Varie, 4 febbraio 2005
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Parks Rosa
• Tuskegee (Stati Uniti) 4 febbraio 1913, Detroit (Stati Uniti) 25 ottobre 2005 • «[...] la sarta che il primo dicembre 1955 venne arrestata in Alabama per essersi rifiutata di lasciare a un bianco il suo posto a sedere su un autobus. Con un no ha cambiato la storia, fatto nascere il movimento dei diritti civili, contribuito a mandare in soffitta la politica di segregazione razziale in America [...] Il suo no ebbe un’eco ed effetti maggiori della marcia del milione di uomini sulla Casa Bianca. Per lei i neri boicottarono gli autobus di Montgomery per 400 giorni [...]» (Carlo Moretti, ”la Repubblica” 4/2/2005) • «Si può cambiare il mondo anche mettendosi a sedere, senza sparare un colpo, senza mettere bombe, accomodandosi sul sedile proibito di un autobus in Alabama e poi rifiutando di alzarsi. ”Non volevo fare la rivoluzione, avevo semplicemente mal di piedi dopo una giornata di lavoro”, disse candidamente Rosa Louise Parks, la commessa che [...] scatenò il movimento per i diritti civili e umani dei ”colorati” come lei [...] Era il dicembre del 1955 [...] quando Rosa Louise McCauly sposata Parks lasciò il grande magazzino di Montgomery, in Alabama, dove era impiegata come lavorante di sartoria a rifare gli orli alle gonne ed accorciare i calzoni, e salì sull’autobus che aveva preso centinaia di volte. Aveva 40 anni e i piedi gonfi. Poiché sugli autobus americani si sale sempre dal davanti, si buttò sul primo sedile libero che trovò, in prima fila. Sapeva benissimo che quelle erano le file proibite ai colored come lei, che l’Alabama delle leggi di ”Jim Crow”, di Jim il corvo, segregavano i neri dai bianchi, i gabinetti, i ristoranti, le fontanelle, le scuole, i negozi, gli ospedali e che il suo posto era in fondo, con gli altri negroes. Ma le facevano male i piedi. L’autista glielo ricordò, e lei, niente. Alla fermata successiva, salirono molti passeggeri bianchi che pretesero i loro posti riservati. Alzati, negra, lasciami il posto. Lei niente. Arrivò un poliziotto che la sollevò di peso e la spinse verso il fondo. ”Perché mi spintoni?” chiese Rosa, una donnina. ”Non lo so” rispose l’agente, ”so che è la legge e io devo farla rispettare”. Ma lei, niente. Fu fatta scendere e l’autobus arrivò al capolinea della storia. Dal rifiuto di Rosa di pagare la multa di 10 dollari e dalla sua condanna al carcere, cominciò un boicottaggio dei mezzi pubblici che andò avanti 381 giorni, paralizzò i trasporti, piegò le ginocchia ai good ole boys, ai vecchi ragazzoni razzisti, arrivò alla Corte Suprema, schiantò come incostituzionale ogni forma di discriminazione razziale e insegnò all’America degli uomini e delle donne invisibili, ai ”colorati”, la strada di una pacifica rivoluzione, ispirata da un giovane pastore Battista che guidò i primi cortei per le vie di Montgomery. Martin Luther King jr. Rosa fu una rivoluzionaria improbabile e per questo straordinariamente efficace. Non era una sprovveduta né una agitatrice professionale. La sua condizione di impiegata in un grande magazzino come sarta la collocava, nell’Alabama degli anni 50, in uno status di classe media, al di sopra dei lavoratori manuali e degli addetti ai compiti più umili che erano riservati ai suoi ”fratelli e sorelle” di carnagione scura. Era nata e cresciuta in una famiglia per bene, timorata di Dio e relativamente bene educata, il padre falegname, la madre maestra. Aveva letto libri passati dalla mamma, visto il padre lavorare e mantenere la famiglia senza sussidi statali né elemosine private. Aveva accettato per 40 anni il mondo nel quale era nata e cresciuta, perché era l’unico che lei conoscesse, nel profondo Sud dove i neri doveveno ”stare al loro posto”, in fondo all’autobus, nei ”loro” ristoranti, nelle ”loro” scuole e venivano severamente puniti dai cavalieri incappucciati del Klan, se si mostravano troppo petulanti. Bruciavano le croci, cigolavano i rami per il peso degli impiccati. Chi tocca una donna bianca, penzolerà da quel ramo. Saltavano in aria chiese, uccidendo bambine al catechismo, come accadrà in un’altra città dell’Alabama, Birmingham, molto prima che si parlasse di terrorismo fondamentalista. Ma Rosa aveva i piedi gonfi, quella sera del primo dicembre 1955. Uno storico, un sociologo, certamente diranno che se non fosse stata lei a impuntarsi sull’autobus, il giorno dopo qualcun altro sarebbe entrato nel gabinetto proibito, o si sarebbe seduto al tavolo sbagliato in un diner da uova fritte e la scintilla sarebbe scoccata comunque. Ma Rosa aveva male ai piedi e la scintilla fu lei. I buoni villici di Montgomery non glielo perdonarono e la tormentarono con minacce di morte, croci incendiate davanti alla sua casa, lettere anonime, fino a quando la costrinsero a rifugiarsi nel Nord più evoluto, a Detroit, dove avrebbe vissuto i 50 anni che le restavano da vivere, guardando scorrere da lontano il film delle conseguenze di quel suo gesto così innocente, così tremendo. Vide gli omicidi nel Mississippi contro gli attivisti del voto ai neri [...] l’ascesa di quel giovane pretino Battista fino al suo discorso della montagna, ”I have a dream” e le pallottole che lo uccisero a Memphis, poi le promesse dei politicanti, le leggi anti-segregazioniste. Tornò anche a salire su quell’autobus della storia, che la Fondazione Ford, la casa che lo aveva fabbricato, comperò per 483 mila dollari e ora sta nel museo di Dearborn, accanto a Detroit. Vide le sentenze di quelle Corti Supreme di tartufi in tocco e toga che si erano finalmente assunti la responsabilità politica e morale di leggere che cosa c’è scritto davvero nella Costituzione, che ”tutti gli uomini sono creati uguali e dotati degli stessi diritti”, dopo un secolo e mezzo di cecità. Scrisse libri, in verità scritti da altri per lei, ma sempre lesinò al massimo la propria persona, evitando talk show, salotti, riflettori, pagliacciate di notorietà televisiva. Fu coperta di medaglie, l’ultima appuntata da Bill Clinton che le disse: ”Mettendosi a sedere, lei si alzò per difendere i diritti di tutti e la dignità dell’America”. Trovò un lavoro nello staff di un deputato di Detroit, Conyers, lasciata in pace a godersi il resto della propria vita con una stipendio da portaborse parlamentare. Le piaceva molto sapere di essere chiamata ”la Madre dei diritti civili” in America, come una piccola madonna nera di un Vangelo neppure tanto minore, e si stupì molto quando, nel 1993, un ladro entrò nella sua casa di Detroit per svaligiarla e se andò portando via 53 dollari. Ma lo sai chi sono io? chiese a quel ladro. ”No - rispose lui - e non me ne fotte niente”. Il ladro non era neppure nato quando Rose ebbe tanto male ai piedi» (Vittorio Zucconi, ”la Repubblica” 26/10/2005) • «Certe volte la storia, anche quella con la esse maiuscola, viene decisa da piccoli gesti. Per esempio rifiutarsi di cedere il posto sopra un autobus, come fece Rosa Parks in Alabama [...] Rosa Louise McCauley era nata il 4 febbraio del 1913 a Tuskegee, in Alabama, da genitori contadini. Per curare la madre malata aveva dovuto lasciare la scuola superiore, e a 19 anni si era sposata con Raymond Parks, un barbiere del suo quartiere. Lui era attivo nella National Association for the Advancement of Colored People, il movimento politico per l’emancipazione dei neri, e l’aveva convinta a prendere il diploma. Rosa gli aveva datto retta, ma era finita comunque a fare la sartina in un grande magazzino di Montgomery. Ogni mattina per andare al lavoro prendeva l’autobus e non era un piacere, perché le leggi sulla segregazione chiamate ”Jim Crow” avevano trasformato il viaggio in una umiliazione quotidiana. I neri potevano sedere solo nei posti in fondo, mentre quelli davanti erano riservati ai bianchi. Avevano il permesso di sistermarsi su quelli in mezzo, ma dovevano cederli se una persona dalla pelle chiara li rivendicava. E se non c’era più spazio sul bus, erano obbligati a scendere. Il primo dicembre 1955 Rosa stava tornando a casa, seduta sopra uno dei posti centrali insieme ad altre tre donne nere. All’altezza di Cleveland Avenue un bianco salì sull’autobus e pretese il sedile. L’autista James Blake, che già qualche anno prima aveva cacciato la Parks da un altro mezzo pubblico, chiese a tutte e quattro le nere di alzarsi. Le altre tre lo fecero, ma Rosa rispose no. ”Se non ti alzi - minacciò Blake - chiamo la polizia per arrestarti”. La Parks lo fissò e disse: ”Puoi anche farlo”. Qualche ora dopo Rosa era in commissariato, dove le avevano preso le impronte digitali. Il 5 dicembre era finita davanti al tribunale, che l’aveva condannata a una multa di 10 dollari, più 4 di spese processuali. Ma il movimento dei diritti civili, guidato in città da E. D. Nixon, non aspettava altro. Il 4 dicembre i neri avevano proclamato il boicottaggio dei trasporti pubblici, a cui davano il 75% dei ricavi, finché non li avessero trattati come esseri umani. A capo della rivolta fu messo un giovane reverendo della Dexter Avenue Baptist Church, di nome Martin Luther King. Dopo 381 giorni a piedi, i neri si presero la rivincita. Il 13 novembre 1956, con il caso Browder v. Gayle, la Corte Suprema bandì la segregazione sugli autobus. Il 20 dicembre l’ordine arrivò a Montgomery e il giorno dopo finì il boicottaggio: il movimento dei diritti civili era nato, e Rosa era sua madre. Naturalmente di questi tempi non c’è mito che scampi alla tagliola del revisionismo, e nemmeno la sua disobbedienza ha fatto eccezione. I critici dicono che in realtà non si alzò solo perché le facevano male i piedi, e poi fu strumentalizzata dai leader politici come Nixon che da mesi cercavano la candidata giusta per farne il simbolo del boicottaggio. La Parks, finché era in vita, rispondeva così: ”Certo che mi facevano male i piedi e stavo male, ma era così ogni giorno. Quella volta però decisi che non ne potevo più, e non mi sarei mossa fino a quando mi avrebbero trattata come tutti gli altri passeggeri”. Le cose sono cambiate, da quel dicembre 1955. Nel 1964 venne approvato il Civil Rights Act, che cancellava le discriminazioni [...] Dopo la sua sfida Rosa era fuggita dall’Alabama, perché non trovava più lavoro e non andava sempre d’accordo con i leader del movimento per i diritti civili. Si era trasferita a Detroit, dove lavorava per il deputato John Conyers, e ha ricevuto tutte le onoreficenze più alte dello stato americano. Eppure [...] la volevano cacciare di casa, perché i suoi tutori avevano smesso di pagare l’affitto. Ha potuto morire nel suo letto solo perché qualcuno alla fine si è ricordato che era un pezzo di storia» (Paolo Mastrolilli, ”La Stampa” 26/10/2005).