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 2005  febbraio 09 Mercoledì calendario

Wilmut Ian

• Hampton (Gran Bretagna) 9 settembre 1944. Scienziato • «[...] considerato il “padre” della pecora Dolly, da lui creata con il controverso metodo della clonazione nel 1996 [...]» (Enrico Franceschini, “la Repubblica” 9/2/2005). «La smentita arriva dallo stesso protagonista, l’uomo che in tutto il mondo aveva associato il suo nome alla pecora Dolly, il primo clone di un animale adulto prodotto da una cellula singola. Ora, la svolta. E la smentita. Ian Wilmut ha confessato di non essere lui il padre dell’ovino e il pioniere della rivoluzionaria tecnica che l’ha creato, ma bensì il co-autore dello studio, Keith Campbell. È quanto il professore ha dichiarato ai giudici del tribunale del Lavoro di Edimburgo, innanzi ai quali è stato convocato da un suo collega asiatico che lo accusa di discriminazione razziale. Wilmut ha rivelato di avere avuto solo un ruolo “di supervisione” del progetto, precisando che il compito, comunque, sarebbe stato “non irrilevante”. Lo scienziato, all’epoca al Roslin Institute, ha sottolineato che nei documenti che descrivevano lo storico evento lui era risultato come il direttore della ricerca. Questo perché così si era accordato con lo stesso Campbell: a quest’ultimo, però, secondo la rivelazione, spetta di fatto il 66% del merito per lo studio sulla pecora Dolly. Fu Campbell che ebbe l’idea di congelare le cellule per la clonazione, mentre altri vitali esperimenti per sviluppare il progetto furono svolti da un terzo collega, Bill Ritchie. Alla domanda di Lawrence Davies - legale di Prim Singh, il biologo che ha fatto causa a Wilmut - se fosse esatta l’affermazione “non creai Dolly”, lo scienziato ha risposto in modo secco: “Sì”. [...]» (“la Repubblica” 9/3/2006). «Dieci anni dopo essere passato alla storia come il “padre” di Dolly, la prima e celebre pecora clonata al Roslin Institute di Edimburgo, il professor Ian Wilmut disconosce la paternità. E lo fa con una mossa a sorpresa, in un ambiente inconsueto e per una vicenda per nulla scientifica. Naturalmente tutti si chiedono perché ciò accada [...] e che cosa nasconda l’inaspettata uscita. Ian Wilmut [...] era trascinato in tribunale, a Edimburgo, dal collega biologo Prim Singh con l’accusa di maltrattamenti e angherie. Durante la deposizione, ricordando le vicende che lo videro protagonista [...] affermava di non essere stato lui lo scienziato veramente impegnato nell’operazione di clonazione di Dolly. L’avvocato dell’accusa cogliendo la stranezza dell’affermazione gli chiedeva chiarimenti: “Lei non creò Dolly?”, “Sì, è vero, non sono stato io”, confermava Wilmut, precisando che il 66 per cento dell’intero lavoro era condotto da un suo collaboratore, il professor Keith Campbell, già noto per la sua bravura, ma allora inserito soltanto come uno dei cinque nomi autori dell’esperimento. “Io mi sono limitato a istruire il team e a coordinarlo”, precisava ancora Wilmut. Così il 5 luglio 1996 nasceva Dolly e lo scienziato-padre si faceva fotografare vicino, da solo, e orgoglioso del risultato. Campbell, ignorato e offeso per il trattamento subito, abbandonava l’istituto e fondava una sua società di ricerca. Sfruttando la celebrità pure Wilmut avviava, con minore fortuna, una company analoga che nel giro di poco tempo però falliva. Il disconoscimento della paternità di Dolly ha fatto emergere anche la rivendicazione di due altri specialisti, Bill Ritchie e Karen Mycock, i quali compirono il duro lavoro del trasferimento del dna senza venir minimamente considerati. Wilmut intanto veniva coperto di onori e premi, l’ultimo dei quali, di 100 mila euro, gli è stato conferito in Germania dalla fondazione Paul Ehrlich sollevando le proteste della comunità scientifica tedesca la quale giudica indegno un riconoscimento così tanto importante ad un esperimento che non ha mai convinto del tutto. [...] I dubbi, per la verità, erano emersi subito e la rivista americana Science pubblicava nel 1998 una lunga lettera dei biologi molecolari Vittorio Sgaramella dell’Università della Calabria eNorton Zinder della Rockfeller University che chiedevano di chiarire dieci punti fondamentali per dimostrare la validità del lavoro. “Un anno dopo— dice Sgaramella — Wilmut scrisse una spiegazione sulla rivista Nature senza rispondere alle nostre domande. Inoltre accadeva un fatto strano: la pecora donatrice da cui era stato eseguito il trapianto di Dna scomparve misteriosamente togliendo la possibilità di una verifica”. Dunque, ombre nere si addensano sulla più famosa clonazione finora tentata e sul comportamento di alcuni scienziati. “Purtroppo — commenta Sgaramella — l’atteggiamento delle due più importanti riviste scientifiche Nature e Science, sempre più a caccia di scoop per garantirsi diffusione e successo, ha allentato i criteri di valutazione dei risultati e incitato qualche ricercatore a tentare la sorte, magari imbrogliando”» (Giovanni Caprara, “Corriere della Sera” 16/3/2006).