varie, 31 marzo 2005
Tags : Ljuba Rizzoli
RIZZOLI Ljuba (Maria Luisa Rosa) Sesto San Giovanni 27 giugno 1935. «[...] una delle donne più belle e corteggiate, più ricche e chiacchierate [
RIZZOLI Ljuba (Maria Luisa Rosa) Sesto San Giovanni 27 giugno 1935. «[...] una delle donne più belle e corteggiate, più ricche e chiacchierate [...] una vita straordinaria, caratterizzata dal lusso sfrenato e da una mondanità spesso impudica, da errori e vizi, da amori clamorosi e memorabili imprese nei casinò e infine (se può esistere la parola fine, con Ljuba) segnata da una tragedia non superabile, il suicidio della figlia, Isabella. Vive a Montecarlo e in giro per il mondo, come capita. Senza programmi. [...] ”Ho vissuto una vita senza vie di mezzo, piena di eccessi. Oggi ho pochissime nostalgie. Ho sciupato tanto. E niente mi è mai stato facile, comunque [...] Momenti di felicità e di allegria che si accavallano con le illusioni, tante delusioni, e poi tutto scompare, sommerso dalla mia tragedia, fino a un dolore incolmabile. Ridere e piangere: forse non ho fatto altro nella mia vita [...] Al fondo, io mi considero una persona semplice, perfino timida. Ma è vero che mi sono subito, e sempre, trovata di fronte a situazioni più grandi di me. Spesso non sono stata capace di affrontarle. Ho sbagliato tanto [...] Tutti pensano che Ljuba Rosa sia il mio nome. Non è così. Rosa è il mio cognome da ragazza. E Ljuba non è il mio vero nome. All’anagrafe sono registrata come Maria Luisa. Ma sono sempre stata Ljuba, per tutti: un bel nome russo, che piaceva molto a mia madre... Vivevamo a Milano: se penso all’infanzia e all’adolescenza, vedo una famiglia quasi normale [...] I Rosa erano una famiglia agiata, con un’impresa importante. Macchine e utensili meccanici: nessun problema economico. Ma mio padre era un uomo possessivo, geloso fino alla morbosità. Terribile. [...] I primi ricordi risalgono a Salice Terme, dov’eravamo sfollati (io sono nata nel 1935) durante la guerra. Quanta paura! La mamma, Zaira, era bellissima... Si temevano violenze, stupri. Ricordo partigiani giustiziati, impiccati. Immagini inquietanti, indimenticabili. Ma anche subito dopo la guerra, se mi ripenso da ragazza, ricordo molti problemi. Volevo fare l’attrice: l’idolo di tutti allora era Rita Hayworth, forse avevo una vaga rassomiglianza fisica. Un anno fui scelta per il concorso di miss Italia (a Cortina d’Ampezzo, vinse Marcella Mariani). Ma mio padre, la sera prima, per impedirmi di partecipare mi tagliò i capelli a zero. Quante lacrime... Ricordo lo stupendo vestito che avevamo preparato, tulle bianco, pizzi neri, spumeggianti. [...] Ho ricordi orribili. Studiavo dalle suore agostiniane, un insegnante di anatomia mi fece violenza... Credo che questo episodio mi abbia rovinato la vita. Non voglio parlarne [...] Ricordo tanti problemi, sempre per la bellezza e l’invadenza del corpo. Era un vero supplizio, ogni giorno, andare e tornare da scuola, a Milano: attraversavo piazza Risorgimento e Tricolore, camminando ingobbita, per nascondere il seno. Al mattino me lo bendavo, lo stringevo, per appiattirlo. Battute, fischi, oscenità per strada. E mio padre, geloso, sempre pronto a frenarmi. Un giorno conobbi Alberto Lattuada, che mi voleva per un film con De Laurentis e Ponti. E mio padre, inflessibile: no, no, no. [...] Io credo molto nel destino: tutto, secondo me, è prefissato. Il mio segno astrologico è il cancro, e senti un po’: mia mamma è nata il 27 giugno, anch’io il 27 giugno e anche mia figlia, Isabellina, un 27 giugno... [...] Sì: penso che il destino sia scritto. E tutto spesso ricorre uguale, tormentoso. Per esempio, le mie storie sentimentali, sempre contrastate, sempre con uomini sposate: il primo vero amore fu per il giornalista Arturo Tofanelli, che aveva moglie e figli. La prima storia difficile, senza sbocco. [...] Ero una ragazzina. Mi piaceva andare a cavallo a San Siro: lì conobbi Ettore Tagliabue, che possedeva una grande scuderia, con il grande Ribot, centinaia di cavalli di galoppo... Era pazzamente innamorato di me, e anch’io di lui. Un colpo di fulmine. Cominciò così: un giorno, da principiante, ero caduta da cavallo e lui si fermò. ’Bella tusa’, mi disse in dialetto, ’bella ragazza, rialzati e rimonta subito in sella: se no, non ci riproverai mai più’. Mi prese per i fianchi e mi risistemò a cavallo. Ci innamorammo in quel momento. Ma anche lui era sposato. [...] Penso sempre alla volontà del destino. Con Tagliabue fu una lunga storia che durò sette anni e mezzo. Vivevamo a Monza, in una grandissima villa, con tutti i parenti. Una favola: lussi smodati, cavalli, viaggi nei luoghi più belli del mondo, servitù, feste, aerei privati, piscine enormi... Tutto grande ed eccessivo: come dire una vita alla Kashoggi, per scegliere un riferimento recente, comprensibile. Durò sette anni mezzo e di colpo finì. [...] Tagliabue aveva una storia con una ragazzetta di strada, figlia di un uomo di scuderia, un ’groum’, in gergo. Successe come nelle commedie: un giorno torno in villa all’improvviso, leggo l’imbarazzo negli occhi dei camerieri, apro una porta e li trovo a letto, sul fatto, lui e questa puttanella...[...] Per me l’inganno fu un dramma. Una delusione insostenibile. Rimasi sconvolta e ancora adesso mi sento turbata e indignata, parlandone. Era la fine degli anni cinquanta. Lo adoravo, Ettore Tagliabue. Ebbi crisi di nervi devastante, una lunga depressione atroce, fui ricoverata all’ospedale neurologico. [...] esplosero altri problemi, l’insoddisfazione per una vita piena di mancanze. Perché avevo tutto e niente. E c’era l’amor proprio. Ero considerata una delle donne più belle e desiderabili di Milano. Ed ecco questa ferita, inaspettata, inflitta alla considerazione che avevo di me. Reagii drammaticamente. Volevo morire. Durante tutta la mia vita ci sono stati, quasi sempre, pensieri di morte. Un lungo filo tenebroso. Invece mi curarono per 18 giorni, con la cura del sonno. Ettore mi consolava: sei davvero stupida, diceva, è una storia insignificante. E oggi capisco che ero fuori dalla realtà. Ma, allora, uscii fuori di testa. Al neurologico pretesi due camere in più: sentivo, soprattutto, l’esigenza di staccare, fuggire da quel rapporto, da quella villa... E non ci ho mai più rimesso piede. All’ospedale portai con me le cose a cui ero affezionata. Pensa un po’: la pelliccia, alcuni vestiti, gli oggetti cari, perfino la mia bicicletta. Una specie di cuccia in ospedale. Ora capisco quanto ero scema, proprio scemotta, immersa fino al collo in una certa dolce vita senza conoscerla né capirla cos’era, la vita. [...] E tanta noia. Noia e indifferenza per la vita dorata. Le feste, le battute di caccia, le barche, i luoghi di vacanza per ricchi. Noia fino alla nausea. [...] Mi guarì l’incontro con Andrea Rizzoli. Ci conoscemmo sul trenino che porta a Cortina d’Ampezzo. C’era il commenda, il vecchio Angelo: ma perché lei non fa l’attrice? - mi fa. Stetti al gioco, chiacchierammo un po’, poi all’arrivo vide che ero attesa dalla limousine di Tagliabue, capì chi ero e seppi che in seguito disse: ma cosa ci fa una ragazza così bella, con un cavallaro? Loro erano i più grandi editori d’Europa. [...] Andrea è stato fondamentale per me, una svolta della mia vita. Successe a Venezia, io reduce dalla malattia ero ospite della mia più cara amica di sempre, Marina Volpi Cicogna. Lì rivedo Gaetano Greco Naccarato e altri amici, erano i giorni del festival del cinema... Altri tempi, altro mondo: a certe feste incontravi Paola di Liegi, Margaret d’Inghilterra, principi e potenti, gli uomini più ricchi del mondo. E Andrea Rizzoli mi propone: viene con noi a fare un giretto in Africa, col nostro aereo? Accettai e ci ritrovammo invece in un casinò, a Montecarlo o Nizza, non ricordo. E, poi, subito di ritorno a Venezia. Marina mi ammonisce: ma cosa combini, Ljuba, vai in giro con un uomo sposato, con figli? E io: Andrea mi ha detto che è libero, in ogni caso sarà un problema suo! Ma aveva ragione, eccomi di nuovo in una situazione difficile, criticata. All’interno di una vita spesso senza senso, vuota: mi vengono in mente solo i vestiti, ad esempio uno, bellissimo, di Schubert, per un ballo dei Volpi. E poi casinò e casinò, tanti casinò, a fianco di Andrea. A poco a poco mi prese, irresistibile, il vizio del gioco di azzardo. [...] Non lo so. Una compensazione? Non voglio assolvermi e non chiedo comprensione. Avevo, già allora, questa fissazione di non voler vivere. E Andrea mi aiutò molto: era un uomo premuroso, severo. Mi educò. Non voleva che usassi profumi violenti, al ristorante pretendeva che mangiassi quello che avevo ordinato... Una figura paterna. E poi, come dicevo, la svolta. Nel ’63, mi accorgo che ero incinta: aspettavo Isabella. Uno choc! Ero convinta che fosse impossibile: i medici mi avevano detto che non potevo avere figli e invece, all’improvviso, ecco questa gioia immensa. Un altro segno del destino. [...] Pensavo di non poter avere figli e arriva la sorpresa, la felicità. Ma non sapeva quanto dolore, poi, sarebbe stato legato, a Isabella. [...] La mia legittimazione, diciamo così, avvenne soltanto quando Andrea fu colpito da un infarto: a quel punto, la famiglia ritenne che fosse giusto che io andassi ad abitare nel loro palazzo in via del Gesù, a Milano. Prima, con Isabellina, abitavo in una bella casa al Politecnico. E della vita in famiglia, con i Rizzoli, conservo ricordi bellissimi: le piccole abitudini e tradizioni familiari, quei nonni stupendi... A volte aspettavo nel letto della nonna, Anna, il ritorno a casa di Andrea, ch’era andato al ’Clubino’, fino all’una di notte. C’era un rapporto sereno anche con Angelone e Alberto, nonostante di fatto io fossi andata ad occupare il posto della loro mamma, Lucia. [...] Mi rimprovero di aver pensato assai poco agli altri, e poco anche a Isabellina. Fare bene agli altri: forse conta solo questo, nella vita. Per il resto qualsiasi cosa vale un’altra cosa. Fuggo, cerco protezione: il mare, gli amici, il piccolo mondo di Montecarlo che conosco e mi conosce, dove tutti mi rispettano... dall’autista al cuoco del ristorante. E il casinò, ancora tanto casinò: come terapia. Prima era un vizio, adesso è una cura, per tenere i pensieri lontani da quel giorno. [...] Era il 1987. Io avevo avuto degli incubi premonitori: sognavo sempre persone che volevano suicidarsi. E quel giorno - eravamo in casa solo io e lei, mia figlia - la casa mi sembrava una prigione, dissi ad Isabella: usciamo, andiamo a fare una passeggiata... [...] Non voglio usare la parola schizofrenia. Ma i medici dicevano che lei viveva in un mondo suo, astratto: probabilmente le mancava la famiglia, che non c’era più, devastata dopo le vicende legate al Banco Ambrosiano e la morte di Andrea. Isabellina voleva essere in pace col mondo, con tutti, cercava il consenso, l’affetto di tutti... Qualsiasi cosa spiacevole la impressionava terribilmente. Gli eventi in tivu (un ricordo per tutti: il disastro di Chernobyl) la segnavano, la turbavano. Era in cura in una clinica, qualche volta uscire, quel giorno eravamo insieme... [...] Ci fu una coincidenza terribile. Isabella guardava la tivu, un telefilm: c’era una scena in cui un ragazza si butta dalla finestra... Io subito spengo, con il telecomando. E le dico: usciamo, usciamo, Isabellina, andiamo al casinò a farci un black-jack, ne hai voglia? Mi stai vicina? E lei: sì, mami, va bene. Isabella va nel suo bagno, io nel mio... Le grido: cantiamo qualcosa, porta buono... La tengo d’occhio, ho le mie paure addosso. Me la ricordo davanti a me: bella, bellissima, pallida, stravolta... Mi dice: mi cambio anch’io, ci metto un attimo. Passano pochi istanti, la cerco, non la vedo. Grido. Dove ti nascondi, dove ti nascondi? Ho subito un presentimento in cuore. Forse si impazzisce così! Un dolore, un male, che non potresti augurare al peggior nemico. Corro in terrazzo, ricordo che urlavo, poi la lunga corsa giù per strada, non ricordo altro, solo un ragazzo che chiamava la Croce Rossa e mi teneva lontana... E poi i medici all’ospedale. Mi dicono: Isabella si è liberata dai suoi mali... Liberata! Urlavo, urlavo... [...] Ho ereditato quei mali, i suoi mali, da Isabellina, in quel momento. E il tempo non passa mai. La mia vita è scissa tra ricordi, incubi, momenti di entusiasmo e di voglia di tornare a vivere, e indifferenza, indifferenza, verso tutto e tutti. Non faccio niente che mi piaccia e se penso alla mia vita passata trovo pochissime cose che mi siano veramente piaciute. Non so se puoi capire. Vivo astrattamente: è come se fossi morta. I valori, i riferimenti non esistono più. Convivo con Isabella, come se lei fosse qui. Le parlo, la sogno. una presenza continua. Spesso vado a trovarla, a Milano, al cimitero monumentale dov’è sepolta: a fianco dei suoi nonni e di suo papà, la persona che amava di più al mondo... [...] Non avrei dovuto isolare Isabella in collegi di lusso. Lusso e sempre lusso. Ma questa era la vita: eccessi, eccessi. Ho avuto troppo e ho bruciato tutto. Ho vissuto in modo stupido. [...] Marina Cicogna mi ha aiutata a tornare a galla. insostituibile. Se dovessi pensare che lei non esiste più per me, crollerei. una donna forte, intelligente, generosa. [...]. Come tutti i depressi, credo, mi aggrappo alle piccole cose. [...] Per me, una piccola fissazione è cambiare ogni giorno le lenzuola di lino del mio letto. Mi dà una sensazione di benessere. [...] Il gioco, all’epoca di Andrea, e anche di suo papà, era un divertimento snob e assiduo per i personaggi più illustri dell’industria e della finanza. Una sorta di club: ci ritrovavamo a Cannes, a Nizza, a Venezia: Attilio, Monti, Borghi, De Laurentis... [...] A Montecarlo una sera, durante le feste pasquali, uno dei miei numeri preferiti
alla roulette, l’8, si ripetè per cinque volte. E io lo avevo puntato per i limiti massimi: Regalai una villetta ad Andrea, a Cap Ferrat: lui mi dava tanto, io gli feci questa sorpresina... [...] Ho conosciuto personaggi straordinari, importanti, a cominciare da Gianni Agnelli. I più simpatici nell’ambiente del cinema... Alberto Sordi, Fellini e Giulietta.. Adoravo Walter Chiari. E Von Karajan, e Chagall che adorava il mio nome e ci invitava nella sua casa a Saint Paul de Vence. [...] Mi piacerebbe vivere in modo opposto rispetto a come ho vissuto. Mi piacerebbe essere una contadinella, mi vedo scalza, forse una montanara, a contatto con il cielo, gli alberi, i prati, gli animali”. [...]» (Cesare Lanza, ”Sette” n. 19/2000).