Corriere della Sera 01/10/1960, Luigi Einaudi, 1 ottobre 1960
Rumore. Corriere della Sera 01/10/1960. La spiegazione del ”fuge rumores” giova a spiegare, di Donato Menichella, talune norme di condotta ben più rilevanti, per il paese, di una nomina accademica non condotta al termine normale della apposizione del timbro a ceralacca
Rumore. Corriere della Sera 01/10/1960. La spiegazione del ”fuge rumores” giova a spiegare, di Donato Menichella, talune norme di condotta ben più rilevanti, per il paese, di una nomina accademica non condotta al termine normale della apposizione del timbro a ceralacca. Il governatore della Banca d’Italia, col consenso o concorso del ministro del Tesoro, può usare due armi efficaci per dominare la lira, le borse, l’attività industriale e commerciale del paese; e sono la variazione del saggio dello sconto e quella della percentuale del versamento obbligatorio dei depositi delle banche presso l’istituto di emissione. L’arma delle variazioni del saggio dello sconto è tradizionale ed ha quasi dell’immemorabile. Quando la gente economica diventa matta, si monta la testa e compra titoli senza badare ai prezzi ed al rendimento, ovvero accatasta impianti senza misura, investe senza discrezione, aumenta le scorte di combustibili e di materie prime, produce per magazzino, l’istituto di emissione cresce quello che si chiama il prezzo del denaro. Il saggio dello sconto dal 3 va al 4, al 5, al 9, al 10 per cento. Fate pure pazzie operate pure come se aveste gli unni alle calcagna ed a perdere un minuto nella corsa agli acquisti ed agli indebitamenti, significasse la vostra rovina; ma pagate cari i vostri trascorsi. Accade anche, ma non sempre, che se le banche ordinarie e le casse di risparmio seguono l’esempio dell’istituto di emissione ed il denaro diventa caro nel paese in genere, dall’estero giungano capitali vaganti in cerca di impiego fruttifero, con vantaggio della bilancia dei pagamenti internazionali. Quando invece la gente economica è di cattivo umore, sfiduciata e, per ragioni diverse e mutevoli, svogliata dalle nuove iniziative e dal proseguire l’antico lavoro, una riduzione del saggio ufficiale dello sconto, se il costo del denaro, favorito dall’abbondanza dei depositi bancari disponibili, si attenua in generale, potrebbe incoraggiare gli indecisi. Se al saggio ufficiale del 6 per cento, che diventa presso le banche, cammin facendo l’8 o il 10 per cento, manca la convenienza ad impianti o lavorazioni nuove, che si sperano fruttifere non più dello stesso 8 o 10 per cento, la convenienza può invece sembrare esistere se il saggio ufficiale sia ribassato al 4 per cento ed il costo del denaro al 7 o 8 per cento. L’effetto non è sicuro; ma, se per il concorso di altri fattori, la sfiducia può essere combattuta, il ribasso del saggio dello sconto è certamente vantaggioso. In paesi nei quali il mercato dei valori a breve scadenza, tipo buoni del tesoro ordinari, è vigoroso ed ampio, è in uso la manovra detta del ”mercato aperto”; per cui le banche, per consiglio degli istituti di emissione, vendono titoli brevi che hanno in portafoglio e così in tempi di euforia richiamano a sé i depositi ritenuti esuberanti, rincarando il costo del denaro per gli imprenditori troppo azzardati; od al contrario, acquistano titoli brevi sul mercato e così riforniscono di denaro il mercato languente per scarsa operosità. In Italia il mercato dei titoli brevi non è siffattamente ampio e vivace per consentire acquisti e vendite di titoli brevi in quantità bastevoli ad esercitare, senza crollo del valore dei titoli medesimi, un’influenza notabile. Perciò si preferì nel 1947, applicando una esperienza americana, seguita solo nell’anno in corso dalla Banca d’Inghilterra, l’espediente di obbligare le banche ordinarie a versare alla Banca d’Italia una parte dei loro depositi. La proporzione fu inizialmente del 25 per cento dei depositi; ma essa doveva essere rialzata quando fosse stato giudicato opportuno vietare alle banche ordinarie di eccedere nelle anticipazioni e negli sconti ad una clientela troppo ottimista; ovvero diminuita quando invece si ritenesse opportuno lasciare alle banche ordinarie maggiori disponibilità, così da allargare i loro fidi alla clientela, incoraggiandola con ribassi nel costo del denaro. Non ne fu nulla. Sotto il governo di Menichella, le variazioni del saggio ufficiale dello sconto furono rarissime; e praticamente la percentuale dei depositi delle banche presso l’istituto di emissione rimase invariata al valore originario del 25 per cento. Volendo rendermi ragione della condotta apparentemente diversa da quella prevista, sono giunto di nuovo alla conclusione che al governatore, oggi onorario, della Banca d’Italia non piace il ”rumore”. Il silenzio è nella tradizione della Banca. Scale, stanze e corridoi sono silenziosi e puliti. Gli uscieri sono pochi, correttamente vestiti e cortesi. Non si parla ad alta voce; non si odono rumori fastidiosi. Menichella ha applicato la tradizione alla manovra del saggio dello sconto e della percentuale dei depositi bancari obbligatori. Un rialzo del saggio ufficiale dello sconto dal 3.50 al 4 e poi al 5 ed al 6 ed, occorrendo più su, fa ”rumore”. I giornali ingrossano la notizia, commovono l’opinione pubblica; gli articolisti finanziari quasi presagiscono il finimondo, la crisi. Si preannunciano ribassi in borsa, impossibilità di ottenere sconti ed anticipazioni. Chi ha un castelletto aperto, si affretta ad esaurirlo per essere sicuro contro una restrizione del fido, anche a rischio di depositare altrove il valsente a scarso frutto. Se invece il saggio di sconto è ribassato dal 6 al 5, al 4 ed al 3.50 per cento par che sia giunto il tempo della bazza. La gente prudente non si muove ancora; ma già gli uomini di seconda qualità cominciano a disturbare. I banchieri durano a fatica a toglierseli di tra i piedi. Gli articolisti politici imperversano perché non si investe. Perché non si fanno investimenti? E gli investimenti debbono essere ”massicci”; chè altrimenti non contano nulla. Se i privati non si decidono, perché non interviene lo stato ad assorbire ed impiegare i miliardi che ”giacciono” inutilizzati? Il Mezzogiorno non è forse bisognoso ed avido di investimenti? Si impieghino cento o duecento miliardi per far sorgere uno stabilimento che sia colossale. Non monta se gli operai impiegati saranno pochi in confronto ai molti di più che sarebbero occupati da iniziative meno visibili, decise da qualcuno che all’uopo rischierebbe denari anche suoi? Occorre fare in fretta; i miliardi ci sono e importa non lasciarli ”giacere”. In qualche parte d’Italia la guerra indusse ad estrarre dalle viscere della terra un carbone cattivo, che rende poco, meno ancora del vantaggio del prezzo basso, che rovina col suo zolfo le griglie delle caldaie; che nessuno compra, se non sia costretto da qualche calamità, come la guerra. La perdita è grossa, di miliardi di lire; e ricade sul solito pantalon dei contribuenti. Ma, poiché la diminuzione del saggio dello sconto o, il che fa lo stesso, quella della percentuale dei depositi obbligatori delle banche ordinarie presso l’istituto di emissione, dice che i miliardi disponibili ci sono, affrettiamoci a investirli in qualche impianto che utilizzi quel pessimo carbone a produrre energia elettrica; e poiché in loco, nessuno la comprerebbe tutta, investiamo altri miliardi a trasportarla altrove, anche attraverso i mari. Che monta se l’occupazione creata sarà minima in confronto ai miliardi investiti? Quel che monta è fare investimenti ”massicci” per impiegare i miliardi che ”giacciono”. Se queste cose accadono o sono minacciate anche quando in Italia il saggio ufficiale dello sconto e le percentuali dei depositi obbligatori presso l’istituto di emissione tacciono e rimangono invariati, figuriamoci quel che accadrebbe se fossero deliberate variazioni all’insù ed all’ingiù! A chi giovano il baccano, le chiacchiere, gli articoli? bastato che, attraverso anni di dure fatiche, cominciate nel giorno nel quale lui ed io fummo a Londra nel 1947, dolorosamente costretti, per tamponare una situazione disagevole, a piatire pochi milioni di dollari dal segretario americano al Tesoro. Menichella riuscisse a costituire una riserva oro sufficiente a parare alla eventualità, sempre viva, di esigenze temporanee della bilancia dei pagamenti e delle casse dello stato, perché si moltiplicassero le proposte di investire o sperperare parte di quella riserva nelle più diverse parti del mondo e per le imprese più sconsiderate. Perciò Donato Menichella non ama i ”rumori”. Preferiva, immagino, ricevere i dirigenti delle banche; amici suoi od a lui devoti, i capi di imprese grandi e minute, nel suo studio. Che è silenzioso; dove i visitatori sono introdotti da uscieri dal portamento corretto, attraverso atrii e corridoi mondi dalla polvere o dalle ragnatele che si vedono o si vedevano in taluni ministeri e pubblici uffici. Nello studio del governatore non si danno ordini; si discorre, si esamina la situazione, si sgrovigliano i nodi intricati; e si danno consigli. Invece di rialzare il saggio dello sconto, perché non ridurre con garbo qualche fido; perché non aumentare gli interessi sulle facilitazioni, delle quali si desidera il restringimento? Ai consigli, che tuttavia praticamente sono ordini, si aggiungono gli aiuti: se la percentuale del 25 per cento nei depositi obbligatori è in qualche caso in talune contingenze, alta per una banca, è possibile crescere l’ammontare dei risconti dell’istituto di emissione a favore della banca bisognosa. Senza ”rumore” senza far accorrere i giornalisti, le situazioni sono discusse ad una ad una e per ognuna di esse si cerca la soluzione appropriata. Talora una certa situazione è difficile per colpa dell’amministratore delegato o del direttore generale di una banca minore, di una cassa di risparmio, di una cassa rurale. Il governatore della Banca d’Italia è informato prima di ogni altro dei peccati, delle trascuranze, delle colpe talvolta dei reati. I suoi ispettori gli hanno presentato l’elenco di ognuna delle operazioni scorrette commesse da quella banca, da quella cassa; un elenco preciso, con nomi e cognomi, con la indicazione minuta di ogni irregolarità. Il dilemma è grave: secondo una interpretazione discutibile, di non so che articolo del codice penale, combinato con quello di un altro articolo della legge bancaria, il governatore avrebbe il dovere di denunciare il fatto al procuratore della repubblica. Fiat justitia; innanzi tutto. Accada quel che deve accadere. Purtroppo quel che accadrebbe, osservando la legge, sarebbe il disastro. Il credito è quella certa cosa delicatissima che riposa sul silenzio, sulla fiducia, su fattori invisibili e impalpabili. Dall’ufficio della procura della repubblica le notizie brutte di denaro perduto, di favoritismi, di aperture di credito eccessive filtrano, non si sa come. Filtrano. La gente parla; il giornale locale insinua. I depositanti corrono ai rimborsi, prima pochi, poi valanga. La banca deve chiudere gli sportelli. Se una banca chiude, la cassa vicina diventa sospetta; e la corsa ai rimborsi si allarga. Il Governatore della Banca d’Italia che sa tutte queste cose in anticipo, deve denunciare, in ubbidienza al principio che innanzi tutto i regni si salvano rendendo giustizia? O non è invece moralmente e socialmente preferibile correre il rischio di violare la legge evitare i ”rumori” e cercare di tamponare per tempo? Il direttore generale o l’amministratore delegato colpevole non può essere chiamato a rendere conto e, se non può discolparsi, sovrattutto a pagare, e far pagare la moglie ed i parenti? Se colpa c’è ed è chiara, non è meglio pagare? Accanto a lui, anche se irresponsabili, paghino anche i suoi presidenti ed amministratori teste di legno o di cavolo. Se tutto ciò non basta, le associazioni bancarie e le federazioni delle casse di risparmio hanno interesse ad intervenire con contributi di salvataggio. Poiché la banca o la cassa in dissesto ha tuttavia una tradizione, una clientela attiva o passiva che vale qualcosa, l’istituto di emissione può consigliare una fusione con una banca o cassa solida, la quale sacrifica qualcosa ed acquista in cambio avviamento, depositi e clienti. Fuggendo i ”rumori”, i colpevoli sono costretti a sacrificare quel che loro avanza, il credito è salvo, i depositanti non si accorgono neppure del pericolo corso. meglio risolvere in questo modo, se possibile, le situazioni difficili, ovvero rendere omaggio ad ogni costo al comandamento del ”si faccia giustizia?” Talvolta la corsa a chi arriva prima: - se il tentativo di salvataggio benefico operato nell’interesse collettivo ovvero la denuncia anonima giunta sul tavolo del procuratore della repubblica: se la salvezza dei depositanti o l’ossequio alla giustizia pura – è una corsa affannosa. Se alla fine, i depositanti sono salvi ed un minuto dopo, la denuncia anonima arriva sul tavolo del procuratore della repubblica, la giustizia si fa e, nel tempo stesso, la cosa pubblica è salva. Se la dottrina del ”fuge rumores” fu davvero quella di Domenico Menichella, sia essa di ammaestramento a chi ha la responsabilità, gelosissima fra tutte, del credito pubblico. Luigi Einaudi