Varie, 16 novembre 2005
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AGE (Agenore Incrocci) Brescia 4 luglio 1919, Roma 15 novembre 2005. Sceneggiatore. In coppia con Furio Scarpelli
AGE (Agenore Incrocci) Brescia 4 luglio 1919, Roma 15 novembre 2005. Sceneggiatore. In coppia con Furio Scarpelli. «[...] uno dei più grandi e celebri sceneggiatori del cinema italiano [...] era visibile e nota e anche oggetto di scherzo la spartizione tra Age il metodico, il battutista, il conservatore della memoria, il puntuale, il disciplinato, il paziente didatta, e Scarpelli l’intellettuale, l’elegantone, l’irrequieto, il polemista, il politicizzato. Ma politicizzati e impegnati erano entrambi, Age è stato uno dei pilastri delle battaglie degli autori italiani e della sua associazione, la gloriosa Anac. [...] Non sapremo mai, in mezzo a quel bendidio di film scritti per Steno, Monicelli, Risi, Scola, Comencini, quanto appartenesse all’uno e quanto all’altro. Ma una cosa è certa. Dalla seconda metà degli anni Quaranta, quando nel ’49 firmano per la prima volta insieme Totò cerca casa (ma Age da solo aveva già scritto per Totò I due orfanelli), fino all’alba degli Ottanta quando chiudono il sodalizio sulla Terrazza di Ettore Scola - dove Age è anche uno dei personaggi di quel salotto della sinistra cinematografara - la loro “ditta” illumina una strada irta di ostacoli, sottovalutazioni e diffidenze ma destinata attraverso i fasti della creatura di cui diventano i principali artefici - la “commedia all´italiana” - ad imporre la scrittura per il cinema e quindi il cinema come il vero grande romanzo popolare italiano della seconda metà del 900. Per inciso: Age, che era nato con l’ambizione di fare l’attore (figlio di attori), sul set ci torna a più riprese. Chi non lo ricorda esaminatore di maturità impassibile, in Ecce Bombo, davanti alla cialtroneria dello studente che farfuglia frasi sconnesse contro “i trent’anni di malgoverno democristiano”? La nascita artistica di Age, come quella di quasi tutti i futuri scrittori al servizio del cinema, e come gran parte del nostro grande cinema del dopoguerra, affonda in quell’arcipelago composito di testate umoristiche che proliferano fra anni Trenta e Quaranta: Marc’Aurelio, Bertoldo, Don Basilio sono tra le più famose, ma nel volgere di poche stagioni ne nascono e muoiono a bizzeffe. È in quelle stanzette fredde e fumose (altrettanto leggendarie dei caffè e delle trattorie dove artisti e intellettuali spiantati vanno non si sa se a riscaldarsi, divertirsi o lavorare) che s’incrociano Fellini e Zavattini, Metz e Marchesi, Steno e Flajano, Mosca e Jacovitti, Ettore Scola che ha ancora i calzoni corti, e loro due, Age e Furio. Age, che aveva una bella voce oltre a essere un bel tipo prestante, aveva già lavorato per la radio e, mollata Giurisprudenza, si era fatto sotto le armi tutta la guerra. Fronte francese, prigionia tedesca, passaggio dopo l’8 settembre sotto le insegne dell’esercito a stelle e strisce. Quando in Tutti a casa il tenente Innocenzi di Alberto Sordi e il suo lacero seguito si rifugiano in una chiesa e salgono prudentemente una scricchiolante scala a chiocciola che porta al campanile: quello è un episodio autobiografico. Come si fa a sintetizzare tutto quello che Age ha dato al nostro cinema? Sotto la sigla Age & Scarpelli, a volte anche con Vincenzoni, con Suso Cecchi d’Amico o con Scola e Maccari, nascono capolavori come I soliti ignoti, I mostri, L’armata Brancaleone, Romanzo popolare, Dramma della gelosia, I compagni. Personaggi superbi come Antonio, Nicola e Gianni di C’eravamo tanto amati. Battute indimenticabili come “se tu sei il colosso di Rodi io non so’ er nanetto de Biancaneve” di Straziami ma di baci saziami. E poi Age è stato un infaticabile maestro, autore di un fondamentale manuale intitolato Scrivere un film, disponibile ad ascoltare e indirizzare legioni di aspiranti. C’è una foto che illustra con prodigiosa sintesi la grandezza sua e della sua generazione: con lui Scarpelli, Monicelli, Dino De Laurentiis, Gassman, Sordi. È il giorno in cui, Leone d’oro di Venezia 1959, per la prima volta nella storia una commedia riceve un alto riconoscimento. Era La Grande Guerra» (Paolo D’Agostini, “la Repubblica” 16/11/2005). «[...] A differenza del romano Scarpelli, Age proveniva da Bergamo e da una vita randagia. Era figlio di attori e perciò non avere un domicilio fisso e considerarsi uno sradicato era per lui una condizione normale. Almeno fino a quando approdò a Roma negli anni Trenta suggestionato da un doppio fantasma: quello della recitazione e quello dell’invenzione satirica. Mentre studiava Legge all’Università, fece il doppiatore e molti anni dopo accetterà un ruolo in Ecce Bombo di Nanni Moretti e nella Terrazza di Ettore Scola. Tuttavia la sua strada era un’altra. Age se ne accorse subito dopo la guerra, ossia dopo avere combattuto in Francia, essere fuggito da una prigione tedesca ed essersi arruolato nell’esercito americano. Tornato in Italia e lavorando alla radio, Age trova finalmente il suo scopo. Alterna ai microfoni le cronache sulle riviste di teatro e i racconti per i giornali satirici. Il “Marc’Aurelio” è per lui una palestra fantastica. Comincia a sviluppare e ad affinare quel gusto acido, corrosivo e al tempo stesso umano che trasferirà poi nei suoi film. Ecco, si può dire che la grande avventura artistica di Age comincia qui, tra Fellini e Flaiano, in un clima di rinascita mentale che sembra rendere possibile ogni utopia. Con Scarpelli comincia a scrivere soggetti e sceneggiature per i film con Totò, compresa La banda degli onesti stroncata con singolare violenza da Giuseppe Marotta. Sono congegni comici spesso perfetti e irresistibili, cui segue l’autentica rivoluzione della cosiddetta commedia all’italiana. La svolta ha un anno e un titolo: 1958, I soliti ignoti, in cui vediamo per la prima volta lo statuario Vittorio Gassman impegnato in un personaggio comico. L’anno dopo è la volta di un capolavoro assoluto, La grande guerra, in cui la retorica patriottarda si ribalta nella cialtroneria di due poveracci (Gassman e Sordi) che, loro malgrado, riescono a morire da eroi. E che dire dell’Armata Brancaleone (1966) con cui Age e Scarpelli tentano l’azzardo supremo e vincente di scrivere in un “macaronico” umbro-laziale di straordinaria espressività comica? È impossibile ricordare tutti i lavori in cui Age e il suo generosissimo partner hanno profuso passione e talento. La loro collaborazione s’interrompe negli anni Ottanta, quando in Italia cambiano molte cose, compreso il cinema. Ma Age, ormai divenuto un signore candido dal tratto elegante e dall’aria riservata, resta fedele a un mondo, a un’idea del cinema che coincide, per dirla con Pasolini, con “la forma in movimento”, cioè con “la forma dotata della volontà di diventare un’altra forma”. Continua perciò a credere, nonostante tutto, che il cinema, un certo cinema, possa trasformarsi in un documento delle abitudini, tradizioni, paesaggi affettivi, temperamenti, ostinazioni, debolezze e grandezze di un paese» (Osvaldo Guerrieri, “La Stampa” 16/11/2005). «[...] Una coppia storica, come Marchesi e Metz, Garinei e Giovannini. Una stagione irripetibile del nostro cinema, legato alla storia e all’attualità, alla risata e alla malinconia, alla leggerezza e alla profondità. Era stato anche lui nella redazione satirica del Marc’Aurelio, poi aveva fatto il battutista alla radio e nel ’43 per una settimana cantò con i Cetra. Poi cominciò con i copioni per il principe de Curtis: quando, tra il 40 e il 50, Totò cercava casa, moglie e faceva l’orfanello. Il sodalizio con Scarpelli porta un bilancio di quasi 100 film. Age visse l’epoca in cui il nostro cinema fu una grande famiglia e bastava aprire la finestra la mattina, diceva Age, che la realtà ti correva incontro. “Ci consideravano comunisti e Guareschi ci fece licenziare da Rizzoli per Don Camillo, ma ci avvicinammo al Pci dopo Craxi, prima eravamo nenniani”. Quante battute storiche hanno scritto Age e Scarpelli, quanto slang diventato gergo, quante folgorazioni prese dalla vita: da Monicelli a Risi a Comencini, da Scola a Pietrangeli a Germi. Idee “rubate” anche sui bus. “Il segreto era mettere in scena gente semplice, appena toccata dalla caricatura e i bar erano luoghi di rifornimento”. Ebbero guai con la censura democristiana: per Totò e Carolina, il capolavoro La grande guerra e I mostri che Sordi rifiutò per paura. E pur con uno stile aperto a tutti, ricco di invenzioni e personaggi straordinari (Soliti ignoti), di malinconie generazionali (C’eravamo tanto amati), di trovate storiche (Brancaleone), Age scrisse tante parole ma mai parolacce: “Una sola, per La grande guerra, non se ne poteva fare a meno. Ma ho sempre trattato le donne con rispetto”. Tre Nastri d’argento e due candidature all’Oscar (I compagni e Casanova 70), Age ha segnato un’epoca con uno schizzo, un tratto, un’idea di sintesi espressiva felice: “Oggi invece — diceva — ci sono molti ambiziosi alla ricerca di risate troppo facili”» (Maurizio Porro, “Corriere della Sera” 15/11/2005).