Domenico Quirico La Stampa, 23/03/2004, 23 marzo 2004
Israele, l’Olp e un errore comune: non aver soffocato Hamas nella culla, La Stampa, 23/03/2004 L’11 febbraio 1988 per le vie di Gaza nessuno prestò attenzione a un manifestino
Israele, l’Olp e un errore comune: non aver soffocato Hamas nella culla, La Stampa, 23/03/2004 L’11 febbraio 1988 per le vie di Gaza nessuno prestò attenzione a un manifestino. Crepitava allora in un arruffio rabbioso e insanguinato la prima Intifada, armate di adolescenti affrontavano il mito ferrigno dell’esercito israeliano e cancellavano una catena di raffinate umiliazioni. ”Haraka al-Muqawana al-Islamya” era la firma, movimento di resistenza islamica, un altro nome nella sterminata e ombrosa compagnia che impugnava la fede contro il mondo. Solo qualche dotto riflettè che l’acronimo era stato scelto con cura meticolosa perché significava anche zelo, impegno, sacrificio. «Il nazionalismo è parte integrante della fede religiosa» proclamavano i profeti dell’ennesima jihad; e intanto dichiaravano obbedienza a Arafat e alla direzione del movimento palestinese. Gli esperti di quella guerriglia senza esclusione di colpi che è la politica palestinese vi lessero quasi una dichiarazione di resa: i capi di Hamas riparavano all’errore commesso quando avevano rifiutato di allinearsi ai comandanti della guerra delle pietre. Uno dei pochi della loro storia feroce: si erano ritrovati isolati, all’indice, dimenticati, quasi una condanna a morte per un movimento rivoluzionario. Ma con la duttilità tattica che è con la spietatezza la loro arma migliore avevano subito capito. Ci sono località come Gaza votate all’odio feroce, che fanno bollire il sangue. E dove è facile far dimenticare il passato. questo il lievito di Hamas. Il fervore scaltro dei barbuti dello sceicco Yassin si è sbarazzato di un marchio pesante, quello di essere collaborazionisti. Perché Hamas negli Anni Ottanta operava con un imbarazzante lasciapassare, quello rilasciato dal ministero della Difesa israeliano! Il piano era machiavellico: ossessionati dal progetto di destabilizzare l’arcinemico Arafat, gli israeliani pensarono che scatenare i gruppi fondamentalisti avrebbe seminato il caos nel campo avversario. Così i soldati israeliani si voltavano dall’altra parte quando sgherri implacabili demolivano sulla spiaggia di Gaza modesti ristoranti gridando haram, ”empio”, perché servivano alcolici. Nessuno si degnò di intervenire quando i santi squadristi dello sceicco cominciarono a bruciare i pochi cinema della città, a condurre spedizioni punitive, a imporre la pesante volontà di Dio. Eppure bastava leggere le parole scritte nella carta costitutiva per capire: «Dio è la meta, il Profeta è la guida, il Corano la costituzione; la guerra santa indica la strada e morire per Dio è il più profondo dei desideri». Il Mossad impiegò un anno per accorgersi di aver partorito il suo peggiore nemico. Aveva forzieri pieni quel gruppo di forsennati: e pagava moschee asili ospedali mense, sfamava famiglie intere in quel desolato deserto di miseria che erano i Territori e i campi profughi. Settanta milioni di dollari l’anno arrivano all’ex muftì di Hebron dall’Arabia Saudita, elemosiniere interessato (e ottuso) di tutti gli islamismi, che credeva così di convincere a distogliere gli occhi dalle sue privatissime empietà. Perfino l’Iran sciita pagava quei sunniti così efficienti. Perché Hamas con la sua rete caritatevole, aveva uno slogan che stuzzicava le passioni degli ayatollah: islamizzare la Palestina, spazzar via quel rivoluzionarismo laico e sulfureo che ha sempre accompagnato la storia dell’Olp. Un errore di Israele ha aiutato Hamas a nascere. Un errore di Arafat l’ha resa adulta. Quando Saddam invase il Kuwait il signor Palestina scelse sciaguratamente il pestifero rais. Nelle banche del Medio Oriente bastarono pochi minuti perché i destinatari dei finanziamenti dei Paesi del Golfo, furenti e terrorizzati, diventassero l’ascetico emiro e i suoi fedeli. Mentre una parte di Hamas sfamava gli orfani dell’Intifada, altri uomini di Yassin avevano scelto come copertura il nome di Ezzedin al-Qassam, un religioso siriano che negli Anni Trenta aveva firmato i delitti di assassini noti come «la mano nera». A loro toccava immergersi in una guerra grandiosa e abominevole per trasformare in un inferno la Striscia di Gaza. Nel ’93, l’anno di Oslo, l’anno delle grandi speranze, cominciarono a programmare come dischetti vuoti le anime dei volontari della morte. la fase orribile in cui si rende astratto un uomo, il nemico, lo si allontana: ecco è diventato una sagoma. Lo si può uccidere senza un fremito di rimorso. Colpivano non più nei Territori ma in Israele: ecco israeliani, dicevano quei cadaveri, tutto ormai per voi è come Gaza, non avete più scampo. Sono i tempi di Yahya Ayyash, studente di elettrotecnica, un Raskolnikov palestinese che aveva suggerito ai dirigenti di Hamas di usare le bombe umane: «La vita è l’unico bene di cui disponiamo a profusione, usiamola per colpire». Settanta morti e trecento feriti furono il bilancio dell’«ingegnere» prima che un telefonino imbottito di esplosivo lo trasformasse, lui che usava le vite degli altri con tanta indifferenza, suo malgrado in un «martire». Hamas non è una turba di fanatici ottusi, non è una replica mediorientale degli assassini del Gia algerino. Il massacro certo è per loro un atto di emancipazione, scatena mostruose forze motrici. Ma sanno cogliere le occasioni politiche, hanno imparato dagli sciiti di Hezbollah l’arte della dissimulazione, hanno offerto al «diavolo sionista» anche la tregua se serviva la causa. Arafat li lascia fare, condanna a parole ma non blocca i loro fondi, li guarda ogni sera lanciare i loro proclami in tv. troppo debole o anche lui rientra nei disegni degli zeloti di Allah? Domenico Quirico