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 2004  marzo 23 Martedì calendario

Il crac Parmalat e il ruolo delle banche (che non ne escono be/2, la Repubblica, 23/03/2004 Florio Fiorini è stato un «bucaniere» della finanza internazionale, un fantasioso «lavandaio» (è un’autodefinizione)

Il crac Parmalat e il ruolo delle banche (che non ne escono be/2, la Repubblica, 23/03/2004 Florio Fiorini è stato un «bucaniere» della finanza internazionale, un fantasioso «lavandaio» (è un’autodefinizione). Oggi, dopo quattro anni di prigione in Svizzera, assegnato (come si dice) ai servizi sociali per le condanne in Italia, è un pacioso signore innamorato di numeri e percentuali, apparentemente pacificato con se stesso e gli altri, alle prese con qualche acciacco del corpo e molti ricordi. Tra i suoi ricordi, c’è Calisto Tanzi. Florio Fiorini ebbe come socio don Calisto in una finanziaria che lanciò all’inizio degli anni Ottanta, la Sidit, Società italo-danubiana d’investimenti e trading. Ma soprattutto lo liberò del «vuoto a perdere» di Odeon Tv dove il Lattaio aveva versato in pochi anni 80 milioni di euro (anno 1988/89): era la condizione essenziale offerta a don Calisto per incassare un prestito di 120 miliardi dalla merchant bank del Monte dei Paschi di Siena. Le cose andarono così (Fiorini le ha raccontate in un interrogatorio, pubblicato da Milano Finanza). «Noi della Sasea, quando abbiamo acquistato Odeon Tv da Tanzi, l’abbiamo messa in fallimento e fatto il concordato fallimentare al 25 per cento, pagando cioè soltanto 25 miliardi anziché 100». Pagando? Si fa per dire. Fiorini: «I 25 miliardi ce li aveva dati il San Paolo. Ero andato a chiederli a Torino. Il vicedirettore della banca sentì il presidente Zandano e in mezz’ora ci concesse il credito. Naturalmente mi sono ben guardato dal restituire i 25 miliardi al San Paolo». In poche righe, avete letto del «metodo Sasea». Si tratta di questo. Fiorini fonda la finanziaria Sasea. Apre una sede a Ginevra e attende i clienti che non mancano. I clienti non sono altro che le banche alle prese con crediti inesigibili e un cliente «praticamente fallito». I banchieri vanno allora da Fiorini a Ginevra («C’era la fila davanti alla porta dell’ufficio») e gli propongono di acquistare - con un finanziamento della stessa banca - quella società a mal partito. Chiaro, no? La banca ha tra i clienti un’impresa che non è in grado rimborsare il debito concessole. Finanzia allora Fiorini che, con i soldi di quella stessa banca, compra l’impresa. La banca elimina dai suoi bilanci il credito inesigibile, incassa addirittura le provvigioni per il nuovo affare. Gli azionisti sono contenti. Il management anche. Fiorini intasca il denaro che «naturalmente» non pensa di restituire e, in più, prova a fare qualche soldo da quel che ha comprato, magari smembrandolo, infiocchettandolo e vendendolo. I «bucanieri» chiamano quest’operazione «il cambio di cavallo». Fiorini trova ora una posizione più comoda sul divano e dice: «Parmalat non è stata che una Sasea industriale». Come dire, una pattumiera dove le banche hanno scaricato imprese decotte e crediti inesigibili. In cambio, don Calisto ha potuto contare sul denaro fresco che lo ha tenuto a galla per 15 anni. Spiega Fiorini: «Parmalat è diventata una Sasea industriale soltanto nella fase terminale della sua lunga malattia. Conviene allora chiedersi che cosa ha provocato la malattia e, per rispondersi, bisogna conoscere la legge dell’interesse composto. Voi la conoscete, la legge dell’interesse composto?». *** «La prima causa dell’indebitamento - sostiene Fiorini - la si può definire la ”sindrome di Tapie”». Ricordate Bernard Tapie, il magnate francese? Un giorno, un giudice gli contesta di aver usato il denaro dell’ Adidas per finanziare l’ Olimpique Marsiglia. Tapie lo guarda stralunato e sbotta incredulo in una frase diventata celebre: «Ma si tratta sempre di mie società!». La stessa incredulità ha mostrato don Calisto di fronte ai pubblici ministeri di Milano e di Parma. Per il Lattaio il portafoglio era sempre suo, che fosse nella tasca destra o in quella sinistra. Che fossero denari della ”Coloniale”, la finanziaria di famiglia. O della Parmalat finanziaria, quotata in Borsa. O della Sata, che custodisce le azioni di controllo del gruppo agroalimentare. un unico calderone, per Tanzi. Vi finisce di tutto. L’ingaggio di un goleador. L’acquisto di un villaggio vacanze. Il finanziamento della società di turismo Parmatour (non fa parte del bilancio consolidato Parmalat). L’impresa disastrosa di Odeon Tv, e le barche e le case e l’aereo e l’elicottero. Tutto suo. Tutto frutto del suo lavoro. E quindi... Questa però è solo una premessa per comprendere le cause dell’indebitamento della società di Collecchio. Affrontiamone ora le ragioni. In cima alla lista, c’è la mancanza di «mezzi propri». Tanzi, di suo, non ha il becco di un quattrino da investire. Come sanno i banchieri che lo hanno «portato» in borsa, non ha capitali da conferire alla società. Quando versa le sue quote capitale, si indebita. Quando non le versa, crea una ricchezza virtuale, falsificata nei rendiconti. Secondo il bilancio consolidato della Parmalat al 31 dicembre 2002, approvato dall’assemblea del 30 aprile 2003, i fondi versati dall’azionista ammontano a 872 milioni di euro. La finanziaria di famiglia, la Coloniale, controlla il 50,1 per cento della Parmalat. Avrebbe dunque dovuto versare 436 milioni di euro. Tanzi non li ha. Può reperirli soltanto Tonna «il mago» con un qualche artificio contabile. stato quindi creato un indebitamento di 436 milioni di euro. L’indebitamento ci obbliga finalmente a comprendere che cosa diavolo è l’interesse composto. meno complicato di quanto non lasci pensare la formula: nell’interesse composto, gli interessi si sommano al capitale per produrre a loro volta interessi. un’esposizione che, nel tempo, diventa esponenziale e così quei 436 milioni di euro che Tanzi non versa, diventano l’anno successivo 745 milioni. Un’altra causa evidente dell’indebitamento è, secondo Florio Fiorini, la distribuzione indebita dei dividendi. Già, perché Tanzi ostinatamente aggrappato alla sua luccicante immagine di self made man, costruttore di un impero agroalimentare mondiale, finge di guadagnare quel che non guadagnava. Ne distribuisce i dividendi e ci paga le tasse. Nel solo 2002 sono stati pagati 104 milioni di imposte mentre la Parmalat ha distribuito, negli ultimi esercizi, dividendi per ben 16 milioni di euro all’anno. Ossia un totale di 150 milioni nell’ultimo decennio. un’altra accelerazione all’indebitamento, che si è incrementato, dati del 2003, di circa 250 milioni. Ci sono poi gli investimenti. Quella campagna napoleonica di acquisizioni in tre continenti che ha fatto di Parmalat il marchio di successo (presunto) che tutti credevamo di conoscere. Il bilancio al 31 dicembre 2002 dà conto di investimenti finanziari e tecnici di ben 3.980 milioni di euro. «Io calcolo - dice Fiorini - che, in assenza di fondi propri, gli investimenti senza adeguata copertura finanziaria hanno prodotto un indebitamento pari a 6,805 miliardi di euro nel 2003». Ci sono poi gli oneri del finanziamento e del rifinanziamento. Price Waterhouse & Cooper’ s, per conto del commissario Bondi, determina l’indebitamento reale in 14,4 miliardi di euro circa. «Ipotizziamo - ragiona il ”bucaniere” - che, nell’ultimo decennio, i finanziamenti siano stati rinnovati almeno una volta. Si arriva a una ”cifra d’affari” di 28 miliardi di euro. Applicando le commissioni usuali del 2,50 per cento si ottiene una cifra di 700 milioni di euro che, per il benedetto interesse composto, provocano un indebitamento di circa 1 miliardo e 200 milioni di euro nel 2003». «Se tiriamo qualche somma - conclude Fiorini - si ottiene un totale di circa 9 miliardi di euro per cause interne alla Parmalat». Consideriamo ora le cause esterne alla società. Di Odeon Tv si è detto. Dal rapporto Price Waterhouse appare evidente che la perdita Odeon Tv è stata trasferita dalla Sata alla Parmalat mediante la maggiorazione del prezzo delle società concessionarie e della loro «intermediazione» nella distribuzione dei prodotti Parmalat in Italia. Non è l’unica operazione della Sata. In questa finanziaria si sarebbero concentrati gli «attivi» della famiglia (barche, aziende agricole) che, a una prima stima, ammontano a 150 milioni di euro. Nel 2003, la loro influenza sui conti della Parmalat è di 250 milioni di euro. La cifra coincide con le analisi di Price Waterhouse, che indica un totale di pagamenti da Parmalat a Sata di 171 milioni nei soli anni 1997-2003. C’è poi la squadra di calcio. Il costo del «giocattolo di famiglia» ammonta, più o meno, a 300 milioni di euro che influiscono nel 2003 per circa 500 milioni. Anche questa stima è coerente con il ”Rapporto Price” che indica in 69 milioni di euro i pagamenti di Parmalat a favore del football club per il solo 2003. Infine, il turismo. Misteriosissimo affare. Potrebbe riservare delle sorprese in un affare che è già di per sé sorprendente. Neppure Tonna ne vuole sapere niente di quel che è accaduto. Se ne tiene alla larga nelle sue confessioni. Dice che «non se n’è mai occupato». Anche i banchieri che conoscono buona parte della storia della famiglia di Collecchio si meravigliano dell’imponenza delle perdite. Forse le ragioni sono in alcune impensierite supposizioni avanzate a mezza bocca dai pubblici ministeri. «Ci sono intorno alla Parmatour degli strani personaggi che possono aver avuto legami con la criminalità organizzata». In via ufficiosa, qualche pubblico ministero ammette che «per il turismo bisognerà organizzare presto un’indagine a parte» perché non si esclude che quella società sia diventata, con Tanzi con l’acqua alla gola, una «lavanderia di denaro sporco». Comunque, secondo stime dedotte dai bilanci disponibili delle società turistiche, i trasferimenti da Parmalat a Parmatour ammonterebbero a 500 milioni di euro. Per l’interesse composto, questi trasferimenti impropri influirebbero per 850 milioni nel 2003. Ancora una volta, il risultato è congruo con i valori del ”Rapporto Price” che valuta i trasferimenti da Parmalat a Parmatour in 287 milioni di euro nei soli anni 1997-2003. Bisogna anche qui fare qualche somma. Gli esborsi per le aziende della famiglia Tanzi influiscono nel 2003 per una cifra complessiva di 2 miliardi di euro. Nove (cause interne a Parmalat) più due (cause esterne), undici miliardi di euro. Se la voragine è di 14,4 miliardi di euro, dove sono finiti 3 miliardi e mezzo di euro, che sono la bella somma di settemila miliardi di lire? Fiorini ridacchia e puntualizza. «Questo importo va depurato del coefficiente di conversione dovuto agli interessi composti e scende dunque a 2,3 miliardi di euro». A questo ammonta, dunque, il tesoro dilapidato o custodito chi lo sa dove da don Calisto? Fiorini: «Certo, qui ci può soccorrere fra’ Paolo Sarpi, quando descrive come utilizzavano i soldi delle indulgenze gli inviati di Papa Leone Medici in Germania: ”Spendevano in osterie e vino e in cose ancor più da tacere i soldi che il popolo aveva risparmiato”. Ma delle cose ancor più da tacere è meglio che ne parlino i magistrati e non un bucaniere come me». Un ”bucaniere” come Fiorini può invece vedere nelle ultime acquisizioni della Parmalat finanziata dalle banche americane il vecchio gioco del «cambio di cavallo». Come l’acquisto delle obbligazioni del Banco Totta o gli oneri finanziari aggiuntivi per 52 milioni di euro a favore di Credit Suisse First Boston. la trasformazione della Parmalat in «Sasea industriale». la favola rovesciata di Collecchio. L’azienda globale e di successo diventa la pattumiera dove le banche scaricano le industrie agroalimentari disastrate che hanno finanziato. Il bel principe azzurro diventa un brutto ranocchio preso a calci da chi passa. Ma questa è una storia che affronteremo nella prossima puntata.