli endecasillabi di Vittorio Sereni, ai racconti di Piero Chiara, ai misteri buffi di Dario Fo e alla metafisica di Renato Pozzetto. Francesco Salvi suona nelle balere, recita nei night, divora letteratura. Abbandona famiglia e lago a 17 anni. Sbarca a Varese. Poi a Milano, direttamente al Derby Club, dove razzolano le finte galline di Cochi e Renato, Diego Abatantuono fa il tifoso pugliese, Walter Valdi serve da bere, Massimo Boldi suona la batteria. C’è un figuro magrissimo sul palco, si chiama Beppe Grillo, che grida «Beeelin!» e recita testi firmati da un certo Antonio Ricci, filosofo di Albenga. Quando dalle sinapsi del filosofo di Albenga nasce ”Drive in”, Francesco Salvi va in fulminea detonazione. Inscatola la vita in gag da due minuti e mezzo, recita, canta e incanta. Scala Sanremo. Vende 800 mila copie di un disco dove la facciata A coincide con la facciata B e il testo coincide con il titolo: C’è da spostare una macchina. Racconta: «Apoteosi di un momento. Istanti dorati di fine 1989. Il mio ingaggio passò da uno a 8 milioni a serata. Un mese dopo era salito a 16. Dopo un altro mese a 40. Vivevo nella stratosfera. Viaggiavo da Bolzano a Napoli in una notte. Avevo tanta di quella energia che mi capitò di fare una serata nella discoteca sbagliata, accorgermene a metà spettacolo, uscirne in trionfo, trovare la discoteca giusta, che stava dietro l’angolo, e con due ore di ritardo ricominciare da capo». Mel Gibson lo ascolta estasiato. I telefonini hanno smesso di trillare. I ventilatori di soffiare. Gli assistenti preparano il contratto. Francesco Salvi agguanta il curvone e si infila nel tunnel degli anni Novanta, ombre sulla tv, offerta di film bruttini. Lui legge un libro al giorno per tenersi pronto. Scrive un copione al mese. Scioglie il suo gruppo che si chiama «Il suo gruppo», fonda quello nuovo che si chiama «I virtuosi della cattiveria». Scrive il testo memorabile di una canzone dedicata agli oppressi, I piedi, che nel refrain dice: «Del fisico sono il Meridione / sostengono il peso del padrone». Gira un film bello e sconosciuto, storia di un pugile romantico e suonato, titolo La rentrée, che in fondo è anche il lavoro più bello di Salvi e in quel momento anche il lieto fine del suo declino. Stop, applausi. Provino e faccia approvati. Nuovo appuntamento a Cinecittà, mese di luglio, per leggere la sceneggiatura. La sceneggiatura è in inglese, in italiano, in latino e in aramaico. Lo story board è colorato con i pastelli. Fa un caldo pazzesco. Le bibite sono ghiacciate. Ed ecco, all’improvviso, il bivio del destino: il film ritarda. Di quanto, Una settimana, un mese. Chiamano avvocati e agenti. Salvi ha un impegno con la Rai, lo sceneggiato ”Un medico in famiglia”. Firme che non si possono cancellare, soldi che non si possono rifiutare. C’è persino un amico che gli dice: «La tv è più sicura. Quel film non ti servirà a un tubo. Fidati. E non farà una lira». Dunque niente Passione, niente Mel Gibson che reagisce con un abbraccio e una promessa: «Lavoreremo insieme nel prossimo film anche se stavolta, per trovare una faccia come la tua, mi farai spendere un sacco di soldi in effetti speciali». Rieccoci al metro di terra verde e alle lacrime romane. Pascolato il cane, crocifisso l’amico, Salvi sgocciola la sua futura speranza. «Mel tornerà per il suo nuovo film. Lo aspetto. Sarà la storia di Lorenzo de’ Medici. E io, giuraci, ci sarò». In quale ruolo? «Qualunque ruolo. Anche l’apostrofo». Pino Corrias