Varie, 4 marzo 2005
ULTIMO
ULTIMO (Sergio De Caprio) Montevarchi (Arezzo) 21 febbraio 1961. Capitano (poi colonnello) dei carabinieri. Uno degli uomini che arrestarono Riina (vicenda che gli ha anche causato problemi giudiziari per i ritardi nella perquisizione del covo), reso noto al grande pubblico da una fiction tv • «Tienanmen, Toro Seduto, il Che. E un carabiniere ”che se lo vedi non sembra neanche un carabiniere, giubbino di pelle, pantaloni sdruciti, i guanti senza le dita e le sciarpone”, Pino Corrias si blocca, fruga nella memoria a caccia di un’immagine: ”Un ragazzo della contestazione. Ecco a chi assomigliava, Ultimo. Un grande capo carismatico, con una squadra di una decina di ragazzi, Vichingo, Arciere, erano ragazzi sul serio, e lo adoravano”. L’anno è il ’99, ”stavo scrivendo la sceneggiatura per la fiction, e volevo sapere come lavorava, chi era questo tizio che da vent’anni vive in clandestinità, con 7-8 condanne a morte che lo seguono e non vanno in prescrizione”. E il primo incontro tra il giornalista scrittore e il segugio antimafia: ”Entro e vedo questa scrivania con il ripiano di vetro, e sotto, un bandierone con la faccia del Che. Alzo lo sguardo, c’è Toro Seduto, e piazza Tienanmen, l’omino con il sacchetto della spesa che ferma i tank”. Tre personaggi, tre storie, ”quello in cui crede sta lì, ognuno è libero se ha il coraggio di esserlo”. Inutile dire che Corrias all’ipotesi del favoreggiamento non dà corda, ”penso che Ultimo (il nome vero non lo usa mai, ndr) si senta investito da una missione collettiva, combattere la criminalità”. Il rivoluzionario, lo studente di Pechino, il capo indiano, ”Ultimo è un cacciatore solitario, se non è più nel Ros ma al Noe, il Nucleo operativo ecologico, è anche perché ha una concezione individualistica del lavoro: l’uomo solo contro i tank. E nell’Arma, l’iniziativa personale non credo sia molto apprezzata”. Il dubbio sul blitz rimandato si scioglie in un’incomprensione, ”probabilmente pensavano che altri reparti controllassero la casa, e poi c’era lo stress di anni sotto copertura, a fingersi spazzino o barbone”. Insomma, la triangolazione Mori Ultimo mafia a Corrias non torna, ”può darsi ci sia stata una sovrapposizione di livelli investigativi che agivano all’insaputa l’uno dell’altro, che sia stato attivato qualche canale... Però lui ha continuato a fare il capitano, poi è diventato colonnello, ma ha sempre lavorato le sue 20 ore al giorno: se c’era un accordo con la mafia, possibile non gli sia venuto un tornaconto? [...] un giorno se ne andrà a vivere tra gli indiani d’America. Ha già incontrato alcuni capi tribù, è diventato loro amico. Quando tutto sarà finito...”» (Gabriela Jacomella, ”La Stampa” 20/2/2005). «Fino al 25 maggio del 2000 è stato un uomo senza volto, senza identità. Se doveva testimoniare in un’aula di giustizia si copriva con un cappuccio, se doveva prendere un aereo gli sceglievano nome e cognome di fantasia. Per tutti era Ultimo, il nemico dei mafiosi. L’Arma lo aveva sempre protetto, pur sopportando con qualche difficoltà il suo carattere irruente, i suoi modi certamente estranei alla disciplina di una forza armata. Quel giorno Ultimo capì che la fine era arrivata. Un comunicato di venti righe dettato alle agenzie di stampa dal Comando generale dei carabinieri respingeva le sue accuse di essere stato ”lasciato solo e senza mezzi” per combattere le cosche. In quella nota, per ben tre volte, veniva nominato il maggiore Sergio De Caprio. ”L’Arma rompe il silenzio”, titolarono i giornali. Il leggendario capitano Ultimo, ormai era uno dei tanti. La sua battaglia per continuare a combattere la mafia come aveva sempre fatto, era stata interrotta. L’uomo, che dopo aver catturato Totò Riina sognava di poter prendere anche Bernardo Provenzano, fu costretto ad arrendersi. Gli investigatori che assieme a lui avevano passato giorni e notti a dare la caccia al capo della mafia, erano stati quasi tutti destinati a nuovi incarichi. Via Arciere, via Ombra, via tutti, uno dopo l’altro. E alla fine, via anche Ultimo, destinato al Noe, il nucleo operativo ecologico. Lontani, troppo lontani quei giorni del 1993 e soprattutto quel 15 gennaio quando il boss era in una cella e l’Arma celebrò il suo trionfo. Lo smantellamento comincia agli inizi del 1997, anche se allora i vertici dei carabinieri si affrettano a negare che qualcosa stia accadendo. La Crimor, squadra speciale del Ros guidata da Ultimo, viene trasferita a Roma da Milano dove sta indagando sulla ”Duomo Connection”. Ultimo chiede spiegazioni, lamenta la decisione dei vertici di spostare alcuni fra i suoi più fidati collaboratori. ” una scelta operativa – dichiara il colonnello Mario Mori, allora comandante del Ros – non esistono contrasti. Ne abbiamo parlato anche con Ultimo”. Lui non replica ufficialmente. Sa che il suo piccolo gruppo è sempre stato al centro di critiche e invidie. Più volte gli hanno rimproverato i metodi poco ortodossi, il mancato rispetto degli ordini superiori, quella totale autonomia non concessa a nessun altro reparto. E forse anche la popolarità. Intorno a sé sente la solitudine, ma resiste. Dopo l’estate i suoi timori prendono corpo, e si trasformano in una decisione formale. Lui, sempre protetto dall’anonimato, così scrive sul suo sito Internet: ”Oggi, 20 settembre 1997, a conclusione di un progetto portato avanti con costante determinazione, viene sancita dal comando del Ros la soppressione di Crimor, Unità militare combattente. L’egemonismo burokratico celebra se stesso e il suo potere di sovrastruttura fine a se stessa. l’ora di ripiegare soggettivamente su posizioni alternative. Uscendo dai percorsi di lotta alla criminalità mafiosa sento il dovere di ringraziare quegli uomini valorosi con cui ho avuto il privilegio di vivere combattendo. Solo a loro va il mio rispetto più profondo, solo da loro ho imparato molto di più di quanto abbia potuto insegnare, solo per loro i sacrifici di una vita hanno avuto un senso. La nostra presenza costituirà per il futuro un’accusa permanente verso quella burokrazia egemone che non ha saputo combattere, ma ha saputo distruggere quelli che combattevano. Insieme con voi finisce il sogno dei ”soldati straccioni’. Era un bel sogno”. I vertici mal digeriscono la sua reazione, quelle ”k” al posto delle ”c”, quella protesta neanche troppo velata. Lui resiste ancora, sta cercando di prendere Provenzano. Ma dopo tre anni decide di dar retta alla sua rabbia e al suo orgoglio. La richiesta inviata al Comando generale porta la data del 27 marzo 2000. ”Io sottoscritto maggiore Sergio De Caprio..., preso coscienza dell’impossibilità di poter disporre dei requisiti minimi necessari allo svolgimento dell’attività investigativa sotto parametri di professionalità e di sicurezza personale mia e dei militari a me assegnati, ritenendo non più utile la mia permanenza al Ros, chiedo di essere trasferito ad altro Reparto dell’Arma”. Forse in fondo al suo cuore Ultimo spera che l’istanza venga respinta. Il ”no” dei generali servirebbe a dare nuovo vigore alle indagini. Pur di continuare a combattere la mafia, sceglie di mettere a rischio la sua carriera. L’inchiesta sulla mancata perquisizione della villa di Totò Riina è già avviata, ma lui non se ne preoccupa. Pensa al futuro, continua ad inseguire Provenzano. Il 25 maggio il ”Corriere” scrive che Ultimo ha deciso di lasciare. L’Arma risponde con un comunicato ufficiale e svela la sua identità. Dopo pochi mesi il maggiore Sergio De Caprio viene trasferito al Noe. L’11 luglio 2000, quando arriva a Palermo per testimoniare in un’aula di giustizia, non ha più il cappuccio e l’aereo ha dovuto prenotarlo da solo. Il ”soldato straccione” è diventato un ufficiale come tutti gli altri» (Fiorenza Sarzanini, ”Corriere della Sera” 21/2/2005).