Varie, 2 febbraio 2005
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Mannino Franco
• Palermo 25 aprile 1924, Roma 1 febbraio 2005. Direttore d’orchestra. Compositore • «[...] aveva un segreto. Insondabile e arcano, ma perfettamente visibile ad occhio nudo: la sua mano destra. Una mano instancabile, febbrile, ansiosa, capace di cantare, di danzare e di raccontare storie. Una mano, insomma, prodigiosamente ”parlante”: sia quando le dita accompagnavano, in contrappunto, il sorriso largo e contagioso del ”fabulatore”, sia quando impugnavano la bacchetta del direttore d’orchestra. Quella mano rivelava infatti il tratto più bruciante, e forse anche quello più tormentato, del compositore e del direttore, dello scrittore e del memorialista, del drammaturgo e del polemista: l’incontenibile, ossessivo desiderio di produrre e realizzare oggetti di ogni tipo: libri, interviste, saggi, sinfonie, conferenze, romanzi, drammi. Una traccia evidente di questa praxis esuberante è racchiusa nel gigantesco e meticoloso catalogo delle opere manniniane: nel quale sono conservati, caso unico nella storia della musica italiana del Novecento, ben seicentoventidue titoli dotati di regolare numero d’opus, ai quali si devono aggiungere circa centocinquanta colonne sonore per film di ogni genere, numero e caso. Il totale è fragoroso. Ovvio, in tanto ben di Dio, che la dovizia quantitativa non sempre coincida perfettamente con la grazia qualitativa. Mannino, nato nel 1924 come Luigi Nono, è sempre stato un compositore cocciutamente e risolutamente tradizionale, mai sfiorato dalle tentazioni della Nuova Musica o dall’esprit delle avanguardie, estraneo anche alla stessa koinè della musica contemporanea europea. E di questa incrollabile fiducia nel ”passato prossimo” è specchio fedele il suo linguaggio compositivo: incardinato intorno a centri tonali certi e ben definiti, accarezzato da un gusto melodico facile e accattivante, sensibile ad un colorismo orchestrale di ascendenza tardo romantica. Nonostante le dodici sinfonie e le innumerevoli ”fantasie” pianistiche il teatro musicale è stato forse il terreno di elezione di Mannino compositore, anche se, dopo il felice esordio scaligero del 1956 con Mario e il mago (regia di Visconti) la sua opera commercialmente più fortunata, Vivì, non riesce a sollevarsi oltre i limiti di un fumettone sentimentale stile ”commedia all’italiana”. Al quale non giovò nemmeno l’apparizione quasi miracolosa, in una rappresentazione catanese del 1963, delle leggendarie gemelle Kessler. proprio al nome di Visconti che sono legate, invece, le esperienze compositive forse più profonde e autentiche di Mannino: film come Bellissima, Gruppo di famiglia in un interno, Morte a Venezia, non possiederebbero la stessa forza ”decadente” senza il suono vibratile e sensibile che il musicista palermitano ha cucito addosso ad ogni immagine, ad ogni fotogramma. Un ”miracolo” che commosse, un giorno di Natale, dopo aver ascoltato il tema principale de L’Innocente, lo stesso Visconti: ”Nessuno come te - disse il regista al ”suo” compositore - sarebbe stato capace di vestire di musica il ”decadentismo tragico” di D’Annunzio» (Guido Barbieri, ”la Repubblica” 2/2/2005). «Quando Liszt conobbe il giovane Camille Saint-Saëns, ne diede una definizione folgorante: un musiciennissime. Non è facile tradurla in italiano: un super-musicista, o un ”musicistissimo”. Franco Mannino [...] merita lo stesso titolo. Arturo Toscanini capiva poco di pianoforte, come, paradossalmente, la rigidezza da lui imposta ai solisti rende le incisioni da lui dirette avendo a solista il, per così dire, genero, Vladimir Horowitz, le migliori con orchestra del fantasioso genio russo. Ma su Mannino non sbagliò: lo ascoltò e rimase entusiasta. Mannino era un virtuoso sbalorditivo, uno dei virtuosi più virtuosi del Novecento. Poi, un po’ per la sua natura di moschettiere discontinuo, opposta affatto alla vita di ascetici sacrifici tecnici quotidiani richiesti a uno strumentista, un po’ per un incidente subito, si lasciò andare e alla fine smise di fare il concertista. Il mio Maestro, Vincenzo Vitale, che anche in fatto di giudizi rappresentava la Cassazione, diceva: ”Chella cap’ ’e c....! Esse potuto rimane’ int’’a Storia come uno dei più grandi pianisti!”. Tanto, Mannino era un musiciennissime. Proveniva dalla più alta borghesia palermitana, benché trasferitosi giovanissimo a Roma. Il palermitano è spesso laconico, cauteloso, reticente, allusivo. Egli era estroverso, di una simpatia irresistibile, e la sua intelligenza ne faceva un autentico charmeur. Le ore passate in sua compagnia sono un ricordo incancellabile per chi aveva il privilegio di trascorrerne. [...] Il super-musicista non fece affatto il pianista pensionato. Innanzitutto, era troppo musicista. Poi, era un uomo del gran mondo internazionale. Da ragazzo a Roma ospitò durante la Guerra in casa propria Franco Ferrara, e due mammasantissima come i maestri Alfano e Giordano, sempre parlando in dialetto stretto, si recavano da lui con i vermicelli, l’olio e il pomodoro e cucinavano mentre Ferrara, al pianoforte, li prendeva in giro suonando il I atto della Bohème. Ma si può dire che della grande arte e della grande mondanità internazionale nessuno sfuggisse al fascino di Mannino, da Stravinski a Luchino Visconti a Gianni Agnelli. Così, il carissimo Franco divenne direttore d’orchestra. Non possedeva una tecnica approfonditissima di questa specialità, che s’apprende nell’adolescenza o addirittura è nativa. Ma la sua natura musicale era tale da consentirgli un effetto galvanizzante o convincente sugli orchestrali, che poi, del tutto naturaliter e senza abolire le distanze, come oggi è tanto di moda, trattava con lo stesso charme adoperato, appunto, con Gianni Agnelli. Così, non sempre ma spesso, ha lasciato sbalorditi gli ipercritici anche sul podio. Poi, sempre con lo stesso spirito da moschettiere che si getta all’assalto, si dedicò alla composizione. Era, tanto per cambiare, dotatissimo. Come compositore per il cinematografo fu un grande: fece da consulente per il Bruckner di Senso, inventò musica propria e rielaborò il rarissimo Wagner di Morte a Venezia, tutta sua è la partitura de L’innocente ... Credo sarebbe stato un genio per il musical: ma non so se ci avesse mai pensato. La sua formazione profonda lo portava a scrivere Sinfonie, Concerti, Balletti, musica da camera... In questo, era sottovalutato, ma la colpa è anche della eccessiva prolificità, che andava a scapito della rifinitura. Un giorno, si troverà del buono anche nella sua musica sinfonica. [...]» (Paolo Isotta, ”Corriere della Sera” 2/2/2005). «Era un vulcano di creatività. Direttore d’orchestra ma anche pianista. Compositore, di musica da concerto e di colonne sonore. Organizzatore musicale. E scrittore: al suo attivo, numerosi libri in cui ha soprattutto raccontato i suoi incontri con grandi personaggi del secolo scorso, da Pirandello a Einstein a Thomas Mann. [...] Si può dire che la sua carriera sia cominciata a 10 anni quando a Palermo, dove nacque, ebbe il primo dei suoi incontri: quello con Pirandello, che dopo averlo ascoltato gli profetizzò un avvenire importante. Fu così che venne a studiare a Roma e si fece notare presto: a 14 anni meravigliò Bernardino Molinari, direttore dell’Orchestra di Santa Cecilia, eseguendo Liszt. Per mantenersi, suonava il piano nelle prove della compagnia di prosa del grande Renzo Ricci. Finita la guerra, fu invitato in America. E a New York nel 1945 incontrò Einstein, il quale per diletto suonava il violino. Il padre della relatività gli chiese di accompagnarlo al pianoforte, e così divennero amici. A New York, Mannino conobbe anche Toscanini, che lo prese a benvolere. Ma a dirigere cominciò nel ’47, quando si stava imponendo come pianista ed era apprezzato soprattutto per le sue doti virtuosistiche. Tullio Serafin lo volle come assistente per preparare la Walkiria di Wagner a Venezia. Da allora le due carriere procedettero parallelamente, in grandi istituzioni come la Scala, S. Cecilia, Opera di Roma, Filarmonica di Leningrado e Filarmonica di Berlino, dove suonò sotto la direzione di Lorin Maazel. Sempre nel ’47 cominciò l’attività di compositore. Nel campo della musica da film. Qui i suoi lavori più importanti sono legati a Luchino Visconti. Uberta, sorella del regista, sarebbe stata la sua compagna per cinquant’anni. Per Visconti Mannino creò la colonna sonora di Bellissima e quella di L’innocente , con cui vinse il David di Donatello. E dirigendo musiche di Mahler per il film di Visconti Morte a Venezia, contribuì all’odierna fortuna del compositore boemo. Il suo catalogo vanta circa 600 titoli tra opere liriche e musiche da concerto. Qui s’ispirava a un disinvolto eclettismo, trovando spunti anche nella musica popolare e di consumo e scrivendo talvolta per organici inconsueti. Come nelle Tropical dances per complesso di violoncelli. Con Visconti trasse un balletto dalla novella di Thomas Mann Mario e il mago. Su libretto di Bruno Cagli, compose la ”Liederopera” Le notti bianche, che inaugurò il festival omonimo a San Pietroburgo nel 1994. Nel 1987 era andato in scena alla Scala Il principe felice, spettacolo con musica, ballo, recitazione e acrobati del circo. Tra le sue ultime composizioni la Sinfonia degli oceani (1998) dedicata a Elizabeth Mann Borgese (figlia di Thomas Mann) e la Missa solemnis pro Jubileo Domini nostri tertio millennio , scelta nel 2000 per riaprire agli spettacoli il Colosseo: una composizione emblematica del sentire di Mannino, che vi impiegò strumenti della musica primitiva e popolare di tre continenti. Lungo l’elenco dei suoi titoli: accademico di Santa Cecilia, era stato direttore artistico del Teatro San Carlo, responsabile dell’orchestra del National Arts Center di Ottawa e direttore dei Solisti Aquilani. Per il suo prestigio, nel 1997 era stato chiamato a dirigere il concerto inaugurale del Teatro Massimo di Palermo ristrutturato. Ma quanto e più di questi riconoscimenti, per lui fu importante aver conosciuto e frequentato i grandi ingegni che alimentarono la sua cultura. Non per niente ad essi il Mannino scrittore, autore tra l’altro di L’arca di casa mia e della raccolta di favole 15 famiglie suonate , dedicò il suo libro di maggior successo: Genii. [...]» (Alfredo Gasponi, ”Il Messaggero” 2/2/2005).