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 2005  marzo 06 Domenica calendario

Calipari Nicola

• Reggio Calabria 23 giugno 1953, 4 marzo 2005. Agente del Sismi. Fu ucciso (per sbaglio) dai soldati americani mentre portava all’aeroporto la giornalista del ”manifesto” Giuliana Sgrena, appena rilasciata dai suoi rapitori (colpito dai proiettili mentre le faceva scudo col corpo per salvarle la vita). «[…] Laureato in Giurisprudenza, dice la fredda scheda biografica, ”era entrato in Polizia nel settembre 1979 come commissario in prova e assegnato alla questura di Genova come addetto alla Squadra Mobile. Aveva diretto la Squadra Volanti. Nel 1982 fu trasferito alla questura di Cosenza dove rimase fino al 1989. In questo periodo ha ricoperto vari incarichi fino a dirigere la squadra mobile e a ricoprire il ruolo di vice Capo di Gabinetto. Nel 1988 ha effettuato un periodo di missione di tre mesi per collaborare con la National Crime Authority. Nel maggio 1989 fu trasferito alla Questura di Roma quale addetto e, dal 1993 è stato vice dirigente della Squadra Mobile. Nel 1996 fu promosso primo dirigente e dal marzo 1997 diresse il locale centro interprovinciale Criminalpol. Due anni dopo passò alla Direzione centrale per la Polizia Criminale con incarichi di direttore della terza e della seconda divisione del Servizio Centrale Operativo. Dal novembre del 2000 fu trasferito alla Direzione Centrale per la Polizia Criminale, con la funzione di vice consigliere ministeriale, alla direzione Centrale per la Polizia Stradale, Ferroviaria, di Frontiera e Postale. Nel marzo 2001 passò alla Questura di Roma come dirigente dell´Ufficio Stranieri fino all´agosto del 2002 quando fu collocato in posizione fuori ruolo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri”. Una nota burocratica non può dire come faceva il suo mestiere. Per spiegartelo, accettava di tanto in tanto di fare quattro chiacchiere. Quando era possibile e spesso lo era in orari assurdi. Alle otto del mattino o alle undici di sera. In pieno centro o in un bar di periferia. Sempre di fretta. Non si sapeva mai dov’era, a quale faccenda fosse affaccendato. Per giorni, il suo telefono sembrava muto per sempre. Quando cominciavi a pensare che il numero fosse cambiato, sentivi il suo ”pronto”. Se accettava di incontrarti era per provare a farti entrare nella testa che il Sismi non era quel ”pozzo nero” che siamo abituati a pensare. ”Lo so - ammetteva - non abbiamo un grande storia. Anzi. La storia dell’intelligence italiana è costellata di opacità, di deviazioni istituzionali, di interessi privati, di lavoro spionistico messo a servizio di questo o quel potente. Oggi però non possiamo più permetterci un’intelligence di quel tipo se teniamo alla sicurezza nazionale. Senza intelligence, il Paese è senza bussola. Quei metodi un po’ loschi appartengono a un altro mondo, a un’altra storia. Lentamente bisogna cambiare. Piano, stiamo cambiando”. […] Non mollava. Testardo come un mulo. Testardo come un calabrese. ”Potrei andarmene dal Sismi e confesso che mi capita di pensarci. Poi, però, mi dico: no, non farlo, non devi farlo. Cambia ogni cosa, può cambiare anche il Sismi. Io ho fiducia che ce la faremo ad avere un servizio segreto di cui il Paese possa avere fiducia e rispetto. Già gli americani hanno per noi gran rispetto. Se continuiamo a lavorare così, presto - e sono pronto a scommettere - anche qui da noi l’Italia potrà guardare alla sua intelligence non dico con orgoglio, perché certi pregiudizi sono difficili da rimuovere, ma almeno con affidamento. un fatto che i nostri alleati fanno già affidamento su di noi, anche se voi non lo sapete”. Gli piaceva fare l’agente segreto come aveva fatto il poliziotto. Era stato un poliziotto - in Calabria alla squadra mobile di Cosenza e poi all’antidroga e poi al nucleo di eccellenza (lo Sco) della polizia criminale - capace di credere e dubitare allo stesso tempo. Come tutti i buoni poliziotti. Si accontentava di sapere e mai voleva insegnare. Soprattutto aveva in odio i ”praticoni” e il loro cinismo. Quei tipi che tutto hanno visto, tutto hanno toccato con mano, quei tipi che tutto spiegano e di nulla conoscono il valore perché hanno una pelliccia sullo stomaco. Nicola era contento di non aver il pelo sullo stomaco. Non si vergognava di stare in ansia per gli uomini che gli erano stati affidati o di avere timore di non farcela. […] Toccava a lui rassicurare e informare oltre che venire a capo della crisi. Sembra che tutti lo abbiano apprezzato. […] La morte di Baldoni […] fu per lui una ferita e un dolore autentico. In qualche modo, si sentiva responsabile di non averlo salvato. Quando di Enzo non si seppe più nulla, Nicola Calipari apparve inaspettatamente ottimista. Diceva: ” una storia che contiamo di risolvere presto”. Non volle dire perché. Non volle spiegare che cosa lo rendeva così fiducioso (mai aveva mostrato tanto entusiasmo). ”Abbiamo buone informazioni, vedrete?”. Finì come finì e non si dava pace. Tenne per sé nei giorni che vennero le ragioni di quella sconfitta, di che cosa andò storto. Ogni volta, però, il nome di Baldoni lo azzittiva e non c’era più verso di spiccicargli una parola» (Giuseppe D’Avanzo, ”la Repubblica” 5/3/2005). «Quella faccia ”normale” mostrata nei tg o nelle foto trasmette l’immagine esatta dell’uomo che c’era dietro: una persona mite, di buon senso, senza picchi né cedimenti. Una persona che affrontava ciò che la vita gli metteva davanti con calma e tranquillità. Anche se era un poliziotto, e di momenti tranquilli quel lavoro non ne lascia molti. Però serve affrontarli senza agitazioni e senza isterismi, senza esaltazioni né depressioni; aiuta a essere un buon poliziotto. E questo era Nicola Calipari. Un buon poliziotto che metteva nel proprio mestiere la faccia e l’anima della persona mite e per bene che era. Normale. Fredda o generosa a seconda delle circostanze e del momento, ma sempre con l’obiettivo ”normale” di aiutare qualcuno o risolvere una situazione per il meglio. […] era riuscito a districarsi nel sequestro dei body guard italiani dopo l’omicidio di Fabrizio Quattrocchi. A capirci qualcosa. A contribuire alla loro liberazione. Senza esaltarsi, con un mezzo sorriso e la sigaretta ultrafine in mano: ” andata bene”. Andò bene anche nel caso di Simona Torretta e Simona Pari […] Nato a Reggio Calabria, aveva cominciato a lavorare in polizia a Genova, Squadra mobile e Volanti, e dopo un po’ era tornato nella sua regione, a Cosenza, Squadra mobile e Volanti. A occuparsi di quel che passava la criminalità locale, dai traffici di auto rubate, alla droga, alla corruzione dei funzionari pubblici. Alla fine degli anni Ottanta era arrivato a Roma, Squadra mobile e Volanti. Omicidi, rapine, sparatorie, ”gialli” grandi e piccoli da risolvere, di cui si veniva a capo in un giorno oppure mai. E la parete dell’ufficio di tanto in tanto si arricchiva di un ”encomio” o di qualche altro riconoscimento ministeriale, come capita ai poliziotti ”normali” ma bravi. Quelli che producono sicurezza con il loro lavoro quotidiano, qualche volta visibile, molte altre oscuro. Alla Squadra mobile di Roma, la più prestigiosa per un funzionario della Pubblica sicurezza, era diventato vice capo prima di passare al piano di sopra e dirigere la Criminalpol del Lazio. Anni in cui ha affrontato la criminalità organizzata che allunga i suoi traffici nella capitale, dalla mafia, alla ”ndrangheta, dalla camorra alla ”piovra” russa, o quella che viene dai Balcani. La ricerca dei latitanti, l’arresto del boss di Cosa Nostra Pasquale Cuntrera in Spagna, l’indagine sull’uccisione dell’operatore del Tg2 Marcello Palmisano in Somalia. […] Un eroe che il poliziotto Nicola Calipari non pensava di essere, e nemmeno gli interessava essere. Dalla questura di Roma è passato al Servizio centrale operativo della polizia, nato per affrontare le emergenze in campo nazionale. Quelle serie, come i sequestri di persona o gli omicidi più inquietanti, e quelle meno serie, come i finti sequestri di persona: capitò in Sardegna, con il figlio di un senatore che s’era inventato un rapimento per tentare di risolvere i suoi problemi personali. Calipari intuì ben presto che c’erano troppe contraddizioni, ma l’affrontò con l’abituale attenzione. E pure quella volta che il sorriso era più di divertimento che di soddisfazione per il lieto fine, ebbe un pensiero per l’uomo che ”chissà perché s’è inventato ”sta storia”. E via con un’altra sigarettina. Prima di passare al Sismi è tornato alla questura di Roma a dirigere l’ufficio stranieri, anche lì cose serie e meno serie, come quei ”rimpatri di massa” voluti dal governo per esaltare la lotta all’immigrazione clandestina. Ininfluenti a contrastare seriamente il fenomeno, ”ma che vuoi fà, ci tocca anche questo”. Infine l’incarico al Servizio segreto militare, seppure da civile. Le continue missioni all’estero e l’emergenza irachena, la ”personale sconfitta” confessata dopo l’uccisione di Quattrocchi vista e rivista nel video dell’esecuzione, per carpire qualche indizio che potesse aiutare a far tornare gli altri rimasti in vita, e il successo con le altre liberazioni; la morte troppo veloce dell’ostaggio Enzo Baldoni e il rilascio incruento di Simona e Simona; le collaborazioni e pure i contrasti con gli altri ”mediatori” fino all’ultima faticosa trattativa portata a termine per liberare Giuliana Sgrena. Con l’approccio serio e pacato di sempre. Da buon poliziotto» (Giovanni Bianconi, ”Corriere della Sera” 5/3/2005). «[…] Tutto l’opposto, sembrerebbe, di quanto ci si aspetti da un agente segreto, soltanto muscoli e doppio gioco. Invece no. Perché a trattare con terroristi o briganti, o altri servizi segreti, prima di tutto deve stabilirsi la fiducia. E Calipari era l’uomo giusto per saperselo conquistare, l’interlocutore. Ci sapeva fare. A Cosenza si era misurato con la criminalità organizzata calabrese, il che equivale a un master in criminologia. Alla fine degli Anni Ottanta, era approdato a Roma, uffici della Squadra Mobile. Dapprima, per qualche anno, si era occupato di stupefacenti: dalla postazione della Narcotici si trovò presto a seguire rotte balcaniche e organizzazioni maghrebine. Nel 1993 fu promosso vicequestore e diventò il vice di Rodolfo Ronconi, capo della Squadra Mobile, un altro che farà carriera […] i due arrestarono latitanti. Sequestrarono droga. Risolsero omicidi. Si scornarono però con il mistero della contessa Filo della Torre. Nel ”97, fu nominato capo della Criminalpol di Lazio e Abruzzo, sostituendo Nicola Cavaliere che nel frattempo era diventato questore. Sembrava la sua, una carriera tipica da funzionario di polizia. Due anni a occuparsi di malavita organizzata, altri due vicecapo dello Sco, poi all’Ufficio Stranieri di Roma. Intanto però, incarico dopo incarico, Calipari stava maturando una eccezionale conoscenza del complesso turbolento mondo che è fuori dai nostri confini. A forza di seguire vicende di immigrazione, di traffici, di reti transnazionali, era diventato un’autorità in materia. Se ne accorse il Sismi […] Ad un tratto di Nicola Calipari non si venne a sapere più niente. Non era più al suo posto nell’Ufficio Stranieri. Ma nessuno sapeva, o diceva, dove fosse finito. Ci vorrà qualche tempo per scoprire che quel gentile signore sempre in giacca e cravatta, con il sorriso sulle labbra, un po’ stempiato, l’aria di un italiano tranquillo, era finito a fare lo 007. […] Ci voleva il sequestro delle due Simone, per scoprire dove fosse finito. Fu il giornale del Kuwait, quel quotidiano che improvvisamente cominciò a pubblicare articoli sensazionali su quanto accadeva a Baghdad, a svelare il suo nuovo ruolo. Era diventato l’uomo dei nostri servizi segreti addetto al Medio Oriente. A un certo punto, il quotidiano kuwaitiano scrisse appunto che era arrivato dall’Italia un mediatore, un dirigente del Sismi, e che stava concludendo lui la trattativa per far liberare le Simone. Fece il suo nome, sia pure un po’ storpiato: ”Galipari”. Lui capì che qualcuno s’intrometteva e forse voleva far saltare un canale. Capì anche che ormai la copertura era stata bruciata e che tanto valeva farsene una ragione. Ma le Simone le portò a casa lo stesso. E anche Giuliana Sgrena. A tutti i costi. Ci teneva al lavoro ben fatto» (Francesco Grignetti, ”La Stampa” 5/3/2005).