3 febbraio 2005
Tags : Christophe. Dugarry
Dugarry Christophe
• Nato a Bordeaux (Francia) il 24 marzo 1972. Calciatore. «Portava al collo un piccolo ciondolo a forma di cammello e del cammello aveva anche l’espressione perennemente perplessa, tipo ”cosa ci faccio qui e perché mai questi mi stanno guardando”. Cosa voleva, questioni accessorie ma mica tanto, glielo spiegò Silvio Berlusconi la seconda volta che lo vide: ”Bravo Dugarry, però si tagli i capelli”. Christophe lo squadrò con un sorriso incerto e Marcel Desailly tentò di schiarirgli le idee: ”Guarda che il presidente te l’ha detto così, ma i capelli te li devi tagliare davvero”. L’espressione di Christophe diventò ancora più perplessa; si tagliò i capelli, ma pochissimo. A suo modo resistette. Il problema di Christophe Dugarry era altro, anzi erano problemi in serie. Perché ci sono giocatori che arrivano in stato di grazia ( proprio) e in momenti di grazia (della squadra); e ci sono giocatori, come l’attaccante francese, che arrivano nell’epoca sbagliata e fanno fatica a capire dove mai si trovino, appunto, e perché. Dugarry arrivò al Milan dopo gli Europei del 1996, a 24 anni. Si era fatto conoscere con due gol in sei minuti, gol pesanti che permisero al Bordeaux di vincere e eliminare a sorpresa il Milan dalla coppa Uefa. A Bordeaux aveva sempre vissuto, e da Bordeaux a Milano ambientarsi non fu facile, anche perché Christophe cominciò con un menisco rotto. ”La mia fidanzata non esce mai, ma piano piano ci adatteremo”, disse. E Berlusconi, spietato dopo un paio di partite: ”Questo Dugarry mi pare latitante”. Arrivarono anche giorni migliori per il perplesso Dugarry, ma i dubbi su di lui non finivano mai. che nel Bordeaux che l’anno prima aveva eliminato il Milan c’erano Zidane e Dugarry, e il Milan aveva scelto Dugarry: qualcuno anni dopo ridacchiò, ma Dugarry era quel che ci voleva allora al Milan. Serviva un uomo in grado di sostituire George Weah, un attaccante alto e forte, e Dugarry era tanto alto da far bella figura anche in passerella. Più lì che in campo, malignarono ancora i critici; intanto Zidane costruiva la sua Juve, mentre Dugarry faticava. Alla fine di quella annata, la peggiore del quasi ventennio berlusconiano, Dugarry salutò dopo aver segnato soltanto 5 gol in 21 partite. Finì al Barcellona mentre Arrigo Sacchi, che su di lui aveva puntato subentrando a Oscar Tabarez (’Dugarry e Baggio fanno proprio una bella coppia”) tornò a casa. Via Dugarry, via Sacchi, largo a Patrick Kluivert e a Fabio Capello, ma non fu facile neppure per l’allenatore invincibile e per il ragazzino che diciottenne aveva incantato l’Europa e soprattutto il Milan (sconfiggendolo, anche lui come Dugarry, con un gol nella finale di Champions League). Un anno dopo, altro cambio: via Kluivert (a Barcellona), via Fabio Capello, l’unico che abbia continuato a fare fortuna in ogni luogo. Nel frattempo Dugarry aveva cambiato sede di nuovo, lasciando la Spagna da campione. Con i blaugrana aveva giocato 7 partite senza segnare e al Camp Nou neanche se ne ricordano, ma il titolo resta, come il Mondiale vinto con i blu francesi poco dopo. Il 1998 è l’anno di Dugarry, che poi tornò in Francia e da lì in Inghilterra e da lì ancora via, scivolando lento verso il ritiro a 32 anni. A volte il grande calcio ti allunga la vita, a volte ti frulla come una mela» (Alessandra Bocci, ”La Gazzetta dello Sport” 3/2/2005).