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 2005  luglio 18 Lunedì calendario

ISHIGURO Kazuo Nagasaki (Giappone) 8 novembre 1954. Scrittore. Nel ’60 si trasferisce in Inghilterra, dove si laurea in Letteratura

ISHIGURO Kazuo Nagasaki (Giappone) 8 novembre 1954. Scrittore. Nel ’60 si trasferisce in Inghilterra, dove si laurea in Letteratura. Frequenta un corso di scrittura creativa, dove incontra la scrittrice Angela Carter. Nel 1982 pubblica il primo romanzo e l’anno successivo la rivista “Granta” lo include tra i venti migliori scrittori inglesi sotto i 40 anni, con Ian McEwan e Salman Rushdie. Il successo arriva con Quel che resta del giorno (Einaudi) vincitore del Booker Prize nel 1989. «Se c’è al mondo un artista capace di illuminare il lato sinistro della normalità, questo artista, anzi nel caso specifico questo scrittore, è senz’altro Kazuo Ishiguro, [...] autore anglo-giapponese che è diventato uno dei punti di riferimento della nostra cultura. Ci dimostrò questo suo talento [...] nell’indimenticabile Quel che resta del giorno, infiltrandosi nella vita quotidiana di un maggiordomo inglese sullo sfondo della minaccia nazista. [...] “Io cerco metafore semplici per descrivere la vita che conosco. Metafore che mi servono per creare una prospettiva”, dice questo autore della generazione che si è formata nel segno della resistenza ai valori di Margaret Thatcher, ha lavorato per anni in un ospizio per senzatetto a Notting Hill dove ha conosciuto sua moglie Lorna, ed essendo giapponese di nascita, figlio di genitori non interessati ad assimilarsi perché sempre in procinto di tornare in Giappone, ha mantenuto una distanza dalla cultura anglosassone d’adozione che gli ha donato il privilegio di una visione prospettica. E forse per questo è tanto bravo a osservare le cose attraverso un vetro, creando l’effetto di un realismo che ha qualcosa d’irreale. [...] “Anche se la mia famiglia ufficialmente sarebbe buddhista, non sono stato cresciuto secondo alcuna religione, e, anzi, ricordo che quando arrivammo in Inghilterra dal Giappone negli anni Sessanta, proprio a Pasqua, rimanemmo inorriditi dalle immagini di Cristo sulla croce e della flagellazione. Ci sembrò una cosa così barbara... [...] Non sono religioso e non ho nemmeno nessuna grande teoria su ciò che l’arte dovrebbe essere. Ma posso dirle cosa sono i libri per me. Sono consolazioni. Non cose che hanno il potere di cambiare nulla. Ma possono arrivare a toccare una ferita che tutti noi condividiamo. E il solo fatto che un romanzo abbia in sé la possibilità di individuare quella ferita, e di accarezzarla, è di per sé una consolazione”» (Livia Manera, “Corriere della Sera” 18/7/2005) • «C’è, nella storia di scrittore di Kazuo Ishiguro, una cesura. Diciamo che si produce nel 1995, sei anni dopo il romanzo che lo ha portato al successo mondiale (Quel che resta del giorno) e dopo un trio di romanzi (due di ambiente giapponese, Un artista del mondo effimero e Un pallido orizzonte di colline, e uno, appunto Quel che resta del giorno, massimamente britannico) che convenzionalmente potremmo descrivere come realistici, o quanto meno come riferiti a un mondo preciso e reale. Convenzionalmente realistici. Perché Ishiguro, anche nella precisione maniacale con cui descrive i riti di due società profondamente formali come quella giapponese e quella britannica, resta soprattutto un poeta, che estrae dalla realtà una forma unica di linguaggio, di invenzione e di metafora. La cesura si colloca dopo il successo - certo travolgente, in tutti i sensi - di Quel che resta del giorno. E con Gli inconsolabili si apre una nuova stagione della narrativa di Ishiguro. In cui la realtà - di quel romanzo, collocato sullo sfondo musicale di una riconoscibile ma totalmente reinventata e fantasticata Salisburgo, ma anche di Quanto eravamo orfani, dove la storia dell’occupazione giapponese di Shanghai assume dimensioni oniriche - viene spostata di qualche grado rispetto al suo vero asse, quasi vera e assolutamente non vera, nella stessa misura in cui la realtà, nel dormiveglia o al risveglio dal sonno, sembra strana e diversa, ma spesso rivelatrice, o il mondo dei sogni assomiglia, deformato, a quello di ogni giorno. [...] Ishiguro, come ben ha dimostrato in Quel che resta del giorno, è un maestro del non detto, del suggerito, della rimozione. [...]» (Irene Bignardi, “la Repubblica” 2/2/2006).