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 2004  aprile 02 Venerdì calendario

Atro di Stefano Bartezzaghi la Repubblica, 02/04/2004 Atro, da cui atroce (atroce sospetto, atroce vicenda) è parola cara agli enigmisti, presso i quali continua a significare «nero, oscuro» e «crudele», come ai tempi dell’Alfieri

Atro di Stefano Bartezzaghi la Repubblica, 02/04/2004 Atro, da cui atroce (atroce sospetto, atroce vicenda) è parola cara agli enigmisti, presso i quali continua a significare «nero, oscuro» e «crudele», come ai tempi dell’Alfieri. Nel linguaggio comune la parola è inesistente: nessuno capirebbe un calembour che definisce il teatro come un tè atro, infuso scuro e ansiogeno. Anche un utile lemma come «atrabiliare» non suggerisce ai più il significato di umore nero e tenebra biliosa, ma si ritrova confinato nel cimitero di quegli eleganti elefanti che sono gli arcaismi. «Atro» vive solo nei lapsus: ma lì, in compenso, alligna festosamente. In due giorni consecutivi lo si è visto comparire in resoconti dolenti dall’Olimpico: un articolo continuava a discettare sui «fatti dell’atra sera»; il giorno dopo qualcuno affermava che qualcosa doveva bastare: «non c’è nient’atro da fare». L’abitudine percettiva correggeva il refuso, uno dei refusi intelligenti e postmoderni allevati dalla lavorazione automatica dei testi: lo strano «atro» era in realtà da intendersi come un derivato del più consueto «altro». Ma la soluzione non esaurisce l’enigma, e l’errore non è mai corretto dalla correzione. L’atro resta così la faccia oscura, dotata di un suo nero splendore, dell’Altro.