Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  marzo 09 Mercoledì calendario

Maskhadov Aslan

• Nato in Kazakhstan il 21 settembre 1951, morto a Tolstoy-Yurt (Cecenia, Russia) l’8 marzo 2005. Politico. «[...] era un militare di professione addestrato nelle file dell’Armata Rossa, colonnello messo ancora alla prova nella repressione dell’indipendentismo baltico, come il suo eroe imminente, il generale dell’aeronautica sovietica Dzokhar Dudaev. Militari di carriera, e prodi, Dudaev in modo impetuoso, e Maskhadov più metodicamente e discretamente. Stiamo parlando della Russia, 145 milioni di abitanti, e della Cecenia, neanche un milione. Nella prima guerra russo-cecena - la prima di due guerre nel giro di dieci anni! - Maskhadov era stato il comandante in capo delle forze cecene, valoroso nella resistenza regolare come Basaev e altri giovani guerrieri erano valorosi nelle sfide spavalde e sfrenate. Maskhadov era personalmente serio e schivo. [...] era il sicuro presidente in pectore di una repubblica riconosciuta, e aveva sempre un atteggiamento misurato, che di fronte alla telecamera o al registratore si mutava in una vera timidezza. Nell’intervallo fra le due guerre - un’unica guerra spietata con una illusoria pausa di pace - c’era un solo posto telefonico nel centro di Grozny, e ogni sera i capi del Paese ci venivano, con le loro scorte di ragazzi armati e chiassosi. Uno dei figli di Maskhadov passava il suo tempo in una roulotte sgangherata parcheggiata di fronte, in cui un pugno di giovani intraprendenti, reduci alcuni dagli studi in Europa o in America, avevano installato un computer e si cimentavano con le meraviglie di Internet. Il figlio di Maskhadov fu ammazzato presto alla ripresa della guerra, e altri della sua famiglia ebbero la stessa sorte. I superstiti sono stati alla fine sequestrati dai russi e dai loro scherani locali, le bande dei Khadirov, e tenuti in ostaggio, secondo l’usanza, per fiaccare la sua tenacia. [...] Maskhadov aveva concluso col generale Lebed la fine della guerra. Dudaev era già morto in un attentato russo. Lebed sarebbe morto in un incidente russo. Nelle elezioni presidenziali del 1996, Maskhadov aveva dei concorrenti, e fra loro Zelimkhan Yandarbiev e il giovane Basaev. L’islamista Yandarbiev è morto nel Golfo in un attentato di sicari russi. Basaev [...] ha solo perso una gamba su una mina, e in quella circostanza tenne a farsela amputare in pubblico, e senza anestesia, perché così fa un combattente ceceno. La sua leggendaria prodezza si piegò dopo quell’effimera tregua agli azzardi più loscamente provocatori e alle gesta più infami, fino a Beslan. In lui la virile audacia personale ha mostrato oltre ogni misura la vicinanza, e poi lo sconfinamento, nella brutalità più ripugnante. Beslan, appunto, e prima il plagio o la violenza su donne mandate a uccidere e uccidersi. Nessuna nefandezza è ormai fuori dalla portata di Basaev e dei suoi. Dapprincipio né Basaev né Maskhadov erano così fervidi islamisti. Basaev lo diventò, in uno dei suoi travestimenti da avventuriero. Maskhadov non lo diventò mai, ma vi cedette con una incresciosa riluttanza, quando si rassegnò all’introduzione della sharia, e poi quando la resistenza armata diventò sempre più tributaria del sostegno arabo. [...] Basaev era l´idolo della sua gente, aveva trent’anni, si illuse che la devozione popolare per il figlio eroe si traducesse nel voto. Ma i popoli, anche il ceceno, sono romantici e saggi insieme. Abbracciano Basaev con le lacrime agli occhi, e votano per il grigio e responsabile Maskhadov. [...] L’affidabile Maskhadov sconfisse nettamente Yandarbiev, che doveva la sua poca reputazione alla successione provvisoria a Dudaev assassinato. Dopo, per un breve tempo, la Cecenia di fatto indipendente dovette misurarsi con se stessa, mentre i generali umiliati di Mosca covavano la vendetta, e si preparava l’ora di Putin. Con quella specie di pace la leggendaria unità dei ceceni di fronte al secolare nemico russo andava in pezzi, nel feudalesimo dei signori della guerra e la sfrenatezza criminale delle bande armate. Basaev oscillò per qualche tempo fra l’affarismo privato e la corresponsabilità col nuovo Stato, e arrivò fino a diventarne il primo ministro. Fu lui, e il vanesio emiro Khattab, a scatenare la demenziale impresa daghestana, fallita e ridicolizzata, ma bastante a dare al Cremlino l’occasione che aspettava. Poi Maskhadov restò il più autorevole leader del suo popolo, ma il suo prestigio era ormai ferito dalla prova mancata della presidenza e dalla debolezza nei confronti dell’avventurismo islamista. Non cessò mai di chiedere una soluzione negoziata, ai russi e a Putin personalmente, e all’Onu, all’Europa, agli Stati Uniti. Se avesse trovato una sponda appena salda, la sua leadership avrebbe ripreso vigore, e la sua condanna dell’estremismo si sarebbe sbarazzata dei compromessi. Nei suoi appelli sempre più frustrati, Maskhadov arrivò a sottoscrivere dichiarazioni non-violente, incredibili ad ascoltarsi in quel Caucaso e in quelle circostanze. Si nascondeva da sei anni nella sua terra bruciata, e intanto i capi russi lo presentavano al mondo come il più pericoloso dei terroristi, gli mettevano addosso una taglia di decine di miliardi, lo additavano come un accolito di Basaev. Ogni tanto fra gli ”esperti” e fra gli appassionati al destino ceceno (e dunque russo, dell’altra Russia), gruzzolo di persone sempre più sfiduciate e amare, rinasceva la voce che stessero per aprirsi trattative fra Putin e Maskhadov, anzi che si fossero già segretamente incontrati, che da un momento all’altro sarebbe arrivata la svolta. [...]» (Adriano Sofri, ”la Repubblica” 13/3/2005). «[...] L’ultimo presidente eletto democraticamente in Cecenia prima dell’occupazione militare russa nel 1999, era il riferimento politico della guerriglia e della popolazione decisa a conquistare al tavolo delle trattative l’indipendenza da Mosca. ”Era il solo - dice Anna Politkovskaia, maggiore esperta della guerra cecena, più volte a colloquio con il leader ucciso - a tenere accesa la speranza del dialogo. Ci era riuscito nel ’96, firmando la pace di Khassavjurt con Eltsin. Da settimane aveva rilanciato l’offerta, senza condizioni. Lo hanno tradito e ucciso per scongiurare l’accordo, sostenuto dalla comunità internazionale [...]”. Ex colonnello dell’Armata rossa sovietica, Maskhadov era l’anima dell’ala moderata dei ribelli. Da dieci anni ”il politico” si contendeva la leadership con Shamil Basaev, ”il guerriero” legato al radicalismo islamico, capo militare della guerriglia e uomo di collegamento con Al Qaeda. A differenza di questi, Maskhadov ha sempre condannato gli attentati terroristici, prendendo le distanze sia dall’assalto al teatro Dubrovka di Mosca che dalla strage dei bambini di Beslan. Intransigente solo nel pretendere l’indipendenza della Cecenia, sosteneva la via del compromesso. I ripetuti appelli, l’ultimo a febbraio con la proclamazione unilaterale di un cessate il fuoco di due settimane, sono però caduti regolarmente nel vuoto. Vladimir Putin, dopo che la Russia aveva sostenuto Maskhadov fino a imporlo a Grozny come presidente alla morte di Dudaev, ha sempre escluso la possibilità di una discussione. ”Con i terroristi non si tratta - la frase rimasta celebre - li staneremo per scannarli anche sulla tazza del cesso”. Con il ”cattivo” Basaev, Maskhadov il ”buono” era così diventato l’uomo più ricercato di Russia, con una taglia da 20 milioni di dollari sospesa sul capo. Figura leggendaria, era l’eroe positivo delle storie sussurrate la sera in Caucaso, nei villaggi privi di luce elettrica. Era nato in Kazakhstan [...] dove la sua famiglia era stata deportata da Stalin. Aveva sei anni quando i genitori, membri di uno dei nove clan più antichi e importanti della Cecenia, erano tornati nel villaggio natio di Zebir-Iurt, nel nord verso l’Inguscezia. Padre di due figli, diplomato all’accademia militare di Tbilisi e Leningrado, aveva bruciato le tappe della carriera. Estremo Oriente e Ungheria, quindi l’inutile tentativo di repressione della secessione in Lituania. A Vilnius, Gorbaciov gli aveva affidato l’attacco dell´esercito contro la popolazione che aveva proclamato l’indipendenza. Un paradosso del destino, per il giovane colonnello sovietico che l’anno dopo sarebbe diventato il combattente per la liberazione della sua Cecenia. il 1992: esplode la rivolta e Maskhadov torna a Grozny. L’ex generale dell’aviazione dell’Urss, Dudaev, proclama l´indipendenza e sposa la fede islamica. Maskhadov si schiera al suo fianco e per sei anni diventa il capo delle forze armate indipendentiste. Assassinato il primo presidente separatista, conquista la fiducia di Mosca grazie alla pace raggiunta con il generale Lebed e nel ’97 batte il duro Basaev alle presidenziali. Il Paese però si frantuma per le guerre tra i clan. Il presidente del dialogo è costretto a cedere alle milizie guerrigliere del leader del kalashnikov: lascia spazio a Basaev, proclama la ”guerra santa” in tutto il Caucaso, rinuncia ad arginare le infiltrazioni di terroristi talebani e arabi. Nessuno lo riconosce più quale rappresentante di uno Stato sovrano: il Cremlino lo definisce ”una marionetta nelle mani dei guerriglieri fondamentalisti” e lo scarica. Riesplode la guerra dichiarata da Putin e Maskhadov deve darsi alla macchia. Anni in fuga, nascosto, affidando i suoi appelli al portavoce Akhmed Zakhaev, riparato a Londra. [...]» (Giampaolo Visetti, ”la Repubblica” 9/3/2005). «Lo hanno tradito tre dei suoi uomini più fidati. ”L’8 marzo attaccherà a Tolstoi-Iurt. Vuole distruggere il palazzo del governo e la centrale di polizia. Sono in quaranta: sarà una strage”. [...] le guardie del corpo cecene erano cadute nella trappola di Ramzam Kadyrov, figlio del presidente assassinato in maggio. Non hanno retto al trattamento in carcere. Alla testa di 5mila miliziani assetati di sangue, il giovane Ramzam viene usato dal Cremlino per le faccende sporche. morto così Aslan Maskhadov: per una soffiata partita da uomini stremati dalle ”cure” del ragazzo che aveva giurato di vendicare il padre. Quando ieri ha raggiunto la cittadina cecena al confine con la regione di Stavropol, il presidente travolto dall’esercito di Putin ha trovato l’esercito e i servizi segreti russi ad aspettarlo. Il suo commando, già dall’alba, è in rotta. Sono le 8. I reparti speciali e gli speznaz di Mosca circondano una casa contadina. Nel cortile, un’apertura di un metro per un metro. Un uomo del villaggio indica al generale Ilja Shabalkin quello che sembra un tombino. il bunker dove si nasconde il leader politico della guerriglia, l’ideologo dell´indipendentismo della terra più insanguinata del Caucaso. Viene scoperchiato. Una scala di 12 gradini conduce a un breve cunicolo e a un covo sotterraneo. Una scatola di cemento armato, tre metri sotto il suolo. Nessuno risponde ai richiami delle teste di cuoio. Una bomba fa saltare tutto. [...] Maskhadov, ufficialmente, viene travolto e ucciso dall´esplosione. Un’ora dopo la sua salma rivede la luce: sono passati cinque anni dal giorno in cui era scomparso per fuggire i carri armati del Cremlino, per combattere in montagna e lanciare i suoi appelli per una ”soluzione politica” della guerra. Viene esposto nel cortile, perché tutti lo vedano e riferiscano: solo, inzuppato di sangue, ripreso dalle telecamere. Attorno, dal rifugio sventrato e dalla casa fatta esplodere, compaiono decine di armi, bombe a mano, proiettili. Viene ripresa anche una stampante, decine di cellulari, la bandiera dell’Ichkeria libera accanto alla quale Maskhadov era solito farsi fotografare. Le prove russe del presunto attacco sventato. L’esercito di Mosca si getta alla caccia dei terroristi in fuga nella foresta. Vengono catturati i quattro consiglieri personali di Maskhadov. C’è anche Murdascev, il generale già a capo del fronte di Gudermes durante il primo conflitto. [...] Le autorità di Grozny assicurano che l’obiettivo era catturare Maskhadov vivo. ”Un aiuto prezioso - si confida ai vertici dell”Fsb - ma pure un prigioniero troppo ingombrante. Diciamo che è caduto in combattimento”. Le versioni non concordano. Shabalkin parla di morte per esplosione, Kadyrov dice che il presidente guerrigliero è stato ucciso per errore da un compagno. Ambienti vicini alla guerriglia parlano di ”suicidio per non finire nelle mani dei russi”. [...]» (Giamapolo Visetti, ”la Repubblica” 9/3/2005). «Per Aslan Maskhadov incontrare dei giornalisti era complesso quanto un’offensiva militare. Nel 1999 la ”pace” negoziata dal generale Alexandr Lebed per conto del presidente russo Boris Eltsin era già caduta. I russi stavano per riconquistare Tolstoy Yurt, dove [...] Maskhadov sarebbe stato ucciso, e i reporter dovevano essere ”scambiati” sulla linea del fronte da qualche ceceno d’Inguscezia sulla base di garanzie d’onore familiare. Il presidente eletto due anni prima in modo democratico (lo certificarono osservatori indipendenti), si impegnava a difendere loro, come se stesso, sia dalle bombe russe sia dai tagliatori di teste fondamentalisti. Già allora il leader della Cecenia ribelle era ”un morto che cammina”, sopravvissuto ad una mezza dozzina di attentati. [...] Nel ’99 la lunghezza della sua barba dipendeva dal tempo trascorso quella mattina allo specchio. Dopo aver perso Grozny per la seconda volta (febbraio 2000), la barba divenne invece una dichiarazione di fede. [...] ex ufficiale d’artiglieria dell’Armata Rossa, non sapeva recitare neppure una sura del Corano. Fu la rincorsa ai finanziamenti dell’’internazionale islamica” e al favore dei mujaheddin combattenti a costringerlo ad atteggiarsi a musulmano e a farsi crescere almeno una barba corta e ben curata. Una barba ”trasversale” alla Hamid Karzai. Nel ’98, per prendere le distanze dal caos senza legge che dilagava nella sua Cecenia, Maskhadov parlò di ”infiltrazione di arabi wahabiti”. A Gudermess (uno dei santuari montani della guerriglia) fece sterminare un gruppo fondamentalista. E l’anno seguente fu i l terrorista Ibn Al Khattab (giordano e affiliato ad Al Qaeda [...]) a firmare un agguato ai suoi danni. Al Khattab fu ucciso dai russi tre anni dopo e il ruolo di referente dell’estremismo islamico passò al ceceno Shamil Basayev. Dalla morte del giordano, secondo Mosca, Basayev e Maskhadov si erano fusi in un unico mostro bifronte. Il presidente recitava da ”moderato”. La sua ”voce” in occidente era Akhmed Zakayev, ex combattente rivestito in giacca e cravatta e pronto a denunciare in conferenza stampa gli abusi russi. Il sempre più barbuto Basayev, invece, si caricava sulle spalle il biasimo russo e occidentale per le stragi (dall’ospedale di Budinnovsk alla scuola di Beslan), ma allo stesso tempo intascava i miliardi dell’integralismo islamico. Che poi divideva con Maskhadov. [...]» (Andrea Nicastro, ”Corriere della Sera” 9/3/2005). «[...] Yasser Arafat morendo ha avuto diritto a tutti gli onori tributatigli da Francia ed Europa. Il presidente ceceno, che non ha mai invocato massacri di civili, morirà come ha combattuto, da solo. Abbandonato da tutti, isolato sulle sue montagne ribelli, Maskhadov non ha esitato a condannare la presa d’ostaggi del teatro di Mosca e l’orrore di Beslan. Esattamente come aveva fatto con gli attentati dell’11 settembre. Eroe indipendentista, ha proposto un piano di pace anti terrorista che rinviava la questione dell’Indipendenza. In nome della pace. Il piano prevedeva la smilitarizzazione di tutti i combattenti sotto controllo internazionale. Eppure Onu, Ue, Osce, Nato, non si sono degnati di discutere [...] Malgrado le operazioni di pulizia, gli stupri, i saccheggi, lo sterminio di un quarto della popolazione (come se in Italia o in Francia fossero stati eliminati tra i 10 e i 15 milioni di individui), malgrado i suoi esuli terrorizzati, la Cecenia resiste, alla barbarie dei russi e alle sirene del fanatismo religioso. Perché tanto accanimento contro una popolazione di un milione di persone ( un tempo)? Perché negarle compassione? L’ostinazione di Mosca non deriva da considerazioni strategiche, né da meri interessi energetici. La principale ragione di tre secoli di guerra coloniale e crudeltà in Caucaso è di natura pedagogica, i grandi poeti russi l’avevano capito. Si tratta di dare un esempio, spiegare ai russi a cosa va incontro chi non rispetta gli ukaze (editti imperiali, ndr). Nel 1818, il generale Ermolov svelava a Nicola I l’essenza di questa lotta: ”Con il suo esempio, il popolo ceceno instilla uno spirito di ribellione e d’amore per la libertà anche nei soggetti più devoti a Vostra Maestà”. Putin ha tradotto nel suo gergo da sottufficiale sovietico la lezione dell’imperialismo zarista: vanno ”inseguiti fin nelle latrine”, questi eterni ribelli. Sì, Aslan Maskhadov aveva le mani sporche di sangue, come i resistenti di Francia e d’ogni dove. Combatteva un nemico armato e ispirato da pulsioni assassine. Ai giorni nostri, non è una bella vita, quella dei veri resistenti. Aslan Maskhadov è morto anche per le nostre incapacità lessicali. Evochiamo il termine genocidio appena possiamo, mai in presenza di un genocidio vero, come in Ruanda nel 1994. Conferiamo la qualifica di ”resistenti” ai salafiti o ai saddamisti che sgozzano gli agenti elettorali e i cittadini iracheni. Ci rifiutiamo, però, di applicare la stessa qualifica ai combattenti per la libertà che non si rassegnano all’estinzione del loro popolo. Rifiutando di vederlo per quel che era, presidente e patriota, i leader occidentali hanno permesso l’assassinio di Maskhadov. [...]» (André Glucksmann, ”Corriere della Sera” 9/1/2005). «Dalla stretta di mano con Boris Eltsin al Cremlino, da capo di Stato a capo di Stato, a una clandestinità da ricercato con taglia sulla testa, dalla presidenza allo scantinato dove ha trovato una morte inevitabile. Aslan Maskhadov ha quasi fatto toccare con mano al suo popolo la libertà per perderla poi in faide, ambiguità e patti col diavolo. Per l’Occidente la faccia scolpita del ”leone” ceceno (questo vuol dire Aslan) con quella cicatrice sopra la bocca un pò da filibustiere, era quella del ceceno dal volto umano, il guerrigliero per la libertà nazionale, l’uomo d’onore da far sedere al tavolo di un utopico negoziato. Per il suo popolo è sempre rimasto un mezzo straniero, un ceceno che non ha mai vissuto in Cecenia, un colonello dell’Armata Rossa che ha portato alla sua patria gloria e disastro. Momenti gloriosi come quella pace di Hasaviurt del 1996 che oggi la Russia vive come un’onta nazionale ma che all’epoca fu un sollievo per russi e ceceni. Pochi giorni prima le truppe di Maskhadov, comandante supremo della guerriglia cecena, riespugnarono con un mirabolante blitz Grozny, da due anni in mano ai russi. Vittoria militare e trionfo politico: in poche ore, dietro a una tavola da backgammon e una bottiglia di rosso, Aslan strappò al generale Lebed un’indipendenza dilazionata in cinque anni. Fu facile, spiegò dopo, con l’emissario del Cremlino ci si capiva perché erano entrambi ufficiali sovietici. Colonello con stella rossa sul colbacco, sradicato e ”sovietizzato”, nato - come tutti i suoi connazionali di quella generazione - [...] nel Kazakhstan, nell’esilio imposto ai ceceni da Stalin. Maskhadov ha visto per la prima volta il Caucaso solo nel 1957 quando Krusciov decretò un ”perdono collettivo” per i popoli invisi al dittatore georgiano. Aslan sembrava la perfetta dimostrazione delle pari opportunità del sistema comunista: scuola di artiglieria a Tbilissi, accademia militare a Leningrado, guarnigioni in Estremo Oriente, Ungheria, Baltico, un giro nel melting pot sovietico che gli ha dato i gradi di colonello (e ovviamente la tessera del pcus in tasca). Un laico che non aveva mai visto il Corano, nel Baltico filoeuropeo Maskhadov comincia a sognare l’indipendenza per il suo popolo. La leggenda narrà che il colonello ceceno si rifiutò di usare le armi contro i ribelli lituani. Tornò a Grozny al servizio del primo presidente indipendentista Dzhokhar Dudaev. E con lo scoppio della guerra nel 1994 la faccia granitica di Maskhadov oscura il profilo da cattivo cinematografico di Dudaev: parla poco, ma agisce e sotto il suo comando i ceceni fermano quell’Armata Rossa che l’ex colonello conosce fin troppo bene. Un grande comandante militare e un leader politico fallimentare. Nella sua qualità di eroe e padre della patria Maskhadov stravince le presidenziali del 1997, ma la sua Cecenia è dilaniata da faide, dominata da bande di sequestratori tagliateste, con la sharia che diventa legge con fucilazioni in piazza. Al Quaeda include il Caucaso nelle sue strategie e Maskhadov si fa crescere una barba (corta) e aggiunge ai suoi appelli all’Europa l’’allah akbar” di rito. Flirta con i taleban (unici a riconoscere la sua libera repubblica di briganti), ma appoggia l’invasione americana dell’Iraq perché rivolta contro un ”dittatore crudele”. Bacchetta Basaev per stragi di civili, ma poi si fa fotografare abbracciato con lui, condanna i kamikaze ma invoca la jihad, formalmente rimane presidente, ma i signori della guerra ormai hanno strategie e finanziamenti in proprio. Forse un gioco delle parti, ma più probabilmente il ”leone ceceno” si era fatto sfuggire di mano definitivamente la situazione. Pochi giorni prima di morire aveva lanciato una nuova proposta di pace a Putin: ”Ma la dirò solo a lui”, aveva risposto a chi gli chiedeva in cosa consistesse. Con il colonello Maskhadov è morto il sogno ”buono” dell’indipendentismo laico e moderato, che preferiva parlare di libertà piuttosto che di Allah» (Anna Zafesova, ”La Stampa” 9/3/2005).