[1] Jena, ཿil manifesto 25/3/2004; [2] Federico Monga, ཿLa Stampa 26/3/2004; [3] Ettore Livini, ཿla Repubblica 25/3/2004; [4] Antonio Mereu, ཿLa Gazzetta dello Sport 25/3/2004; [5] Mario Sensini, ཿCorriere della Sera 25/3/2004; Fulvio Bianchi, ཿla Re, 25 marzo 2004
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 29 MARZO 2004
Il calcio italiano era nel pantano, ora è nella fogna.
«Quell’idiota che ha detto che il calcio è una metafora della vita non era mica stupido». Jena: «C’è l’economia, c’è la politica, c’è la politica economica, ci sono gli interessi e i conflitti tra loro, gli affari e le truffe, il falso e il vero, c’è la passione, c’è la violenza, il divertimento, la delusione, l’amore e l’odio, l’indifferenza, i vincitori e i vinti, c’è l’immaginario e l’inimmaginabile, le gioie, i dolori, c’è la gente e persino la televisione». [1]
La situazione del calcio italiano è disastrosa. Victor Uckmar: «Era nel pantano, oggi è nella fogna». [2] Ettore Livini: «La Serie A perde 1,38 miliardi a fronte di 1,14 di fatturato. I debiti del sistema sono pari a 1,74 miliardi. Numeri che per una qualsiasi azienda normale significano il fallimento». [3] Antonio Mereu: «Alcune squadre non hanno pagato da tempo gli stipendi dei calciatori e soprattutto non hanno pagato e non pagano le tasse. Il debito dei club con l’erario supera i 500 milioni». [4]
Iniziasse oggi il campionato 2004/2005, potrebbero parteciparvi solo 9 (10) squadre: Milan, Inter, Juve, Udinese, Samp, Siena, Bologna, Modena, Empoli (per gli ottimisti anche il Lecce). Le altre hanno tempo sino a fine luglio per mettersi in regola. Franco Carraro, presidente delle Federcalcio, dice che contando anche la B sarebbero fuori 25 squadre su 42. I debiti Irpef eliminerebbero Roma, Lazio, Perugia, Ancona e Chievo in A, Salernitana, Como, Genoa e Napoli in B. [5]
Roma e Lazio devono inoltre rispettare la scadenza imposta dall’Uefa per dopodomani: senza un provvedimento del governo che permetta di rateizzare i debiti scaduti, le squadre della capitale potrebbero essere estromesse dalle coppe europee. Ai giallorossi servono almeno 150 milioni di euro, ma ancor prima serve la certificazione sul bilancio dello scorso giugno. La società biancoceleste ha ricevuto dalla Agenzia dell’Erario la cartella esattoriale con la richiesta del pagamento di 85,5 milioni di euro per i debiti Irpef. [6]
Il calcio è la quinta industria del Paese. [7] Il giro d’affari ammonta a 6 miliardi. Gli italiani che lo seguono più o meno appassionatamente sono 40 milioni, 9 milioni vanno regolarmente allo stadio, 25 lo seguono alla radio o in tv. [8] E poi, dicono i signori del pallone,«il calcio non costa allo Stato, ma rende...». Carraro: «Dal ’46, attraverso i concorsi pronostici e le scommesse lo Stato ha incassato 20 mila miliardi e il Coni 15 mila miliardi di lire». [9]
Consapevole di questi numeri, il governo ha deciso di intervenire. Per questo ha pensato al decreto spalmaIrpef, che prevede la rateizzazione dei debiti in 5 anni. [10] A sorpresa (neanche tanto), però, i sondaggi hanno subito mostrato che gli italiani erano contrari in una percentuale compresa tra l’84 (Mannheimer [11]) e il 54 (’La Gazzetta dello Sport”). [12]
I primi a capire come la pensava la gente sono stati i leghisti. Maroni: «Qui non si tratta di essere populisti, si tratta di capire i sentimenti profondi della gente, sentimenti che non sono sbagliati. Fare il politico vuole dire anche capire. Siamo populisti ma non stupidi: il decreto era iniquo, illegittimo e inutile». [7] In breve sono diventati tutti contrari: Fausto Bertinotti di Rifondazione («non è giusto salvare le società calcistiche che hanno prodotto la malattia del calcio»), Luciano Violante dei Ds («tutti attendono condoni visto come agisce il governo, ma il calcio non va salvato coi soldi della collettività»), Marco Follini dell’Udc («no a decisioni sulla spinta di una piazza immaginaria»). Paolo Cento dei Verdi, Riccardo Milana della Margherita e Carlo Leoni dei Ds hanno accusato la Lega di «eccessivo livore contro Roma». [11]
La possibilità di pagare a rate i debiti con il fisco è prevista dalla legge. L’articolo 19 del Dpr 602/73 sulla riscossione stabilisce che i contribuenti possono chiedere agli uffici fiscali la dilazione fino a un massimo di 60 rate mensili, purché dimostrino di versare in una temporanea situazione di «obiettiva difficoltà finanziaria». Il problema è che se il debito supera i 25.822,84 euro (50 milioni di lire) serve una fideiussione. [13] Maroni: «Se non c’è, vuol dire che il debito non sarà pagato. E mi sembra che Cesare Geronzi e la sua Capitalia abbiano altro a cui pensare». [7] Un decreto spalmaIrpef che liberasse le sole società di calcio dall’obbligo della fideiussione sarebbe giudicato dalla Ue un aiuto di Stato. [14] La Lega calcio francese ha fatto sapere che, nel caso, presenterebbe alla Commissione di Bruxelles una denuncia per concorrenza sleale. [15]
Monti, è certo, ci darebbe torto. Galapagos: «Allora è necessario varare un decreto di più ampio respiro, da applicare a tutte le società per azioni che sono in stato di crisi». [14] Impossibile: Tremonti ha detto che se lo facessimo «perderemmo 22 mila miliardi» di lire. A questo punto, constatata la gravità della situazione, è partita la caccia al colpevole [16]
Imputato n. 1: Berlusconi. Alberto Piccinini: «Il lievitare incontrollato degli ingaggi, la distribuzione iniqua dei diritti televisivi, il fantasma di una Superlega europea che aleggia da anni sul campionato nazionale dominato dal duopolio Milan-Juve è (quasi) tutta farina del suo sacco. Chi farà rispettare il tetto degli ingaggi? L’uomo del caso Lentini e dell’acquisto fuori mercato di Nesta e Rivaldo?». [17] Zeman: «Comprò 24 nazionali sovvertendo ogni regola di mercato, così tutti gli altri per andargli dietro si sono indebitati». [18]
Imputato n. 2: Veltroni. Buttiglione: «La sua legge, che ha trasformato le squadre di calcio in società con fini di lucro, chiude qualsiasi margine di manovra». [16] Maroni: «Abbiamo anche valutato se fare un passo indietro e tornare all’epoca pre riforma Veltroni, pre Spa; ma poi abbiamo deciso che non sarebbe stato possibile. Altre Spa si sono comportate bene, e allora perché penalizzarle?». [7]
Imputato n. 3: tutti i governi degli ultimi anni. Un’anonima autorità sportiva: «Bastava dire la semplice verità: che alcune società non hanno pagato le tasse, e che ciò è avvenuto dopo che una legge varata nel 2000 dal governo di centrosinistra aveva eliminato la responsabilità penale per amministratori di società che evadevano il fisco e un’altra legge proposta due anni dopo dal governo di centrodestra ha cassato anche la responsabilità civile. Il risultato è che si era generata una situazione per la quale gli amministratori delle società in debito con lo Stato - e in difficoltà a causa dell’impossibilità di avere nuovi prestiti - di fatto non rischiavano alcuna sanzione». [19]
Imputato n. 4: i giudici. In particolare quelli della Corte di Giustizia Ue del Lussemburgo, artefici inconsapevoli, con la sentenza Bosman del dicembre ’95 (quella sulla libera circolazione dei calciatori comunitari) dell’attuale disastro. Livini: «Allora il calcio, finanziariamente parlando, era diverso da quello di oggi. Gli stipendi dei calciatori erano pari ”solo” al 49 per cento delle entrate. Ma la gara all’acquisto dello straniero iniziata nel dicembre ’95 ha fatto saltare tutti i parametri di bilancio e del buon senso: in nove anni le buste paga dei calciatori sono salite del 215 per cento contro l’aumento del 109 dei ricavi». [3]
Imputato n. 5: i calciatori. Livini: «Si è arrivati al paradosso di dipendenti che guadagnano più dei loro padroni: Bobo Vieri (12 milioni di stipendio l’anno, pari in questa stagione a un milione per ogni gol in Campionato) prende 4 milioni in più di Marco Tronchetti Provera, grande azionista dell’Inter e secondo manager più pagato d’Italia». [3] Di Livio: «Se una società ti dà un ingaggio alto, significa che su di te ci guadagna 4 volte di più». [20] Seedorf: «Siamo stati gli unici a ridursi lo stipendio, facendo qualcosa di concreto contro la crisi economica del calcio. Magari è tempo di fare sciopero, così si svegliano e la smettono di dire che è colpa dei calciatori». [21]
Tra calciatori e politici è scoppiata la guerra della demagogia. Ferrara: «I politici dovrebbero pagare, come tutti, l’entrata allo stadio». Gattuso: «Duecento calciatori guadagnano parecchio, gli altri 2.800 no. E ai politici, se non sbaglio, basta una legislatura per avere una pensione d’oro. Chi porta allo stadio 70 mila persone? Prendersela con noi significa gettare fumo negli occhi alla gente. Molti si svegliano la mattina e ci tirano fango addosso. Sembra che le società sul lastrico siano colpa nostra e non di chi le amministra». [21]
Imputato n. 6: gli amministratori. Paolo Conti, vicepresidente dell’associazione procuratori: «I ricavi del calcio, negli ultimi 10 anni, sono aumentati del 216 per cento. Quelli dalle tv sono passati in 6 anni da 93 a 550 milioni di euro. I primi 25 programmi tv della storia, per audience, sono partite di calcio. I ricavi legati al calcio e al suo indotto sfiorano i 4.200 milioni di euro l’anno. Il calcio ha cifre da azienda florida, peccato che venga amministrato malissimo». La caccia al colpevole potrebbe continuare all’infinito. Meglio cercare una soluzione. SpalmaIrpef a parte. [20]
Soluzione n. 1: salary cap. Ovvero: tetto agli ingaggi, massimo il 60 per cento dei ricavi (calcolato sul lordo). La Roma, ad esempio, sta al 77 per cento. Federico Monga: «Tagliare gli ingaggi del 17 per cento permetterebbe però alla ”Magica” di coprire solo una piccola fetta dei 340 milioni di debiti. Ammesso e non concesso che si convinca Cassano e qualche altro a guadagnar di meno, la dieta degli ingaggi non eviterà un altro anno di forti perdite». [22]
Soluzione n. 2: farsi ridare i soldi dai giocatori. Uckmar: «Vengono pagati al netto delle imposte, il datore di lavoro effettua la ritenuta sul salario e la versa all’Erario. Ci sono debiti con il fisco? Lo Stato faccia il suo dovere e proceda nei confronti dei debitori sostanziali. I calciatori non sono barboni: hanno enormi liquidità, viaggiano in Ferrari, possiedono proprietà immobiliari. Le verifiche non dovrebbero essere difficili. Poi saranno i cosiddetti lavoratori ad aprire un contenzioso con le società di appartenenza». [23]
Soluzione n. 3: cacciare i dirigenti. Maroni: «La Fiat andava male, ma loro hanno cambiato il management, stessa cosa successa nei giorni scorsi con l’Alitalia». [7] Antonio Matarrese, vicepresidente della Lega: «Se si vuole il cambiamento del calcio, si deve cominciare dai vertici. Da chi dirige. Tutti via, spazio ad altri. Mi ci metto anch’io, certo. A patto di non essere il solo». [24]
Soluzione n. 4: azionariato popolare. Sabrina Ferilli (in prima pagina sul ”Messaggero): «Non una colletta, questo no: un meccanismo economico e finanziario che faccia in modo che noi tifosi, che spesso la retorica fa definire come ”i veri padroni della squadra”, lo si possa diventare, anche se la parola ”padroni” non mi piace [...]». [25]
Soluzione n. 6: lodo Petrucci. Ovvero: Roma, Lazio, ecc. falliscono ma mantengono il titolo sportivo. La tesi è che nemmeno lo spalma-tasse le salverebbe: pur riducendo i costi, negli anni a venire dovrebbero fare i conti con incassi in calo e finirebbero col restare in agonia. Meglio, dunque, cancellare i debiti. Rimanendo però in A. Al peggio, perdendo qualche campione. [26] La legge è bell’e pronta (autore l’onorevole Spini, nel 2001, in mente la Fiorentina): «Per le società che abbiano almeno 50 anni di vita il nome, il titolo e i simboli di un club fallito vengono riconsegnati alla Federcalcio che nella sua piena autonomia li riassegna a un sodalizio della stessa società [...]». [27]
Soluzione n. 6: ricetta liberista. Il lodo Petrucci farebbe infuriare i tifosi viola, per i quali non ci fu clemenza. A questo punto non resta che mandare in C2 Roma, Lazio ecc., magari ripescandole alla prima occasione. Il modello è Della Valle. Salvatore Bragantini: «Il gestore insolvente esca di scena, paghi il fio dei propri errori e ceda il campo a qualcuno che, ammaestrato dalla fine ingloriosa di chi è uscito dalla retta via, si mantenga nel sentiero stretto della legalità e dell’equilibrio economico». [28]
I fiorentini hanno già consumato una piccola vendetta. L’esposto presentato per conto di tre Viola Club ha fatto finire sul registro degli indagati (abuso e omissione in atti d’ufficio) Carraro, Matarrese, e Petrucci, rei secondo l’accusa di aver fatto differenze tra figli e figliastri salvando, nel 2002, una Lazio ormai in bancarotta. [29] L’ha ammesso lo stesso Matarrese, dicono gli accusatori: «Andiamo bene... Forse, ricordo, fu una battuta a una radio di Firenze. Mi chiesero perché la Lazio era stata iscritta al campionato e la società viola no. Risposi che temevo che, in caso di una bocciatura per la Lazio, ci sarebbero stati moti di piazza». [24]
La paura che mandare in C2 Roma, Lazio ecc. farebbe scoppiare una rivoluzione è più forte che mai. Fini: «Avete visto cosa è accaduto al derby di domenica scorsa?». [16] Uckmar: «Ma quale rivoluzione! A Firenze, dove sono sanguigni e amano il calcio, non è successo nulla». [2] Mario Sconcerti: «Questo Paese ha retto cose molto più gravi, dall’attentato a Togliatti, all’assassinio dell’onorevole Moro, alla rivoluzione di Tangentopoli. Non solo ma ha visto e retto perfino Milan e Napoli in serie B, la cancellazione di Bologna, Fiorentina, Palermo e di ben altre 59 (dico cinquantanove) società professionistiche. Non è mai successo niente». [30]
Tra rivoluzioni (incerte) ed elezioni (certe). Ruggiero Palumbo: «Siccome si fa un gran parlare di elezioni (europee) prossime venture, e siccome l’intreccio tra politica e calcio è ormai un dato di fatto, il quesito da risolvere diventa: si prendono (o si perdono) più voti con lo spalmatasse o senza? Tradotto in altra lingua: si prendono (o si perdono) più voti salvando o affossando Roma ”ladrona”?». [31]
«Hanno voluto fare i duri? Bene, se ne accorgeranno...». Il più stretto collaboratore di uno dei massimi dirigenti dell’azienda-calcio: «Le squadre, in un modo o nell’altro, riusciranno a iscriversi ai tornei europei. E se le società riusciranno a doppiare il loro Capo Horn, che è appunto l’iscrizione alla Uefa, allora il problema tornerà in mano a chi non l’ha risolto. Lo Stato dovrà esigere i crediti. Il che vuol dire che a Torino (per la situazione del Torino calcio), a Genova, Napoli, Salerno, Roma e Bari dovrebbero andare a sequestrare gli incassi dopo ogni partita. Vadano, ci provino. Dicono che Berlusconi ha deciso di non intervenire per decreto dopo alcuni sondaggi? Benissimo: vada a fare gli stessi sondaggi in quelle città dopo i sequestri. E si accorgerà dei rischi che ora corre...». [32]