Emanuela Audisio la Repubblica, 27/03/2004, 27 marzo 2004
Nong Toom, sul ring vestito da donna, menava come un uomo, la Repubblica, 27/03/2004 Lui, è stanco di essere lui
Nong Toom, sul ring vestito da donna, menava come un uomo, la Repubblica, 27/03/2004 Lui, è stanco di essere lui. Lui, picchia altri lui. Lui, si veste da lei. Lui combatte da lui, truccato da lei. Rossetto fucsia, smalto rosa, chignon. Bello, bella. Lui fa male come un uomo e seduce come una donna. Lui ti spacca la faccia, lei ti bacia teneramente. Lui, lei, gran casino. Un’anima divisa in due. Il sesso, anche. Lui al peso non vuole farsi vedere nudo. Lì, proprio lì. Dove quando sei in slip guardano tutti. Dove è evidente che non sei lei. Si mette a piangere davanti alle telecamere. Al Lumphini Stadium. Lacrime e singhiozzi. Ha 16 anni, quel sesso non lo rappresenta. Ottiene di coprirsi con l’asciugamano. Parinya Charoenphol, nome da uomo. La thai boxe, antica e sacra, muai thay nella lingua locale, sport da uomini. A Bangkok si picchia con tutto, vale tutto: calci e gomiti. Parinya esegue la danza rituale, la Wai Kru, il suo avversario la deride, scimmiottando l’atteggiamento effemminato. Parinya lo stende e poi lo bacia sul collo. Pugno di ferro, ciglia truccate. Just like a woman. «Non provarci mai più a prendermi in giro, bamboccio». Il pugile si volta verso i giornalisti, si scioglie la chioma e dichiara: «Non fatevi distrarre dal mio look, questo sorriso ha messo ko 20 ragazzi: non permetto a nessuno di prendersi gioco di me una seconda volta». Parinya è il primo pugile transessuale della storia. Transgender, middlesex, terzo sesso, diverse interpretazioni. Ma soprattutto un lui che si sente lei nello sport più macho che ci sia: la boxe. E dove ci si denuda, ma non ci si traveste. Il ring non lo permette. Nemmeno in Thailandia. Ricordate il film Billy Elliot? Lì c’era un ragazzo che non voleva fare il pugile, ma il ballerino. Qui c’è un ragazzo che non vuole fare il ragazzo. Parinya aveva 12 anni quando accompagnò il fratello a un campo di allenamento di Chiang Mai, nel nord. Ci andò truccato in un certo modo. «Perché dentro di me sentivo di non essere un maschio, preferivo stare con mia sorella, mi piacevano i suoi giochi da femmina, i suoi abiti e i suoi trucchi». Parinya era curioso, non amava il sangue o picchiare gli altri. Ma fu sfottuto da uno degli apprendisti guerrieri: «Sei solo uno schifoso katoey». Sì, un travestito. Parinya reagì alle brutte parole con un bel colpo: doppio calcio al mento. E quella fu la prima volta. L’insegnante rimase colpito e l’invitò a restare. La famiglia di Parinya era povera, i suoi coltivavano i frutti chiamati lychees. «Sono diventato un thai boxer per potermi difendermi da solo. Ero stufo di essere preso in giro dagli altri maschi, e così quel giorno, quando quel ragazzo mi ha insultato, sono scattato. L’ho messo al tappeto con molta facilità, non potevo crederci. Quando il coach mi ha proposto di entrare nella sua scuola di muai thay ho pensato che avrei potuto guadagnare, aiutare la mia famiglia, e diventare molto famoso. Non sapevo ancora che avrei usato i soldi delle mie vittorie per una cosa ancora più importante: diventare me stesso». La muai thay: ora solo uno sport. Ma fino al 1921 una grande disciplina pedagogica, da insegnare obbligatoriamente nelle scuole, perché ogni thailandese maschio doveva saper difendere la propria terra con mani e piedi. Tutto era lecito: testate, ginocchiate, gomitate, calci sotto la cintura. L’arte marziale più dura e violenta del mondo, il sistema di attacco-difesa più completo e potente. «Ho dovuto impegnarmi e combattere molto duramente per sopportare l’allenamento, all’inizio non avevo i soldi per pagarmi l’attrezzatura e per irrobustirmi prendevo a calci, a piedi nudi, i banani intorno alla casa. Anche salire sul ring truccato da donna è stato difficile. Sentivo addosso una pressione terribile, all’inizio tutti mi guardavano strano, pensavano che ero solo un travestito. Ma i ko mi hanno aiutato nell’avere quel rispetto che si deve ai pugili. Sono stato anche fortunato, ho vinto subito, e quella era la cosa che contava di più. Il coach era contento di me, a casa anche, visto che mandavo alla mia famiglia i primi bath vinti. Ogni tanto qualche avversario mi insultava, ma io rispondevo sempre nello stesso modo: sarò anche un travestito, ma so combattere meglio di te». Parinya cambia nome, diventa Nong Toom. E guadagna, ma lo sport non le basta più. Cerca un’identità. Vuole qualcosa di più del successo: amore per sé, rispetto per i diversi. Per quelli come lui che si sentono una lei e che in Thailandia vengono chiamati lady-boy. Ottiene di poter salire sul ring con un reggiseno di pizzo nero. Spiega che deve difendere le sue nuove ghiandole mammarie. Lo spiega anche in Giappone, dove va a combattere, ormai è famosa. Il ragazzo-guerriero travestito attira. Il suo prezzo passa da 7 a 1.000 euro, e una volta all’estero le danno anche 10 mila euro. Ma è sempre un uomo che si sente una donna. Non ama far male agli altri, anche perché è buddista. E non vuole prendere in giro o disprezzare la thai boxe. « difficile combattere contro i ragazzi belli e mi dispiace doverli mettere al tappeto: baciarli sul collo è un modo per chiedere loro scusa dal profondo del mio cuore». Difficile, doloroso: non il ring, non lo showbiz che ormai richiede Nong Toom, con spettacoli di lotta anche indecenti. Ma essere un uomo che si comporta come una donna. Non è abbastanza, non è quello che vuole. Le scatta qualcosa dentro, come quella volta al campo di allenamento che il ragazzino lo aveva sfottuto. Nong Toom non ha ancora 18 anni, ma sa che diventare una donna è quello che vuole. Adesso dovrà combattere con un altro tipo di avversario: contro la società e contro il suo sesso naturale. Inizia a prendere pillole. Continua a picchiare, ma senza quella ferocia che gli aveva sempre permesso di vincere. Il suo pugno è sempre lo stesso, ma la forza ha perso violenza. Nong Toom comincia a incontrare pugili che sembrano più veloci e più cattivi. Non sembrano solo, lo sono. Viene battuto, finisce al tappeto. Steso, umiliato. Nessuno lo bacia per consolazione, anzi viene insultato con disprezzo. Gli ricordano con durezza l’eccezionalità della sua condizione. Ma Nong Toom ha bisogno dei soldi del ring perché ha iniziato un trattamento ormonale, necessario alla trasformazione del suo fisico. Vuole una nuova carriera: quella di modella, cantante e ballerina. Vuole un nuovo sesso. Vuole la normalità. Non più straordinaria trasgressione. «La muai thay non mi bastava più, anche se mi aveva dato tanto, fama e denaro. Sentivo che potevo essere più felice diventando me stessa. Ero pronto a sacrificare tutto. Volevo passare il resto della mia vita come una vera donna». Nong Toom perde sempre più spesso, ma la sua fama sale sempre di più. Diventa un fenomeno commerciale, da imitazione. I padri mettono il rossetto ai loro piccoli-guerrieri, sperando che così faranno notizia. Ma nel marzo 1999 il pugile dai guanti di velluto dichiara alla tv la sua intenzione di cambiare sesso. Si farà operare. Ancora una volta è scandalo. Con grande realismo il ”Bankgok Post”, il maggior giornale thailandese, commenta in un editoriale: «In questo paese è già tremendamente difficile essere una donna, e questo varrà in maniera doppia per Nong Toom, che non verrà accettato né come femmina né come ex uomo, ma come un terzo sesso». In più come donna Nong Toom non potrà più salire sul ring della muai thay. «Sapevo che non sarebbe stato facile, ma cosa nella mia vita lo era stato? Contavo che avrei avuto vicino la mia famiglia, che condivideva la mia decisione, e le persone che mi volevano bene. Sapevo che non sarei stata sola». Bangkok da alcuni anni è considerata la nuova capitale dei transessuali, anzi la città del «gender reassignement center», centro della ricollocazione sessuale. Uno degli slogan pubblicitari della città recita: «Vai a Bangkok, tornerai che non sarai più lo stesso». O che sarai te stesso. Basta avere 2.000 euro. «L’operazione è andata bene, è durata tre ore e non ho sofferto molto, anche se è stata molto costosa, 80.000 bath, e faticosa. La riabilitazione fisica è durata alcuni mesi. Il dottore prima di operarmi ha voluto che io per un anno mi comportassi come una donna, anche pubblicamente, che andassi nel bagno delle donne e se se tutto fosse andato come doveva, avrei ottenuto il permesso di andare sotto ai ferri. Per diventare una vera lei, non più un travestito». Nel novembre 2003, Nong Toom Charoemphol viene premiata con l’Utopia Academy Award, premio assegnato dalla comunità gay ai più meritevoli esempi dell’anno. Questa la motivazione: «Per il suo grande coraggio nel portare avanti e vivere pubblicamente la sua esperienza personale di cross-gendering». Lei si è presentata con jeans attillati, tacchi, una camicetta rosa e una lunga chioma fluente. Ai microfoni ha ringraziato e ha raccomandato di non aver paura, che vale sempre la pena provare a essere se stesse. Anche se il suo esordio come cantante all’Icon Club viene molto criticato: «Voce non all’altezza e movenze non eccezionali». Come attrice ha avuto una parte in una soap-opera e alla sua vita si ispira il film Beautiful Boxer, Pugile Meraviglioso, appena presentato al festival di Berlino. «Non ho potuto recitare il mio ruolo nel film perché la tradizione della muai thay vieta a una donna di combattere, ma ho appena saputo della decisione del Comitato olimpico internazionale di aprire i Giochi di Pechino 2008 anche ai transessuali. E sono molto felice: voglio ringraziare pubblicamente il Cio, è un altro passo per far sì che i transessuali possano essere sempre più accettati e integrati nella società, chissà che non possa accadere anche in Thailandia che la Royal Thay Army permetta in futuro alle donne di andare sul ring e mostrare che sono brave come gli uomini. Il mio paese è abbastanza tollerante con i transessuali anche se la legge è antiquata, e non solo non ci tutela ma ci discrimina: non possiamo sposarci e non possiamo neanche cambiare il sesso sulla carta d’identità». Nong Toom ha appena 22 anni. Le piace la boxe di Mike Tyson. Dice che lei non si sente di essere un esempio per la società. «Non sono perfetta e non voglio essere un modello per nessuno. Ma vorrei che tutti quelli come me non fossero infelici e non si considerassero dei mostri. Mi sono accorta da donna, di essere discriminata. Perché questa è una società di uomini che non ha nessun rispetto per l’altro sesso». Qui finisce la storia del primo pugile che divenne donna. E che per questo dovette scendere dal ring. He is now a she. Lui ora è una lei. E qui comincia la storia della prima donna che vorrebbe risalire sul ring. Perché comunque è un casino: essere lui e lei. Nong Toom può dirlo: « duro essere un uomo, è difficile essere una donna, ma la cosa più complicata è cercare di diventare quello che si vuole». Emanuela Audisio