Varie, 27 aprile 2005
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Vecchiali Paul
• Ajaccio (Francia) 28 aprile 1930. Regista • «[...] per primo ha raccontato le conseguenze estreme dei colpi di fulmine, l’innamoramento per le dame appassite, i paradossi dell’accoppiamento, il dolore di fare sesso nel XX secolo ed è stato (talora) perfino distribuito in Italia. Lo si potrebbe definire più affine a raccontare la morte che l’amore, ma la passione che prova nel fare cinema, la lotta costante nel fare film non addomesticati lo pone fra i registi guerrieri. [...] opere come L’étrangleur (’70), il magnifico Femme femme (’74), Corps à coeur (’79), e poi l’omaggio più evidente al cinema degli anni trenta da lui amato En haut les marches (’83), Trous de mémoire (’85), Rose la rose fille publique (’86), Once more ovvero l’amore al tempo dell’Aids. [...] il Filmstudio per primo in Italia realizzò la sua personale nel ”79. Fu una scoperta perché si pensava di conoscere tutto della nouvelle vague e invece ecco che arrivava un regista a parte, il lato mélo del cinema francese, con le splendide Femmes Femmes Danielle Darrieux e Hélène Surgère, le impossibili storie d’amore tra il giovane idraulico e l’anziana farmacista, l’odore dei locali notturni. Se poi si è amato Fassbinder e Almodovar qualcosa lo si deve anche a Vecchiali, regista di Ajaccio, elegante impeccabile signore nato negli anni trenta e appassionato cultore del cinema francese di quegli anni, il famoso cinéma de papa respinto dalla nouvelle vague. Anche in questo si è dimostrato è diverso dagli altri. [...] ”Non si può fare un film senza occuparsi in modo stretto del lato sociale della storia. Più che politico direi sociale, perché io non sono un cineasta ”militante”, sono un cineasta ”impegnato”. Non penso di possedere la minima verità su nulla, ma grande convinzione su ciò che penso. Credo che la verità sia completamente soggettiva quindi non poso presentare nulla come verità. [...] Molto spesso penso a Once More. Nessuno aveva parlato di Aids prima e la gente ha reagito male. Qualche anno dopo invece se ne parlava come di un film classico d’avanguardia che aveva osato parlare in primo luogo dell’amore omosessuale del protagonista che praticamente si suicida di Aids. [...] Una volta, ai tempi di Once more a Cannes ero a un ricevimento e ho sentito Sergio Leone dire a Lina Wertmuller: questo film è un capolavoro, ma non bisogna assolutamente premiarlo. [...] ha conosciuto Pasolini, ammiratore di Femmes Femmes...Quando vide il film mi disse: ”Ho capito di non essere un cineasta’. Mi chiese se volevo fare un film con lui, in cui avrebbe fato tutta la preparazione, trovato gli attori (era un film con gli Artisti Associati). Lui si sarebbe seduto a vedermi lavorare, nient’altro. Io trovavo che lui non rischiava con la macchina da presa, mentre nella vita rischiava in continuazione. In un film, gli ho detto, ci sono quattro macchine da presa, non è come scrivere una poesia [...] io a sei anni decisi di fare cinema, dopo aver visto una copertina con Danielle Darrieux. Poi ho fatto il politecnico per accontentare mia madre e dopo la leva mi sono dedicato al cinema. Ho dato a mia madre la foto con il bicorno in testa, il cappello con un corno davanti e uno dietro (come Napoleone) e ho detto ”basta’ ho finito il mio contratto con lo stato e ho cercato di fare cinema, non era facile”. stato regista, montatore, scrittore, attore, produttore dei suoi film e di Biette, di Eustache... ”E anche distributore. Biette era una persona meravigliosa, ho subito prodotto i suoi film. Sa cosa diceva Pasolini di Biette che era suo assistente? ”Assiste, non fa che guardare’. Jean Eustache era mio assistente e poi ho prodotto due suoi film. Lui è un erede della nouvelle vague, di Rohmer, Godard. Secondo me non ha portato qualcosa al cinema, ha prolungato uno stile. Quando ha fatto La maman et la putaine che è un film rohmeriano, io facevo Femmes Femmes, un punto di vista opposto. [...] ci sono registi che mi hanno impressionato come si direbbe con la pellicola, Max Ophuls e Jean Grémillon e Robert Bresson. Io un erede del cinema francese degli anni trenta più la riflessione critica della nouvelle vague. Il regista più simile a me è Jacques Démy. Forse sono tra Démy e Godard. [...] Quando Godard ha visto A vot’ bon coeur era come impazzito. Diceva ai giornalisti: ”Risponderò alle vostre domande, ma prima vi voglio parlare del film di Vecchiali”. Per me era come un miracolo» (Silvana Silvestri, ”il manifesto” 26/4/2005).