9 marzo 2005
Tags : Erwann Menthéour
MENTHOUR Erwann. Nato a Brest (Francia) il 29 giugno 1973. Ciclista. Figlio di una ex cantante d’opera d’origine bergamasca e di un alto funzionario del controspionaggio, ha iniziato a correre nel 1991, è passato professionista nel 1995 con la belga Cedico
MENTHOUR Erwann. Nato a Brest (Francia) il 29 giugno 1973. Ciclista. Figlio di una ex cantante d’opera d’origine bergamasca e di un alto funzionario del controspionaggio, ha iniziato a correre nel 1991, è passato professionista nel 1995 con la belga Cedico. Nel 1996 era con l’italiana Aki e nel 1997 ha corso per la Française des Jeux, con cui ha ottenuto la sua unica vittoria, una tappa del Tour de l’Avenir. Fermato alla Parigi Nizza ’97 dai controlli preventivi sul sangue dell’Uci. «’Un atleta di alto livello è un bambino che sogna di diventare grande e famoso ma che strada facendo, e a volte dopo aver utilizzato tutti i mezzi per riuscirci, perde il senso della realtà”. Erwann Menthéour, speranza del ciclismo francese negli anni 90, si è ripetuto spesso questa frase. Pian piano, però, si è reso conto che non avrebbe mai eguagliato il fratello Pierre Henry, vincitore di una tappa del Tour 1984. Nel 1997, alla Parigi Nizza, era stato il primo ciclista della storia a risultare non idoneo a una corsa: ematocrito troppo alto. Così decise d’uscire in punta di piedi da un mondo che lo malsopportava. [...] è uscito nel 1997, a 24 anni, dopo aver vissuto quattro anni da professionista e mille esperienze, aver provato e consumato il pot belge (un micidiale cocktail di sostanze proibite) e le amfetamine, i mille prodotti ”omeopatici” prescritti dal ”dottor” Mabuse e naturalmente l’Epo; dopo aver indossato quattro maglie in quattro anni ed esser stato fermato quell’11 marzo 1997 alla Parigi Nizza, alla vigilia della prima tappa. Erano i controlli preventivi sul sangue che l’Uci aveva introdotto proprio quell’anno per arginare la diffusione dell’Epo: con Menthour vennero fermati altri due corridori, Mauro Santaromita e Luca Colombo. ”Fisicamente ero fatto per quel mondo, ma mentalmente no. Ne sono uscito con addosso la maglia gialla del Tour de l’Avenir e con mille ricordi, deciso a cambiar vita e a cantare, ma prima dovevo raccontare la mia esperienza, avvertire il pubblico che il gruppo era in pericolo”. Menthéour l’ha fatto all’inizio del 1998, qualche mese prima del Tour de France dello scandalo Festina, quando ha raccontato alla radio la sua vita da dopato del ciclismo, poi alla televisione e infine con un libro Il mio doping, stampato anche in Italia e Germania e venduto in Francia in più di 150 mila copie. ”Non ho denunciato nessuno ma ho raccontato solo la mia esperienza e messo in guardia le istanze nazionali e internazionali sul grave problema del doping. Non mi hanno ascoltato, anzi mi hanno trattato come il solito folle e qualche mese più tardi si sono ritrovati a gestire, male, l’affaire Festina... Quelli che mi avevano pagato le cure da medici e santoni in Francia e all’estero, rimborsato le spese per l’Epo e che quando sono risultato positivo mi hanno detto ”Erwann, dimmi che non è vero, dimmi che sei innocente”, hanno ripetuto a cantilena davanti microfoni e telecamere ”Doping? Mai sentito parlare”, interpretato il ruolo delle verginelle e lasciato i poveri cristi della Festina soli in balìa della bufera che sarebbe invece dovuta servire a mettere definitivamente a nudo i mille problemi del mondo della bici, a fare un profondo e generale esame di coscienza e a far ripartire il ciclismo su altre basi”. Erwann Menthéour, che dopo gli studi classici si era laureato in lingue applicate, parla del doping, del ciclismo, senza nostalgia. ”Sono passato ad altro, ad un’altra scena, ad altri riflettori e microfoni.... [...]” ha deciso di cambiar scena. Ha frequentato il conservatorio per due anni, lavorato la voce che sua madre, cantante all’Opera di Algeri gli aveva già educato, ha letto, scritto, dipinto e incontrato mille persone di altrettanti ambienti. Già, Algeri: lì il padre aveva lavorato come alto funzionario del controspionaggio francese. ”Alla fine [...] dopo aver vissuto come un avventuriero e un po’ alla boheme sono riuscito a dare forma al mio progetto. Ho bussato ad una porta e mi ha aperto Max Guazzini il patron delle Radio NRJ (presidente dello Stade Français dei fratelli Bergamasco, ndr ). Max ha ascoltato le mie registrazioni, i miei testi e quello che avevo da dire, e qualche mese dopo registravo il primo single alla Universal, che ha venduto quasi 100 mila copie. In un attimo non ero più il ciclista che si era dato alla canzone ma ”il” cantante che aveva fatto il ciclista professionista, e non vi dico quanti messaggi ho ricevuto e, naturalmente, i più delicati da quelli che mi avevano sbattuto la porta in faccia, mi avevano trattato come un malandrino e che avevano detto che solo io potevo parlare di doping perché solo io mi ero dopato”.
Con il suo viso d’angelo, Mentheour è diventato una rockstar di grido e l’idolo dei giovani transalpini. L’album Un angelo, un fratello, una sorella ha avuto un enorme successo [...] ”Che differenza c’è tra il mondo del ciclismo e quello dello show business?.... Nessuna. Quando arrivi nel mondo della bici, pensi che un giorno sarai qualcuno, una star e che potrai fare e dire quello che vuoi e rivoluzionare il mondo. E poi, pian piano, scopri i compromessi, gli sponsor, le regole del gruppo, le ’cure’ e prescrizioni, i programmi specifici d’allenamento. Nel mondo della musica è un po’ lo stesso... Incidi il primo disco e speri di diventare una rockstar perché pensi che solo così conquisterai il mondo e la libertà, che potrai dire e fare tutto quel che ti passa per la testa. E no, anche qui ci sono certe regole da rispettare... Non ci sono i direttori sportivi ma quelli artistici, non ci sono gli sponsor ma le case discografiche, e senti discorsi del tipo ’il tuo disco è eccezionale ma il pubblico ora attende qualcosa di più soft, meno violento, insomma più commerciale...’ e capisci, allora, che la verità puoi dirla e gridarla soltanto quando sei in scena, solo davanti al tuo pubblico”» (Giampietro Agus, ”La Gazzetta dello Sport” 25/2/2005).