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 2005  marzo 06 Domenica calendario

Endrigo Sergio

• Nato a Pola (Croazia) il 5 giugno 1933, morto a Roma il 7 settembre 2005. Cantante. Autore. Figlio di un cantante lirico, comincia a cantare musica leggera a Venezia nel 1954 e ad incidere i suoi primi dischi all’inizio degli anni ’60. «[...] uno dei cantautori storici, compositore e interprete di splendide canzoni come Io che amo solo te, Lontano dagli occhi, Via Broletto 34, Mani bucate, Teresa, Ci vuole un fiore, personaggio che ha avuto grande popolarità e vinto un Sanremo (con Canzone per te , cantata in coppia con Roberto Carlos) [...] ”Sono stato messo in disparte quando avevo solo 50 anni. Dall’80 al 95 ho buttato via cinque dischi di inediti, praticamente neppure messi in commercio. Il mondo della discografia è profondamente degenerato. Quando cominciai c’era gente come Nanni Ricordi che si occupava di poesia e lanciò Tenco, Paoli, Jannacci. Oggi ci sono venditori di carta igienica e chi fa il mestiere di produttore lo interpreta alla Vanna Marchi [...] Quando scrissi Io che amo solo te , dedicata a una segretaria della Rca di cui mi ero innamorato, il direttore delle vendite la bocciò perché allora andavano di moda quelle che si chiamavano le ’sedakate’, le canzoni alla Neil Sedaka. Andai allora da Ricordi e lui la pubblicò [...] diventai mascotte della Decima Mas, arruolato nella caserma di quel corpo speciale. Avevo 12 anni, nei film Luce si vedeva la Hitlerjungend e noi adolescenti eravamo suggestionati”» (Marco Molendini, ”Il Messaggero” 21/2/2005). «Era orgoglioso di due versi: ”La solitudine che tu m’hai regalato/io la coltivo come un fiore”. La solitudine, l’isolamento che gli aveva regalato l’industria discografica l’aveva vissuta con il sorriso amaro e la dignità dell’hombre vertical che è stato, di una vita vissuta senza inchini e patteggiamenti. Orfano di padre a 6 anni, profugo da Pola a 14, cacciato da un collegio per profughi a Brindisi a 17, i segni e i sogni di un uomo. Anche lui, aspirante postino, cameriere d’albergo, innamorato della canzoni di Bing Crosby, esce da quella grande covata che fu la Ricordi (e Nanni Ricordi in prima persona). Endrigo ci arriva nel ’60, prima cantava nel complesso di Riccardo Rauchi. Un tipo lungo, dall’aria un po’ triste ma perbene, una vaga somiglianza con Serge Reggiani. In quegli anni nella covata si schiudevano le uova di Paoli, Tenco, Lauzi, Gaber, Bindi, Gianco, Jannacci. Tutti lì. E nessuno uguale all’altro. Endrigo era il più diverso di tutti. [...] Le canzoni d’amore quand’era innamorato e giovane (La periferia ispirata da una commessa, Adesso sì da una ballerina di night), le canzoni per bambini scritte quando sua figlia (che gli è stata vicina fino all’ultimo) era bambina. Le canzoni brasiliane scritte nel periodo brasiliano (’La vita, amico, è l’arte dell’incontro”). Vinicius de Moraes e Toquinho gli dedicarono due canzoni, ed è il solo italiano presente con un doppio cd nella collana ”A arte de...” con canzoni italiane. Era l’unico italiano [...] nei jukebox di Cuba. D’altra parte a chi sarebbe venuto in mente di cantare una poesia di Josè Martì? Solo a un ex ragazzo che si consumava gli occhi col lume a petrolio, in una soffitta di Pola, per leggere Salgari, Cronin. A quale cantante sarebbe venuto in mente di produrre due 33 giri di poeti (Biagio Marin e Ignazio Buttitta)? O di mettere in musica Pasolini (Il soldato di Napoleone)? Adesso credo che si possa parlare di realismo lirico per le sue canzoni. Cantante dell’amore (’io mi fermerò e ti regalerò quel resta della mia gioventù”), ma anche del disamore: ”il nostro amore non appartiene al cielo, noi siamo qui tra le cose di tutti i giorni”. L’amore più terreno che celeste (La brava gente, Viva Maddalena, Teresa). Su questa strada si muovevano anche Paoli (Il cielo in una stanza) e Tenco (Io sì, Se tu fossi una brava ragazza). ”Non avrei mai scritto Viva Maddalena se non avessi ascoltato Brel”, diceva, ed era vero. Canzoni d’amore con carica di rabbia, o in punta di piedi tra surrealismo e finale tragico (Via Broletto, 34). Canzoni politiche (Anch’io ti ricorderò, Camminando e cantando, La ballata dell’ex). Canzoni ecologiche (L’arca di Noè). Canzoni attaccate alla vita, non solo all’amore. Era il più francese, per ispirazione e linguaggio, dei nostri cantautori. Ma senza la carica teatrale di Brel, senza i ricami metrici e lo spirito da gaulois controcorrente di Brassens e probabilmente senza la voce di Montand, ma era una bella voce, la sua, perfetta per quello che aveva da dire o da cantare. [...] il più grande, il più completo e il più ispirato di quella covata, altrimenti l’industria discografica non l’avrebbe seppellito con tanto anticipo e tanta meticolosa efficienza. Dal 1980 al 1994 sono usciti cinque album di Endrigo e non se n’è accorto quasi nessuno. [...]» (Gianni Mura, ”la Repubblica” 8/9/2005). «[...] Era troppo serio per partecipare alla grancassa del circo televisivo e i suoi malumori li aveva brillantemente raccontati in un romanzo dal titolo brutale: Quanto mi dai se mi sparo? [...] Era garbato, portava i segni di un’impeccabile educazione da gentiluomo incline a star lontano dalla bagarre ma era anche lucido e determinato nel rivendicare le sue ragioni. [...] A fare canzoni aveva cominciato presto, come tanti si era fatto le ossa nei night club a Milano, dove si era trasferito dalla natìa Pola. Erano anni cruciali. Un pugno di eccentrici e irregolari artisti stavano rivoluzionando gli stereotipi della canzone. Come Dylan in America e Jobim in Brasile, anche in Italia qualcuno si accorse (e in un certo senso lo dovevano al fragore innovativo di Modugno) che attraverso la canzone si potevano cantare emozioni autentiche, sprazzi di poesia, si poteva capovolgere la fatua e inconsistente litania delle vecchie rime. Erano Paoli, Tenco, Lauzi, da Genova, Jannacci e Gaber da Milano, e tra loro si distinse Sergio Endrigo per una splendida nitidezza vocale, per quel suo solido elegante sussurro e anche perché riusciva a portare nella canzone stralci di realtà che nessuno era abituato a immaginare in una melodia di tre minuti. Aria di neve, Via Broletto, Teresa, Te lo leggo negli occhi, Viva Maddalena, erano gioielli in bianco e nero, asserzioni romantiche ma anche crude, malinconiche, sembravano il supporto di un film, di un delicato racconto per immagini che trapassava l’Italia come uno sguardo indiscreto e preciso. La stessa immagine con cui Endrigo si presentava in televisione, al pari degli altri ”disadattati” di quella prima canzone d’autore, era anomala. Non ammiccava, non cercava consensi a buon mercato, esprimeva bellezza, disagio, sentimenti rivoluzionari. Poteva essere un trionfo elitario, ma nei primi anni Sessanta si imbatté in uno di quei pezzi che fanno la fortuna di un cantante: Io che amo solo te con quel geniale incipit che recita: ”C’è gente che ha avuto mille cose, e si perde nelle strade del mondo”. Meraviglie d’altri tempi. Fu un enorme successo popolare, ma Endrigo rimase quello che era, un poeta attento, prezioso, e sulla scia di quel successo arrivò anche a vincere Sanremo con Canzone per te, in coppia con Roberto Carlos. Era il 1968, guarda caso, e molti ancora oggi citano l’episodio come uno dei segni del grande cambiamento che stava avvenendo. Da allora aveva cercato strade sempre più colte, aveva cantato a fianco di Ungaretti e Vinicius De Moraes, aveva sviluppato un suo percorso di recital teatrali, aveva scritto meravigliose canzoni con Gianni Rodari (chi non conosce la filastrocca Per fare un albero ci vuole un fiore?), cantato poesie di Rafael Alberti e Josè Marti. Negli ultimi vent’anni aveva sofferto di oblìo. Anche se l’ammirazione degli appassionati e degli altri artisti non era mai diminuita al punto che Franco Battiato nel suo disco Fleurs aveva cantato ben due delle sue canzoni più belle, Aria di neve e Te lo leggo negli occhi. Ma i suoi nuovi dischi passavano quasi inosservati e per reazione nel 2003 ha pubblicato un album con nuovi arrangiamenti dei suoi vecchi successi, con un inedito, intitolato Altre emozioni. Nel frattempo aveva anche aperto un sito internet (www. sergioendrigo. it) interamente a lui dedicato. L´aveva presentato scrivendo con malcelata emozione: ”A chi vorrà leggere racconterò la mia vita e tutto (o quasi) di me. per me una cosa inaspettata e bellissima”» (Gino Castaldo, ”la Repubblica” 8/9/2005). «Se fosse stato francese gli avrebbero offerto la Legion d’Onore, e la regina Elisabetta lo avrebbe nominato baronetto. Ma poichè era italiano, e né le istituzioni né la cultura ufficiale si sonomai occupati del terreno ”basso” della musica popolare, la memoria della grandissima arte di Sergio Endrigo resta affidata a cultori e divulgatori come il Club Tenco [...] lo scoprirono per caso nel juke box, nei primi Sessanta, a cantare ”Ora son giorni grassi/la Quaresima è finita/ Viva Maddalena che regala notti bianche” o la splendida Via Broletto 34; e lo ricorderanno coloro che hanno sognato su Io che amo solo te, o si sono estasiasi alle note piane di Teresa o Era d’estate. Endrigo, esule di Pola trapiantato a Roma, era di temperamento schivo, riservato emalinconico. Le sue canzoni coltivavano come lui l’understatement, con eleganza innata suscitavano emozioni piane, da cantare sottovoce, lontane dalla baraonda che oggi ci governa. Forse per questo, pur essendo stato uno dei più grandi innovatori della canzone italiana, aveva rinunciato da tempo a tener testa a un mercato sempre più prepotente quanto inconsistente. Nel tempo aveva però saputo sublimare il proprio carattere con piacevoli fughe nell’immaginario più innocente: ed è bello che almeno - nella smemoratezza triste dell’ufficialità - continueranno a cantarlo i bambini, per i quali aveva scritto nei Settanta episodi bellissimi rimasti nell’immaginario collettivo: La casa, famosissima (’C’era una casa molto carina/ Senza soffitto, senza cucina...”); Il Pappagallo, La pulce, La papera, L’arca furono frutti della sua collaborazione con il poeta brasiliano Vinicius De Moraes, mentre con il poeta Gianni Rodari nacquero l’assai cantata Ci vuole un fiore, Napoleone, e molto altro. La produzione di Sergio Endrigo è stata vasta e poderosa. Artisticamente, era figlio della scuderia di Nanni Ricordi, il prodigioso manager che scoprì e lanciò tutta la prima generazione degli esponenti della canzone d’autore italiana, da Tenco a Paoli, da Gaber a Jannacci. Lui stesso ricordava, in una propria autobiografia, di quando stanco di calcare i palchi delle balere e dei night club in varie formazioni musicali decise, a 26 anni, di smetterla con quella vita. Era il 1960. Un provino con il maestro Giampiero Boneschi lo promosse cantante. Ma poi Nanni, che con Franco Crepax stava creando il reparto di musica leggera della Ricordi, gli chiese a bruciapelo: ”Ma lei non scrive canzoni?”. Disse di no, ma andò a casa e simise a scrivere. Per la RCA romana, poco tempo dopo, nacquero a cascata i suoi successi: Io che amosolo te vendette in poco tempo 650 mila copie e lo fece conoscere anche in Brasile, con il quale Endrigo coltivò poi sempre una felicissima collaborazione che affondava nella condivisione della saudade; seguirono appunto Via Broletto, Viva Maddalena, Aria di neve, La rosa bianca da una poesia di José Martì, nata da una collaborazione con Luis Bacalov. Erano, quelli, tempi nei quali la musica d’autore e la letteratura godevano un felicissimo scambio con reciproca soddisfazione. Endrigo fu uno dei protagonisti di questa simbiosi, piaceva ai poeti e i poeti piacevano a lui. Musicò tra le altre una poesia di Pasolini, Il soldato di Napoleone, e una di Rafael Alberti, La colomba. La prima parte dei Sessanta fu fondamentale per la scoperta della creatività di Endrigo. Livello alto di composizione, linguaggio spoglio e di ricercata, sofisticata semplicità, echi letterari, impatto immediato, lo resero subito noto ai giovani studenti affamati di novità. Nella seconda parte del decennio, egli volle invece allargare ulteriormente il campo d’intervento, verso una canzone molto più nazionalpopolare: nel 1966 approdò a Sanremo con Adesso sì, ci tornò nel ’67 con la non eccelsa Dove credi di andare, e vinse finalmente la competizione rivierasca nel 1968, con l’intensa Canzone per te, che cantò in coppia con l’artista brasiliano Roberto Carlos; famosa è rimasta a lungo anche L’arca di Noé (’Partirà, la nave partirà..”) che si classificò terza nel 1970. Uno dei suoi più bei dischi è di quell’epoca, 1969, e s’intitola La vita, amico, è l’arte dell’incontro, realizzato con Sergio Bardotti: musica e poesia, fatto con Vinicius De Moraes, Giuseppe Ungaretti e Toquinho. Ma il mondo andava ormai verso altri lidi. Endrigo denunciò con voce forte di non esser stato seguito promozionalmente per tutta la propria produzione musicale, dai ’70 ai 90. Si consolava tenendo concerti in ogni parte del mondo, soprattutto in Brasile; nel 1995 uscì un suo romanzo dal titolo ciampiano, Quanto mi dai se mi sparo?, dove si vendicava del trattamento subito dalla discografia. La riscoperta della sua opera musicale è partita con Franco Battiato, che nel 2000 incise in Fleurs due sue canzoni, Aria di neve e Te lo leggo negli occhi; nel 2001 il grande tributo del Club Tenco gli ha ridato il posto che gli spettava nell’Olimpo degli autori italiani» (Marinella Venegoni, ”La Stampa” 8/9/2005). «[...] il poeta della canzone per antonomasia. [...] era l’anello di congiunzione fra la musica leggera e il mondo della letteratura e della cultura. Interagì con Pier Paolo Pasolini, Gianni Rodari, Vinicius De Moraes (che gli dedicò Samba para Endrigo) Roberto Carlos, Giuseppe Ungaretti, ma anche con poeti dialettali come Biagio Marin e Ignazio Buttitta. La sua vena intellettuale e malinconica non gli impedì di creare brani molto popolari: Canzone per te che vinse a Sanremo nel 1968, Io che amo solo te, Aria di neve e, molto prima, Via Broletto e Viva Maddalena, su temi di segno opposto, il primo un cupo delitto di gelosia, il secondo spumeggiante. ”Non so da dove venisse l’ispirazione delle mie canzoni - confessò negli anni ’90 -. Credo che affondassero nella mia malinconia austro-ungarica che ha qualcosa in comune con la saudade brasiliana: la consapevolezza della perdita dentro l’intensità di un’emozione”. Sergio Endrigo era nato in Istria a Pola, allora Italia, il 5 giugno 1933. Figlio di un cantante lirico, iniziò studi musicali a dieci anni, ma la lirica non era per lui. Cominciò così a cantare musica leggera nei night e a incidere i primi dischi. Fondamentale l’incontro a Milano con il discografico Nanni Ricordi. ”Dopo aver ascoltato I miei vent’anni, si commosse e mi disse: smettila di fare il cantante da night, canta canzoni tue”, ricordava Endrigo. Ma lo spirito del night aleggia nel primo album, che la critica accostò alla scuola genovese: Paoli, Bindi, De Andrè e Lauzi. Accostamento arbitrario. In realtà Endrigo è un outsider, sospeso in una dimensione fra nostalgia e solitudine che negli anni si esprime su un fronte stilistico vastissimo: Teresa, La prima compagnia, Lontano dagli occhi (seconda a Sanremo 1969), Vecchia balera, Mani bucate, La colomba (su testo di Rafael Alberti, inclusa, in versione tedesca, nel repertorio di Milva), Bolle di sapone (la prima in assoluto pubblicata nel ’60), Adesso Sì, L’arca di Noè (terza a Sanremo 1970). Nel 1970 affronta una delle esperienze più interessanti della sua carriera: un concept album intitolato La vita amico è l’arte dell’incontro realizzato con Toquinho, Vinicius de Moraes e le poesie di quest’ultimo recitate da Ungaretti. L’album piace alla critica, consolida la fama di Endrigo nel Sudamerica, ma in Italia le partecipazioni al Festival non portano a sensibili risultati di mercato. Una storia (1971), Elisa Elisa (’73) e Quando c’era il mare (’76) non ebbero gran seguito. La sua fortuna presso il grande pubblico, dopo gli splendori del 1968-71, venne rinnovata con canzoni per l’infanzia come Ci vuole un fiore scritta con Rodari. Incominciò gradualmente un periodo di oblio, accompagnato da contrasti sempre più forti con il mondo discografico che Endrigo accusava di insensibilità e ostilità nei confronti delle sue proposte artistiche. La sua rabbia culminò nel libro Quanto mi dai se mi sparo, pubblicato all’inizio solo da una piccola casa editrice svizzera. la storia di Joe Birillo, cantante di successo che dopo molti anni buoni va appannandosi senza che egli ne capisca le ragioni, fino a quando prende forma il grande disegno che tiene il lettore sospeso fino alla fine (si sparerà in diretta). Aveva sfiorato anche i fotoromanzi (Bolero Film, nel ’64) e partecipato a un film (Tutte le domeniche mattina di Carlo Tuzii del 1972), ma il cinema lo fece poi soffrire per colpa della causa contro Bacalov per il plagio della musica del film Il postino [...]» (Mario Luzzatto Fegiz, ”Corriere della Sera” 8/9/2005).