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 2005  marzo 06 Domenica calendario

JUARY (Jorge dos Santos Filho). Nato a São João do Meriti (Brasile) il 16 giugno 1959. Calciatore

JUARY (Jorge dos Santos Filho). Nato a São João do Meriti (Brasile) il 16 giugno 1959. Calciatore. Inizia nelle giovanili del Santos debuttando nel ’76. Nel ’79 va in Messico, all’Università di Guadalajara. Nel 1980 sbarca in Italia, all’Avellino. Due le stagioni in Irpinia: 34 gare e 13 gol. Nel 1982/83 è all’Inter: 21 presenze e 2 gol. Nell’83/84 è ad Ascoli (27 gare, 5 gol). L’ultimo torneo italiano, in A, è con la Cremonese (19 presenze e 2 gol). Nel 1985 il Porto, dove resta tre stagioni e vince la coppa Campioni ’87. Un anno al Boavista, poi il ritorno al Santos. «[...] l’usanza di festeggiare il gol facendo un paio di giri attorno alla bandierina del corner, gesto che rese popolare Juary nell’Italia degli anni Ottanta. [...] Avellino è stata la prima Italia di Juary, che in seguito giocò nell’Inter e nel Porto [...] Che personaggio, Juary. Un giorno di tanto tempo fa consegnò una medaglia d’oro a don Raffaele Cutolo, boss della camorra, perché così gli disse di fare don Antonio Sibilia, all’epoca padre padrone dell’Avellino. Di recente, durante un viaggio in Irpinia, ha incontrato don Vitaliano della Sala, il prete ”no global”. Juary è trasversale, come il ballo della bandierina, da tutti apprezzato. A proposito, come nacque? ”Nel ’78 ero al Santos e durante una partita al Morumbi di San Paolo segnai un gol: anziché alzare le braccia, puntai la bandierina del corner e ci girai attorno. La gente impazzì. Un gesto spontaneo, non studiato. Poiché piacque tanto e mi portava bene, lo rifeci”. Juary giura che nessuna ”macumba” si celava dietro tale rito, ma i fotografi al seguito dell’Avellino dei favolosi Ottanta raccontano che ogni volta, oltre a ballare, Juary declamava una formula, una specie di cantilena misteriosa. Lasciata la Campania, Juary si trasferì al Nord, all’Inter, che in realtà voleva l’austriaco Schachner. Non andò bene: ”Vivevo a Como, bella località sul lago, ma faceva un freddo bestiale. Era nata mia figlia Marcela e dormivo male, la piccola ci svegliava ogni notte. Milano era una città troppo grande, mi sentivo solo, mi mancava il calore della gente del Sud”. Una brutta stagione, segnata da tante domeniche in panchina. Due i giri attorno alla bandierina, poca roba. Poi la storiaccia della partita col Genoa, la vittoria dell’Inter per 2-3 con gol di Bagni all’85’ e con Juary che rilasciò un’intervista per dire che negli spogliatoi di Marassi, a incontro finito, successe di tutto. La gara era stata taroccata nel senso del pareggio, ma qualcosa andò storto. Juary era riserva. [...] Juary, però, conserva buoni ricordi dell’ambiente dell’Inter. ”Beccalossi, Bordon, Collovati, Oriali, Marini: tutti miei amici. Erano i tifosi a non amarmi, ma io nel gruppo stavo bene. Certo, ad Avellino ero un re, all’Inter uno dei tanti”. All’epoca si parlò di razzismo strisciante: ”Mai sofferto di discriminazioni. La moglie del presidente Fraizzoli, la signora Renata, mi trattava bene e così gli altri”. Nell’estate del 1983 il trasferimento ad Ascoli: ”La salvezza, perché incontrai Carlo Mazzone, allenatore che mi insegnò tanto. E lo stesso fece Emiliano Mondonico alla Cremonese”. Due annate in provincia, che sembravano preludere a un inabissamento nei fondali del sistema calcio, e nel 1985 la svolta: Juary al Porto per la miseria di 40 mila dollari. Pensare che Sibilia aveva versato 600 mila verdoni per strapparlo ai messicani dell’Università Guadalajara e che Fraizzoli lo aveva valutato 4 miliardi e mezzo di lire. Juary al Porto diventò campione d’Europa. Gol di Juary e dell’algerino Madjer, detto il Tacco di Allah, nella finale di coppa Campioni vinta per 2-1 contro i tedeschi del Bayern, a Vienna, il 27 maggio ’87. L’unica volta in cui Juary ignorò la bandierina: ”Segnata la rete mi inginocchiai e pregai [...]” [...]» (Sebastiano Vernazza, ”Corriere della Sera” 22/2/2005).