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 2004  marzo 05 Venerdì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 5 APRILE 2004

La Francia, l’Italia e i delitti di Cesare Battisti.
7 e 40 del 6 giugno 1978, via Spalato ad Udine. Il maresciallo Antonio Santoro, 52 anni, da 13 Comandante degli Agenti di Custodia del locale carcere, saluta la moglie e i tre figli (20, 18 e 10 anni) ed esce dall’alloggio di servizio per fare i due passi che lo separano dall’ufficio. Per la strada non c’è quasi nessuno, giusto una coppietta che si sbaciucchia. Ha fatto pochi passi quando un uomo esce da una Simca bianca parcheggiata davanti all’abitazione e gli spara alle spalle con una vecchia pistola ”Glisetti” (quelle che usavano i Carabinieri tra l’800 e il 900). [1] Alessandro, il più piccolo, racconta: «Ho sentito gli spari e ho visto quello che era accaduto a mio padre». [2] I Proletari armati per il comunismo (Pac) rivendicano l’omicidio: «Colpendo l’aguzzino, vendichiamo le ingiurie passate, sosteniamo le lotte di oggi e sventiamo il progetto dei lager». [3] Spiegherà Arrigo Cavallina, ideologo dei Pac, che Santoro «aveva una linea di comportamento molto dura. Quando fecero lo ”speciale” ad Udine ci chiedemmo ”perché proprio lì”. La risposta fu ”perché lì c’è il personale adatto ad un carcere speciale, tipo Santoro”». [4]

Ora di cena del 16 dicembre 1978, Caltana di Santa Maria a Sala (Venezia). Lino Sabbadin è dietro al bancone della sua macelleria. Con lui il figlio Adriano, che lo sta aiutando a fare ordine nei conti. Il negozio è chiuso. Entrano due uomini. Uno tira fuori dal giaccone la pistola e con il calcio colpisce sulla testa il macellaio. Una bestemmia in dialetto, e poi: «Fuori i soldi». L’uomo, a terra, si trascina nel retrobottega, prende una pistola e spara, colpendo alla testa uno dei banditi (morirà quella stessa notte). [5]

Ora di pranzo del 22 gennaio 1979, via Malpighi a Milano (zona Porta Venezia). C’è nebbia e fa un freddo cane. Il ristorante Transatlantico è quasi vuoto. Tra i pochi clienti, il gioielliere Pier Luigi Torregiani. malato, da anni lotta contro un tumore al polmone, in ospedale ha incontrato tre bambini orfani di padre con la madre malata di cancro e ha deciso di adottarli. Marisa, la più grande, sta mangiando con lui. Arrivano due uomini a volto coperto: «Questa è una rapina, tirate fuori tutto quello che avete». Torregiani tira fuori la pistola, nella sparatoria muoiono un rapinatore e un commerciante. [5] Bocca scrive della violenza che imperversa, della Milano blindata, ma anche delle pistole facili: «La sera stessa due cronisti di ”Repubblica” in un bar di Porta Ticinese, frequentato dai ”compagni che sbagliano”, sentono che a un tavolo vicino si parla del mio articolo, del gioielliere borghese che ha ucciso un proletario, uno che faceva una rapina per l’autofinanziamento della lotta armata». [6]

14 del 16 febbraio 1979, via Mercantini a Milano. Torregiani sta aprendo il negozio, con lui ci sono Marisa e Alberto, 15 anni. Arrivano tre uomini con le mani in tasca, uno urla «Torregiani!», appena si volta gli sparano al collo e alla testa, ma il gioielliere prima di morire risponde al fuoco. Alcuni colpi raggiungono il figlio alla colonna vertebrale, paralizzandolo (è ancora sulla sedia a rotelle). Cinque ore dopo, Adriano Sabbadin è nel retro della macelleria, sta litigando al telefono con un fornitore: «Sento dire a voce alta ”chi è Lino Sabbadin?”, e poi gli spari». Corre, fa in tempo a vedere l’assassino del padre che, montatogli sopra a cavalcioni, gli spara il colpo di grazia. [5]

Sera del 19 aprile 1979, alla Barona, Milano. Andrea Campagna, agente della Digos, sta uscendo dalla casa della fidanzata. Un uomo a volto scoperto lo soprende alle spalle, gli spara un colpo alla testa, quindi ruba una Fiat 127 e scappa. Si saprà poi che la vittima era stata notata in tv mentre faceva entrare in macchina un arrestato. Perciò la condanna a morte. [5]

Per i quattro delitti dei Pac è stato condannato all’ergastolo Cesare Battisti. Nato a Sermoneta nel dicembre 1954, nel 1968 si era iscritto al liceo classico ”Alessandro Manzoni” di Latina. In breve, aveva capito che la contestazione gli interessava più dello studio. Dal suo sito Internet: «Le parole rivoluzionarie erano sulla bocca di tutti e Cesare, ancora molto giovane ma da sempre indottrinato da una famiglia religiosamente comunista, non poteva restare insensibile al vento di rivolta». Tre anni, ed era in un carcere minorile: «Solo qualche settimana, ma abbastanza per comprendere che ”sono sempre gli stessi che cadono, e che alla violenza dello Stato bisogna rispondere con le stesse armi”». [3]

Il ”cattivo maestro” di questa storia si chiama Arrigo Cavallina. Oggi ha 59 anni, per i giudici era il padre spirituale di Battisti. Quando l’ha conosciuto? «In carcere a Udine. Cesare era detenuto per una rapina. Lì cominciai a parlargli di politica. Chi era? Un ragazzo di malavita, ma di grande carica umana, con un grande senso dell’umorismo. Scherzavamo molto, sulle battute io e lui ci si capiva al volo. Aveva molta voglia di leggere, di sapere... Io allora ero un insegnante di cultura generale e di educazione civica alle professionali. Lui era un po’ bulletto, ma anche simpatico. E se la sapeva giocare. Aveva un certo fascino con le ragazze». [4]

Fu così che Battisti entrò nei Pac. Cavallina: «Una parte di noi viveva a Milano, un’altra a Verona, qualcuno a Padova. Ci trovavamo, e ricordo che i ”milanesi” chiedevano: ”Dove andiamo a fare una gita?”. Andavamo in collina, a cena in trattoria, e poi naturalmente si guardava anche al supermercato da rapinare, all’ufficio postale da assaltare...». [4] Sembra di sentire Bocca quando narra di quel killer di Prima linea che appena alzato ripassava l’elenco delle vittime candidate e sceglieva: «Questo no perché esce senza scorta il sabato e io il sabato devo andare a sciare, quest’altro neppure sta troppo lontano da casa mia, questo sì, esce di sera, va a spasso in corso Vinzaglio dove passa il 24 e così, dopo, lo prendo e vado a cena dai miei». [6]

Le prime azioni dei Pac avevano come obiettivo il carcere e la solidarietà ai detenuti (vedi il delitto Santoro). «Sogni di rivoluzione non ce n’erano già più». Poi, la spaccatura. Cavallina: «Qualcuno tra noi cominciò a tirarsi indietro. Altri, che a Milano avevano conosciuto persone più scatenate... continuarono per la loro strada. Ci fu un incontro, cui parteciparono anche Battisti e Memeo. Quel giorno io e Luigi Bergamin dichiarammo di non essere d’accordo su Torregiani e Sabbadin, ma altri erano convinti che si dovesse fare. Non riuscimmo a fermarli». [4]

Arrestato nel ’79, Battisti scelse di non difendersi. Le cronache raccontano delle minacce che lanciava al giudice Corrado Carnevali: «Stai sicuro, veniamo a prendere anche te». Aula sgombrata un’infinità di volte, lui che non la smette di gridare «siete solo dei buffoni di merda». Fu l’unico processo (in primo grado) al quale prese parte. [5] Il 4 ottobre 1981, infatti, i «Comunisti organizzati per la liberazione proletaria» lo fecero evadere con un’operazione in grande stile. [3]

Battisti fuggì in Francia. Poi in Messico, sei anni a comporre articoli per giornali, riviste culturali, la scrittura che pian piano prendeva il posto della rivoluzione. Finché, nel ’90, tornò in Francia. Due anni ed usciva il primo romanzo, Travestito da uomo, editore Gallimard. Da allora, 13 ”polar” (poliziesco+noir) e la popolarità: sui giornali, in tv, nei salotti letterari. [3]

Nel 1991 Parigi rifiutò l’estradizione di Battisti in Italia. A proteggerlo la ”dottrina Mitterrand”, con la quale, dal 1981, la Francia dava asilo ai terroristi in fuga, e il fatto che da noi non fosse prevista la ripetizione del processo per i condannati in contumacia. [7] Tredici anni di pace, poi, il 10 febbraio scorso, l’arresto, in un’affollata sala di Parigi dove proiettavano Buongiorno notte, il film di Bellocchio sul caso Moro. [8]

La sinistra francese, in prima fila politici e intellettuali, è insorta in difesa di Battisti. Bertrand Delanoë, sindaco di Parigi, lo ha simbolicamente dichiarato «sotto la protezione della città». François Hollande, segretario dei socialisti, è andato a trovarlo in carcere e all’uscita ha dichiarato: «Va liberato, subito!». [9] Lo scrittore Philippe Sollers ha attribuito la richiesta d’estradizione allo «spirito di vendetta» di Berlusconi nei confronti di un «rivoluzionario», ha detto che all’epoca in Italia c’era «un terrorismo di Stato molto importante, una vera guerra civile e sociale», quindi ha citato Victor Hugo: «Quando vedo una mosca o una farfalla impigliata in una tela di ragno la libero ed è una piccola amnistia oscura, che fa arrabbiare solo i ragni». [10] Il giornale comunista ”L’Humanité” ha scritto che «Battisti è stato condannato nel 1987 da un giudice speciale di un tribunale militare riservato ai processi contro i militanti dell’estrema sinistra» (un’incredibile castroneria). [11] ”Libération” ha scritto che Battisti è «vittima della vendetta delle camicie nere». [12] Daniel Pennac ha evocato la Comune di Parigi e la rapida amnistia (9 anni) dei condannati. Dimenticando, però, che prima avevano soggiornato nel bagno penale della Nuova Caledonia. [13]

 finita che il 3 marzo la Chambre d’Instruction parigina ha scarcerato Battisti. Da allora vive sotto controllo giudiziario, ha consegnato il passaporto alla cancelleria del tribunale, deve risiedere nella regione, firmare una volta alla settimana in commissariato e non avvicinarsi ad aeroporti e aerodromi. I giudici dibatteranno la richiesta di estradizione da dopodomani, la sentenza arriverà tra qualche settimana. [7]

Nell’attesa, il partito Battisti s’è scatenato. Per dimostrare che fu un giudizio farsa, sostiene che è stato condannato per aver commesso due delitti (Sabbadin e Torreggiani) avvenuti alla stessa ora, uno a Mestre l’altro a Milano. A parte che l’intervallo tra i due delitti è di cinque ore, la sentenza distingue precisamente il suo ruolo. Armando Spataro, ”toga rossa” che fu pm dell’inchiesta: «Battisti è stato condannato all’ergastolo per ben quattro omicidi: in due di essi (il maresciallo Santoro a Udine e l’agente di Ps Campagna a Milano) egli sparò materialmente in testa o alle spalle delle vittime; per un terzo, il macellaio Sabbadin a Mestre, partecipò facendo da copertura armata al killer Diego Giacomini; per il quarto (il gioielliere Torregiani a Milano nella stessa giornata) fu condannato come co-ideatore e organizzatore». [15]

Battisti, si ribatte, è accusato solo dai pentiti. Non è vero, ci sono prove e testimoni. E poi, spiega Spataro, «nell’83 due terroristi italiani, tali Franco Fiorina e Gloria Argano, vennero catturati a Milano, provenienti da Parigi dove, in combutta con i terroristi francesi di Action Directe, avevano partecipato all’omicidio di due agenti in avenue Trudaine. L’accertamento dei colpevoli francesi e italiani del fatto di sangue fu possibile anche grazie alla testimonianza di due pentiti [...]. Magistrati e inquirenti francesi vennero a Milano per acquisire le prove. I colpevoli italiani furono condannati in Italia e quelli francesi a Parigi. Il governo di Parigi ci ringraziò calorosamente. Mi chiedo cosa avrebbe detto se l’Italia avesse rifiutato di procedere contro Argano e Fiorina, reputando inattendibili le prove raccolte in Francia». [15]

Si insiste: Battisti, processato in contumacia, non ha potuto difendersi. In Francia, il processo ai latitanti si fa senza difensori e si riapre nel caso di arresto, in Italia no, e questo sembra essere l’ostacolo più grosso all’estradizione. In realtà, Battisti è stato così ben difeso che la Cassazione ha annullato per scarsa motivazione una parte della sentenza che lo riguardava; il processo è stato rifatto nel 1993 con una nuova condanna all’ergastolo. [9] Giancarlo Caselli: «L’Italia ha sempre escluso tribunali speciali, cosa che non tutti i paesi europei hanno fatto. Da noi c’è stato solo un adattamento delle leggi ordinarie, l’introduzione di un’aggravante per i delitti comuni con finalità terroristiche». [16]

Alle strette, Sollers la butta in corner: «Si può estradare qualcuno per fatti che risalgono a 25 anni fa?». [17] Nava: «Il bisogno o la giustezza di ”voltar pagina” sono rimasti una traumatica riflessione italiana, senza riscontri simili in Francia, nemmeno fra gli ambienti intellettuali insorti sul caso Battisti. I capi storici di Action Directe vennero arrestati nel 1987. Nathalie Ménigon, Joelle Aubron, Jean-Marc Rouillan e Georges Cipriani sono stati condannati a diversi ergastoli e ad anni di isolamento che tutt’ora stanno scontando». Di più: secondo Amnesty International «diversi elementi provano che il trattamento riservato ai prigionieri di Action Directe è contrario alle norme internazionali». [18] Dei tre imputati principali uno è impazzito, l’altro ha un cancro, la terza è emiplegica, tutti sono ancora in carcere. [19]

La sinistra francese ha la memoria corta, falsifica la storia, conosce poco la situazione italiana... [20] Pierre Milza, autorevole docente di storia contemporanea: « un vecchio vizio della sinistra francese o, per meglio dire, di ristretti ambienti parigini molto influenti. una sinistra borghese che respira a pieni polmoni una sorta di nostalgia rivoluzionaria e che confonde nel mito della ribellione protagonisti e situazioni lontanissime. Gli ex terroristi si accreditano come fuoriusciti ed esuli dell’epoca risorgimentale o fascista e questa sinistra ci crede». [15]

 tutta una questione d’ignoranza. Barbara Spinelli (agli intellettuali francesi): «La maggior parte di voi non sa nulla del dossier giudiziario di Battisti, nulla dei processi che lo hanno condannato per due omicidi, e quest’ignoranza è perfino ammessa. Un giornalista del settimanale ”Marianne”, Philippe Cohen, dopo aver scritto che la condanna fu emessa ”per fatti non commessi”, confessa a ”Panorama” ”di sapere ben poco del dossier giudiziario di Battisti”. Perfino l’ex ministro Robert Badinter prende posizione in vostro favore ma poi ammette di ignorare gli elementi dei processi. Già questo è stupefacente, per un intellettuale: che si pronunci con tanta sicurezza su cose di cui è ignaro». [21]