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 2005  marzo 06 Domenica calendario

SUI JIANGUO Qingdao (Cina) 1956. Artista • «Mao Zedong è sdraiato a occhi chiusi, avvolto in una coperta blu a fiori

SUI JIANGUO Qingdao (Cina) 1956. Artista • «Mao Zedong è sdraiato a occhi chiusi, avvolto in una coperta blu a fiori. Il suo letto è circondato da eserciti. Il pensiero va ai guerrieri di terracotta di Xian che vigilavano sulla tomba dell’imperatore. Invece dei soldati sono dinosauri in miniatura e il grigio della terracotta è sostituito dai variopinti colori dei giocattoli per bambini: 20.000 modellini, ordinati per razze. Da lontano la scena può ricordare un letto funebre di fiori. Ma la composizione delle mandrie di dinosauri che circondano Mao disegna un movimento impetuoso, come fiumi o maree che si scontrano e si fondono. Dall’alto si scopre che quelle masse assomigliano a una mappa delle montagne e delle valli della Cina, si allargano fino a rappresentare una cartografia stilizzata dell’Asia intera, dall’Iraq al Pacifico. […] Si chiama Il sonno della ragione, una citazione dai Capricci di Francisco Goya del 1798. Il sonno della ragione produce mostri era il titolo del disegno (uno scrittore assopito al tavolo di lavoro, circondato da gufi e pipistrelli che agitano il suo incubo) con cui Goya alludeva al Terrore instaurato dalla Rivoluzione francese. La metafora di Sui Jianguo è altrettanto potente. Lo scontro fra le masse dei mostriciattoli evoca i movimenti politici e sociali suscitati da Mao nella sua utopia di una rivoluzione comunista permanente: il periodo dei “cento fiori”, la campagna di epurazione dei revisionisti di destra, il grande balzo in avanti degli anni Cinquanta, la rivoluzione culturale del 1966-76. I conflitti cruenti orchestrati dai sogni ideologici di Mao si riflettono nel flusso dei dinosauri che inondano la Cina come colate di lava. È una visione apocalittica di distruzione e violenza. È in contrasto con la maestosa serenità del sonno del Grande Timoniere, il suo divino distacco dai cataclismi che ha scatenato attorno a sé: fa pensare alla salma del vero Mao, imbalsamata e visitata da milioni di turisti ogni anno nel mausoleo di Piazza Tienanmen a Pechino; ma anche a un’altra immagine della cultura orientale, il Buddha coricato in nirvana. “Mao fu rappresentato come un Dio. Adesso che l’ho messo a riposare, finalmente posso crescere” scherza Sui Jianguo. Questa sua prima esposizione personale fuori dalla Cina (qualche sua opera era già stata esposta a Parigi in mostre collettive) è l´occasione per far scoprire all´Occidente uno dei più interessanti esponenti di tutta l´avanguardia artistica cinese, con l´eccellente commento del curatore Jeff Kelley. Nato nel 1956 a Qingdao nello Shandong, educato nell’estetica propagandista del “realismo socialista”, Sui appartiene alla generazione che ha vissuto in pieno la transizione da una società chiusa all’attuale neocapitalismo, dove l’ideologia comunista ha lasciato il posto a un impasto di darwinismo sociale e nazionalismo. Paradosso vivente, Sui è il direttore del dipartimento di scultura all´Accademia centrale delle Belle arti di Pechino: in origine l’istituzione votata a custodire l’ortodossia estetica. Che non sia così lo rivela lo spostamento della sede dell’Accademia, traslocata dal centro di Pechino alla “798”, la ex fabbrica militare occupata dagli artisti di avanguardia che negli ultimi anni è diventata il Greenwich Village di Pechino. Negli enormi hangar abbandonati dall’industria bellica il cantiere di Sui sforna le sculture che lo hanno reso celebre, per l´ironia con cui si è impadronito dell’iconografia di regime rovesciandola in un gioco di allusioni maliziose e di critica sociale. Una delle sue opere più significative non può viaggiare all’estero ma è riprodotta nel catalogo dell’Asian Art Museum: è la statua di un moderno manager cinese che attraversa il fiume Lijiang a Guilin parlando al telefonino, un’altra deliziosa citazione di rappresentazioni di Mao (e della sua leggendaria nuotata) aggiornata a un’epoca in cui il businessman è il nuovo profeta rivoluzionario della nazione. Agli americani Sui Jianguo ha mandato invece un simbolo che capiscono benissimo. Perché lo vedano tutti lo ha collocato all’aperto, sulla piazza davanti all’Asian Art Museum che guarda il cupolone del Civic Center di San Francisco. Rinchiuso dietro le robuste sbarre di ferro di un gabbione rosso è un gigantesco Tyrannosaurus Rex, rosso fiammante anche lui, con stampato sulla pancia a lettere cubitali “Made in China”. Visto nei cortili della 798 a Pechino quel feroce mastodonte estinto può suggerire la sorte che forse un giorno toccherà al partito comunista. Esportato oltre il Pacifico il mostro che si agita nella gabbia fa pensare a tutt’altro: la minacciosa ascesa del nuovo dragone cinese, la superpotenza che turba il sonno dell’America. Il linguaggio di Sui è più giocoso che predicatorio. Dopotutto i suoi dinosauri sono repliche pop dei giocattoli per bambini lanciati dai disegni animati giapponesi (Godzilla) e da Hollywood (Jurassic Park di Spielberg). Il suo umorismo si scatena nelle statue che replicano lo Schiavo Morente e lo Schiavo Ribelle di Michelangelo, “vestiti” con le divise maoiste: il nudo classico è represso e censurato dall’abbigliamento asessuato e puritano delle Guardie rosse. In un’altra opera quel vestito appare da solo: una lunga serie di immense giacche di Mao colorate, rigide e vuote, senza testa e senza corpo dentro. “L’utopia ormai è un guscio vuoto” traduce Sui. “Quegli spazi vuoti nelle divise alludono alla domanda che si pongono molti cinesi oggi: quali valori dovrebbero riempire i templi in rovina del maoismo?”» (Federico Rampini, “la Repubblica” 5/3/2005).