Varie, 8 marzo 2005
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Bolton John
• Baltimora (Stati Uniti) 20 novembre 1948. Politico. Ex ambasciatore Usa all’Onu (2005/2006) • «[…] il neocon per antonomasia, un profeta della esportazione della libertà e della democrazia, un apostolo della guerra preventiva, un feroce critico del Palazzo di Vetro. un uomo di grande franchezza: fu allontanato dal team negoziale con la Corea del Nord dopo che definì ”dittatore e tiranno” Kim Jong Il. Dietro gli imponenti baffi e la risata facile, nasconde una irriducibile determinazione a piegare gli avversari. […] responsabile del controllo delle armi di sterminio, si allineò al vice presidente Richard Cheney, il suo mentore, scontrandosi spesso con […] Colin Powell, e si alienò molti colleghi. […] è molto stimato da George Bush. Il suo carnet piace al presidente: ha lavorato al ministero della Giustizia, dove fu sottosegretario negli anni Ottanta e poi al Dipartimento di Stato, dove all’inizio degli anni Novanta, sotto la presidenza di Bush padre, contribuì a formare la coalizione contro Saddam Hussein nella prima Guerra del Golfo. Avvocato di grido nel ”74 uscì con due lauree dalla prestigiosa università di Yale […] ha dedicato parte della sua carriera alla cooperazione con le Istituzioni internazionali, ora dedicandosi all’assistenza ai Paesi terzi ora al disarmo per conto dell’Amministrazione in carica e conosce, quindi, bene l’Onu. Ma più che un politico è sempre apparso un ideologo. E questo suo tratto si è rafforzato durante la presidenza di Bill Clinton. Emarginato dai democratici, Bolton divenne vicepresidente dell’American Enterprise Institute, un ”pensatoio” repubblicano di Washington, diventando un ideologo del partito come il sottosegretario alla Difesa Paul Wolfowitz e l’ex speaker della Camera Newt Gingrich» (Ennio Caretto, ”Corriere della Sera” 8/3/2005) • «[…] uno che quando sente parlare di diplomazia mette mano alla pistola. […] una faccia sanguigna su cui troneggiano due bei baffoni spioventi, Bolton viene dal famigerato American Enterprise Institute, quello di Paul Wolfowitz, di Richard Perle e degli altri neocon che aveva accuratamente progettato tutto quello che è accaduto dopo l’avvento di questa presidenza con la sola eccezione del nome di chi doveva andare alla Casa bianca. Il nome, non il cognome, perché il vero uomo dei neocon era il ”fratello intelligente”, Jeb Bush. I media […] descrivono Bolton col termine outspoken che sta per schietto, franco, uno che non ha peli sulla lingua, e lui questa caratteristica ha avuto modo di mostrarla ampiamente. Al dipartimento di stato di Colin Powell, che durante la prima amministrazione Bush era visto da tutti come una specie di isola in cui - quantomeno - si cercava di ragionare (salvo poi allinearsi sempre ai voleri del capo), consideravano Bolton una specie di discolo che bisognava sopportare perché non lo si poteva cacciare e cercavano di far finta di nulla quando per esempio minacciava Cuba; fustigava gli europei per l”’attenzione” che mostravano nei confronti della Cina; discuteva dell’Iran in termini di ”quante divisioni ha” o quando diceva che l’unica parola possibile con la Corea del Nord era quella delle armi (tanto che a un certo punto Bush, in una delle rare volte in cui prestò ascolto a Powell, decise di escluderlo dalla delegazione americana nel negoziato con Pyongyang). Per il presidente, però, l’unico vero ”merito” che Bolton aveva era anche il più prezioso. Lui infatti è stato l’unico dei vecchi servitori di suo padre, a non schierarsi contro l’invasione dell’Iraq. Come forse si ricorderà, infatti, nei mesi che precedettero l’inizio di questa avventura tutti gli uomini della Desert Storm, la prima guerra del Golfo, da James Baker a Brent Scowcroft, fino al ”condottiero” di quell’impresa Norman Schwarzkopf, avevano pubblicamente parlato contro quella che a loro appariva un’idea balzana. L’unico che aveva taciuto era stato Bolton, che pure nella Desert Storm si era distinto parecchio in veste di ”stretto collaboratore” di Baker nel mettere insieme l’alleanza che poi cacciò l’esercito iracheno dal Kuwait. […]» (Franco Pantarelli, ”il manifesto” 8/3/2005).