6 febbraio 2005
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DAVIS Ossie (Raiford Chatman Davis). Nato a Cogdell (Stati Uniti) il 18 dicembre 1917, morto a Miami (Stati Uniti) il 4 febbraio 2005
DAVIS Ossie (Raiford Chatman Davis). Nato a Cogdell (Stati Uniti) il 18 dicembre 1917, morto a Miami (Stati Uniti) il 4 febbraio 2005. Attore. «Per noi è diventato famoso negli ultimi anni soprattutto come presenza fissa e autorevole, adorabile e rassicurante, nei drammi cinematografici di Spike Lee [...] Ma Raiford Chatman Davis, detto Ossie, è stato, come lo scrittore di gialli Chester Himes, il genio politico C.L.R. James, l’astronauta della musica Charlie Parker, il rivoluzionario post-islamico Malcolm X, i pugni chiusi delle Black Panthers a Città del Messico e la diva erotica Dorothy Dandridge, un’icona gigante della cultura radicale african-american del secondo novecento, il rappresentante prestigioso e affidabile di una nuova soggettività insorgente, l’anello mancante tra le speranze, le lotte e le conquiste democratiche effettive dell’era roosveltiana e la breve, ma non effimera, parentesi kennediana. Il punto di congiunzione egemonico tra le moltitudini in lotta nel sud (e non solo) contro la segregazione razziale inossidabile (e gli impuniti del Kkk) e una classe nera metropolitana, colta, illuminista e borghese, che non deve diventare, per questo, di nuovo schiava delle grandi Corporations. Ma soprattutto l’incarnazione dell’immagine moderna e intelligente, profonda e articolata del cittadino consapevole e dell’attore americano black dalle mille sottigliezze psicologiche. Veniva da Codgell, Georgia, ma studiò letteratura e i meravigliosi saggi di W.E.B. DuBois alla Howard e alla Columbia University di New York City, e recitazione al Rose McClendon Players di Harlem. Dopo 32 mesi passati al fronte per salvare il mondo dal mostro nazista (e durante la seconda guerra mondiale scrisse e produsse show per le truppe) si accorse che l’apartheid e lo sfruttamento operaio erano duri a morire in combattimento e perfino nella patria dell’iper-democrazia. Non fu il solo. Sindacati e partiti progressisti, donne divenute in 5 anni il perno del lavoro in fabbrica e in miniera, e soprattutto il PcUsa, furono protagonisti, tra il ’45 e il ’47, del ciclo di lotte in fabbrica e nella società, più organizzata, possente e ”dal basso” della storia d’America. Ma è molto duro e cruento produrre democrazia nella democrazia occidentali soprattutto quando non disponi di una sponda miracolosa come fu quella del new deal di Roosevelt e Wallace. E, certo, senza lotte niente sviluppo. Fu decisivo il contributo dei lavoratori dei vagoni letto delle ferrovie (il sindacato all-black più combattivo del periodo) che minacciò una vera invasione di Washington se lo status di african-american non fosse cambiato, almeno di un punto in percentuale, e non in maniera formale. Ossie Davis così interpretò sul palcoscenico Jeb Turner di Robert Ardrey, proprio nel ruolo di un reduce che tenta senza successo di reinserirsi nella società che lo ha sfruttato come combattente e gli rifiuta la parità di diritti. Fu un disastro commerciale, ma conquistò la critica che conta e soprattutto conobbe un’attrice di nome Ruby Dee, altrettanto militante ma molto più brava tecnicamente, e la sposò due anni dopo. Anzi essendo di corporatura piuttosto robusto e massiccio le costruì una casa con le sue mani, a New Rochelle, nello stato di New York, dove la coppia più creativa e progressista del mondo ha sempre vissuto, assieme a tre figli, di cui uno, Guy, attore. Gli anni cinquanta li vedono impegnati sulle scene e in televisione, soprattutto in piccoli ruoli, scritti e diretti da Garson Kanin o Joshua Logan, in musical come Jamaica, in classici in versione nera (Il giardino dei ciliegi da Cechov) o assieme a Sidney Poitier, l’altro attore moderno, in Green Pastures (1951). The Emperor Jones che era stato il cavallo di battaglia di Paul Robeson, nel 1955, per la televisione, sarà lui. ”Sapevo che gli attori non erano molto di moda in quel decennio - ha detto una volta - e non avevo molte aspettative. Ma i rifiuti danno mordente, anche se, a parte portare vassoi d’argento, non c’era molto di più da sperare. Però a teatro ho imparato a competere con i miei pari, mi è successo a Broadway per Green Pastures , e a lottare per dire parole di cui ti vergogni”. Dopo molta televisione il suo ruolo in The hill (La collina del disonore) di Sidney Lumet (1965), al fianco di Sean Connery, fa esclamare alla sofisticata critica del ”New Yorker” Pauline Kael: ”che straordinario volto per la macchina da presa, un autentico re. Ha una presenza così forte e profonda che nessun attore bianco può superare”. Eppure Ossie è molto autocritico sulla sua tecnica recitativa. ”Ruby è molto più intensa di me. Preferisco scrivere, ma devo pur mangiare”. Scriverà e dirigerà pochi, ma importanti film, come, nel 1971, Kongi’s Harvest, il primo film della storia nigeriana, girato negli studi di Lagos (presto abbandonati) e tratto da un copione (e da un dramma teatrale) del futuro premio Nobel Wole Soyinka, un testo polemico contro la nuova borghesia africana al potere, perennemente asservita alle ex potenze coloniali. E scriverà qualcosa di ancora più importante. Commoventi, lucide e battagliere furono infatti le sue due orazioni funebri sulla tomba dei due martiri della lotta contro il fascismo e il razzismo (variabili interne del liberalismo Usa), Martin Luther King e Malcolm X. Furono capaci di aprire fecondi fronti di combattimento simbolico i suoi drammi teatrali, i suoi film anche commerciali (come Cotton Comes To Harlem del 1969, tratto dal romanzo poliziesco di Chester Haimes Harlem, e tradotto in Italia un po’ sciaguratamente Pupe calde e mafia nera, grande successo commerciale, film d’avvio del filone Blaxploitation - ma che Davis considerò ”riuscito al 60%”. Come Purlie Victorious che nel 1963 divenne il film Gone are the days e da cui fu tratto il musical Purlie. O Black Girl, del 1972, tratto dal dramma della scrittrice african american J.E. Franklin. O il film d’azione Gordon’s War del 1973 e, nel 1976, Countdown at Kusini film metafora, dedicato al Sudafrica delle lotte contro l’apartheid, sulla liberazione di un immaginario paese del continente nero. E le sue interpretazioni sullo schermo, tra cui Fa la cosa giusta , School daze, Jungle fever, e Malcolm X (dove rimette in scena il suo stesso elogio funebre) di Spike Lee sono quelle più care dell’ultimo periodo. Ma alle quali sarà bene aggiungere almeno Il cardinale di Preminger, Sam Whiskey, Shock Treatment, A man called Adam, Slaves e, recentemente, Gladiator. Davis ha girato infatti un’ottantina di film come attore, e ha continuato a fare molto teatro e televisione. In Joe Bass l’impalcabile (The Scalphunters), anti-western di Sidney Pollack (1968) è un personaggio non violento e volubile che impara come la non violenza sia una meravigliosa tecnica di comando, basta essere ”armati” dentro, e infatti farà una scazzottata, anche psicologica, con Burt Lancaster e, miracolo del sessantotto, non solo gli tiene testa, ma addirittura vince. Ma quella folgorante performance di Ossie Davis era di un attore di 51 anni, virtuoso (adorato da Orson Welles) e - come successe almeno a un’altra ventina di formidabili artisti african-american, comunisti o simpatizzanti del partito comunista Usa, come Paul Robeson e Canada Lee, Spencer Williams e Hazel Scott - contrastato, ”deviato” e respinto ai margini dalla democrazia a ”sovranità limitata”, che negli anni della guerra fredda era caduta in mano a gruppi conservatori militaristi e fanatici. [...]» (Roberto Silvestri, ”il manifesto” 5/2/2005).