Varie, 6 marzo 2005
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MACRAS Constanza Buenos Aires (Argentina) 1970. Coreografa • «Che si possa partire dall’immagine della Mir, la stazione spaziale sovietica che per più di dieci anni ha orbitato intorno alla terra, e farne una metafora dell’amore, è cosa che finisce per sembrarti persino ovvia quando te la racconta Constanza Macras, con gli occhi che brillano mobili e la mimica molto latina
MACRAS Constanza Buenos Aires (Argentina) 1970. Coreografa • «Che si possa partire dall’immagine della Mir, la stazione spaziale sovietica che per più di dieci anni ha orbitato intorno alla terra, e farne una metafora dell’amore, è cosa che finisce per sembrarti persino ovvia quando te la racconta Constanza Macras, con gli occhi che brillano mobili e la mimica molto latina. Si inizia con lo spirito eroico della conquista, dice la coreografa - ma il vero eroismo è resistere, sopravvivere, restare lì. E quando l’amore finisce, resta anche una sorta di nostalgia non diversa da quella che ha accompagnato, a est, la scomparsa dell’Unione sovietica. Restano soprattutto i detriti dell’amore, le piccole cose senza valore accumulate durante l’amorosa convivenza. Un oggetto, un biglietto, una canzone. ”La memoria è fragile, la spazzatura invece rimane sempre”, conclude a mo’ di epigrafe. […] C’è danza e teatro, nel suo lavoro. E sottolinea la congiunzione, a rimarcare la distanza dal classico Tanztheater di scuola tedesca. Nella sua compagnia ci sono artisti che provengono da discipline diverse, un nucleo fisso cui si aggiungono di volta in volta altri protagonisti, come i bambini figli di immigrati di Scratch Neukölln. Per tutti lo sforzo è di apprendere le competenze degli altri. ”Non mi interessa l’estetica del movimento in se stesso - dice - il movimento è un linguaggio e naturalmente produce un’estetica ma l’estetica viene dopo”. Tutti gli interpreti sono coinvolti nel lavoro che nasce sempre da una fase di accumulo di materiali. […] ”Ho cominciato studiando la moda e la danza, nella mia testa erano le due cose che volevo fare. A sedici anni avevo già un piccolo gruppo con cui facevamo dei fashion show. Adoro la moda, ma poi ho dovuto scegliere e il mio sogno era entrare nel mondo della danza. A ventidue anni ho lasciato l’Argentina, l’avevo già deciso da tempo. All’inizio sono andata ad Amsterdam. stato molto duro, non conoscevo nessuno, ero tutta sola, è passato parecchio prima che cominciassi a dire quattro parole a qualcuno. Ho fatto la mia prima audizione al Nederland Danse Theater, c’erano quattrocento persone, ero choccata da tutta quella gente. Ad Amsterdam ho passato molto tempo cercando di imparare. Ci sono delle biblioteche molto buone di teatro e danza, ho imparato molto semplicemente guardando dei video di danza contemporanea. In Argentina avevo studiato la danza classica che è così vecchia Russia”. Da Amsterdam a Berlino. Passando per New York, per quattro anni Macras va avanti e indietro fra Europa e America. Quando arriva per la prima volta a Berlino, pensa di aver trovato il posto dove vivere. ”Era il ”94, le differenze fra est e ovest erano ancora molto visibili. Era un luogo molto vivo, dove tutto stava cambiando. Mi sono messa a cercare un lavoro e all’inizio non l’ho trovato. Dopo la caduta del muro, molti dei finanziamenti destinati alla cultura venivano ridotti […] Io ho messo su la compagnia davvero con nulla, ho lavorato per quattro anni senza soldi, facevo la cameriera a New York per guadagnare dei soldi, poi tornavo a Berlino e montavo uno spettacolo. Ho avuto aiuti dai miei colleghi, senza questo non avrei potuto continuare. Ma per anni non abbiamo avuto finanziamenti pubblici perché nella commissione che decide le sovvenzioni c’è un giornalista che detesta il mio lavoro, un vero pregiudizio. […] Quando da giovane ho visto per la prima volta Pina Bausch, il mio cuore ha fatto un salto. E ancora oggi adoro Pina Bausch, ha una forza incredibile, penso che ogni sua creazione sia geniale. Per me è un’ispirazione, un universo. Ma Pina Bausch è Pina Bausch, tu non puoi fare le stesse cose, devi cercare il tuo cammino. Io amo molto il teatro, mi piace anche leggerlo, perché ho subito in mente la messinscena. E mi piace il video, avevo comprato una videocamera e mi ero messa a filmare quello che succedeva per strada. La vita urbana offre una drammaturgia molto speciale, ci sono tante storie che passano davanti ai tuoi occhi. Cose incredibili, poetiche. Per questo lavoro con queste cose che sembrano trash ma sono la vita”. […]» (Gianni Manzella, ”il manifesto” 27/2/2005).