Giampiero Martinotti, "la Repubblica" 3/2/2005, pagina 39., 3 febbraio 2005
Quando la polinesiana Tarita conobbe Marlon Brando non rimase per niente affascinata: «Niente mi seduceva in lui, né il fisico, né le sue maniere, né i suoi amici
Quando la polinesiana Tarita conobbe Marlon Brando non rimase per niente affascinata: «Niente mi seduceva in lui, né il fisico, né le sue maniere, né i suoi amici. La sua apparizione suscitava in me un panico incontenibile, come se percepissi una minaccia, un pericolo». All’inizio con lei fu molto docile e paziente, contrariamente alla sua natura: per i primi sei mesi di vita in comune Tarita dormì vestita e lui non osò neppure toccarla. Abituarsi a Brando non fu facile: «E’ continuamente attraversato da pensieri segreti, violenti o terribili tormenti, che non esprime ma che io indovino». Lei a un certo punto si cercò un amante: una volta, dopo che la donna era stata al cinema con l’altro, la caricò a forza in macchina prendendola per i capelli. Giunti a casa la legò al letto per frustarla con la cinta prima di prendere un fucile da pesca, con cui la minaccò. La gelosia che provava era talmente forte da renderlo impotente: «Vorrebbe fare l’amore ed è come se uno spirito maligno glielo impedisse». Desiderava comunque un secondo figlio, che concepirono con l’inseminazione artificiale: nacque Cheyenne. Tarita racconta di aver trovato, dopo la morte di lui, numerose foto che la ritraevano in compagnia della neonata, addormentate dopo una poppata: «Aspettava che dormissi per tirar fuori la macchina fotografica, come se fotografarci fosse una confessione di debolezza o di amore, lui che non voleva mai dire ti amo».